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mercoledì 26 giugno 2013

Capitolo 19 - Stagione 2 (di Smiley)


22 ottobre 2013
Atene

«Titanio,» disse Rosenkreutz soppesando la protesi d’acciaio. «Mi dovrò abituare. Quelle che ho messo negli ultimi trent'anni erano molto più pesanti.»
«Vedo che ti stai divertendo», disse una voce alla sua destra.
Rosenkreutz girò la testa di scatto. Al suo fianco sedeva un uomo coi capelli bianchi, la barba dello stesso colore, rughe grinzose intorno agli occhi verdi. Indossava una tuta nera, sulla quale spiccavano le lettere gialle ”H.I.” all’altezza del cuore.
«Chi sei?», gli domandò Rosenkreutz. «Come hai fatto ad entrare in macchina?»
L’uomo sorrise. «Non esiste nulla di più potente, dal punto di vista quantico, dell’ultimo pensiero di un uomo.»
Rosenkreutz aggrottò le sopracciglia. Afferrò la pistola presente all’interno della valigetta che teneva sulle ginocchia, la puntò alla tempia dello sconosciuto. «Ti ho chiesto chi sei.»
«Hai intenzione di uccidermi? Provaci, se vuoi.»
Rosenkreutz premette il grilletto.
Non accadde nulla.
«Ma come…»
Il vecchio increspò nuovamente le labbra in un sorriso. «Tu non puoi uccidermi, Christian. In questo universo, tu sei già morto.»

***

22 Ottobre 2013, ore 5:00
Vathy, Grecia.
Edificio R

Jackson non riusciva a fare a meno di pensare in che guai si era cacciato – In cui l’avevano cacciato – in quelle ultime due settimane. Prima Calcutta, con la dottorressa Gupta e il salvataggio da parte di Sniper e Musashi. Poi il volo dopo quattro giorni d’attesa su quel vecchio Ilyushin 76 guidato da un ugualmente vecchio bengalese senza denti, che li aveva scaricati a 20 km da Aleppo. Là avevano atteso altri due giorni, prima di ricevere finalmente una comunicazione su un canale sicuro da parte di Pi Quadro, che li aveva informati che avrebbe inviato loro in supporto il Greyhawk, il loro velivolo stealth ipersonico dotato di camuffamento olografico, assieme ai migliori Evron.
Quando il Greyhawk era finalmente arrivato, e Jackson sognava già di rientrare a Calgary, Pi Greco li aveva informati che Angela richiedeva supporto immediato ad Atene.
Una volta stabilito il punto di contatto, e prelevati la dottoressa e il super conosciuto come Stakanov, c’era stato un nuovo cambiamento di programma. All’interno del centro di ricerca della Hypotetical dove si era infiltrata alcune ore prima, Angela aveva ottenuto delle nuove informazioni su una sorgente di Teleforce potente come quella di Delfi, e Pi Quadro aveva confermato che dal suo modello 3D della Terra si era manifestata, nelle ultime 36 ore, una nuova presenza anomala dell’energia di Tesla sulle isole Ionie.
Ecco perché, dopo aver atteso un altro giorno per permettere ad Angela e Stakanov di recuperare le forze, Jackson si trovava catapultato all’interno dell’edificio che secondo Angela e Pi Quadro era la sorgente del picco anomalo di Teleforce.
E nonostante fosse protetto da Golem di classe Evron, due super e una delle menti più brillanti del pianeta, non si sentiva affatto al sicuro.


***

22 ottobre 2013
Atene

Rosenkreutz premette il grilletto.
Ancora.
Ancora.
E ancora.
Nessun suono, nessun “BANG!”.
Nulla di nulla.
Il vecchio seduto accanto a lui sospirò. «Non avevo mai assistito ad una triplice ripartizione spazio-temporale di questa portata prima d’ora. Non solo hai avuto il tempo di immaginare e creare un tuo nuovo universo personale della durata di due giorni, ma hai diversificato lo svolgere degli eventi a seconda della tua volontà del momento. Affascinante.»
Rosenkreutz strabuzzò gli occhi. Urlò. «Che succede? Non capisco!»
L’uomo gli appoggiò la mano sinistra sulla spalla. «Lascia che ti mostri.»

***

22 Ottobre 2013, ore 5:03
Vathy, Grecia.
Edificio R

Il corridoio era così stretto che due uomini affiancati non avrebbero potuto attraversarlo.
Figurarsi i Golem.
La strategia la suggerì la dottoressa Solheim prima di imboccare il passaggio. Jackson sapeva che da quando il suo laboratorio di Savannah era stato attaccato, lei era cambiata, poiché si sentiva personalmente in colpa delle perdite subite. Ecco perché, negli ultimi mesi, partecipava attivamente a tutte le missioni rischiose. Il Rafkon, l’armatura biotecnologica che indossava in quel momento, era quanto di meglio il NIMBUS avesse creato negli ultimi anni. Comandato a distanza, era il Golem definitivo, o come lo chiamava Pi Quadro, il “Super Golem”. Guidato da Angela, che l’aveva personalmente ideato e realizzato per adattarlo alle sue esigenze e alla sua struttura fisica, era il capolavoro assoluto del loro centro di ricerche.
«La situazione è fin troppo strana», disse Angela. «Fuori dall’edificio e nei settori che abbiamo controllato non abbiamo incontrato alcuna resistenza. Chiamatemi pazza, ma questo corridoio mi sembra fin troppo sospetto.»
«In che senso?», domandò Musashi.
«Un laboratorio interamente vuoto, caratterizzato da spazi ampissimi collegati da corridoi come questo, che sembrano delle strettoie fatte apposta per incastrare i nostri golem non l’avevo mai visto. E le piantine che ho recuperato ad Atene si stanno rivelando inaffidabili.»
«E allora che si fa?», chiese Stakanov, che aveva recuperato la vista dopo la cecità temporanea.
Angela rimase in silenzio un istante. Poi annuì da sola, come se avesse avuto l’idea giusta. «Dobbiamo rischiare e andare avanti. Dividerci, a questo punto, sarebbe un errore. Ci muoveremo in fila indiana cercando di raggiungere l’estremità del corridoio nel più breve tempo possibile. New Blaster, Cryptor, Ornix e Primark andranno per primi. Dopo verremo io, Stakanov, Jackson e Musashi, seguiti da New Brawler, Dural, Marker, Golder e Suitor. Sniper, tu verrai per ultimo, ci coprirai le spalle.»
«Roger», disse il Golem.
Non incontrarono problemi.
Raggiunsero l’estremità del corridoio in pochi secondi, attraversarono una porta che si aprì automaticamente al loro passaggio, e si ritrovarono all’interno di una nuova stanza, dalla forma quadrata e con le pareti interamente occupate da schermi al plasma.
Jackson pensò che da qualche parte dovesse esserci una telecamera nascosta, perché su tutti teleschermi, in quel momento, era inquadrato il suo gruppo.
A ridosso della parete opposta alla porta d’ingresso, si trovava un oggetto dalla forma ovoidale, alto un metro e mezzo.
Jackson non ebbe il tempo di pensare cosa fosse. L’uovo ruotò su sé stesso, mostrandosi per quello che era: una specie di seggiola. Nella sua parte cava era seduto, con la gamba sinistra accavallata sul bracciolo, un uomo pelato.
Gli occhiali da sole non consentivano di vedere i suoi occhi, ma il camice nero indossato su di una tuta dello stesso colore, in contrasto con il colorito cadaverico della sua pelle, lo rendevano estremamente inquietante.
Jackson non aveva mai avuto modo di incontrarlo, ma aveva letto e studiato a fondo i file che lo riguardavano. Non credeva che quell’uomo fosse proprio davanti a lui.
Anche Angela sembrava stupefatta. «Cosa ci fa lei qui?»

***

22 ottobre 2013, ore 7.00
Glifada, Molo dei Pescatori

«No...tu...sei...morto.»
«Amico sono qui, davanti a te. Credici.»
«Credimi tu. Se dico...che sei...morto.»
Rosenkreutz vide sé stesso svenire davanti a un redivivo Angelo. Allungò una mano per afferrarlo, ma la mano gli passò attraverso, come fosse divenuto un fantasma. Fece un passo indietro, spaventato. «Che diavolo sta succedendo?», gridò, in direzione del vecchio.
Quello scrollò le spalle. «È la tua prima tripartizione. Hai immaginato di rivedere il tuo amico decidendo di far fallire la missione. Nella seconda, che non ti mostro per motivi di tempo, affronti i soldati della Hypothetical e porti a termine il tuo compito. Nella terza, invece, che è la più divertente, risolvi in tutta solitudine l’emergenza Kedives, salvi il mondo esorcizzando Loxias e converti addirittura la dottoressa Gupta. Niente male anche la panoramica su Kedives che contatta il tuo vecchio maestro. C’era forse della ruggine, tra voi due?»
Rosenkreutz crollò in ginocchio.
La realtà intorno a lui scomparve in un vortice bianco.

***

22 Ottobre 2013, ore 5:05
Vathy, Grecia.
Edificio R

Il dottor Spencer Grant si alzò dalla sedia ovoidale e fece un passo in avanti. «Benvenuta, dottoressa Solheim.» Con un cenno della testa indicò Musashi e Stakanov. «Benvenuto anche a te, Alexsej. E anche a te, Takezo
Jackson vide Musashi aggrottare le sopracciglia.
Un attimo dopo, Grant gli rivolse la parola. «Tu, invece…Non ti conosco. Ma i tuoi occhi mi rivelano tutto ciò che devo sapere. Flare di Teleforce. Telecinesi. Giusto? In ogni caso, benvenuto anche a te.» Infine indicò i Golem. «Vedo che come suo padre, suo nonno e il suo bisnonno, anche lei è affezionata a quei giocattolini, dottoressa Solheim.»
«Cosa intende dire?», chiese Angela.
«Che la sua famiglia cerca incessantemente da settant’anni di emulare ciò che ha fatto George Moore, senza mai esserci riuscita o minimamente avvicinata. I suoi golem sono solo rotelle meccaniche che girano grazie a un nucleo di teleforce. E lei è appena giunta allo stadio dell’umano all’interno di un costrutto biomeccanico. Ci vorranno ancora diversi decenni prima che sia in grado di realizzare la forma inversa. Ma d’altronde il dottor Moore era un genio visionario, avanti un secolo rispetto a tutti gli altri scienziati del suo tempo. Il lavoro della famiglia Solheim non può essere minimamente paragonato al suo. O al mio.»
«Credevo che il suo laboratorio fosse a Corinto, alla sede centrale della Hypothetical!»
Grant sbottò in una risata. «Solo un pazzo conserverebbe tutta la propria ricchezza in un unico posto.»
«Lei è un pazzo.»
Grant face spallucce. «Sono sempre stato abituato a certe parole. Ad ogni modo, dottoressa, cosa la porta qui? Cosa posso fare per lei?»
«Lo sa benissimo. C’è lei dietro gli esperimenti della Hypothetical. È lei, che secondo le nostre informazioni, ha creato Loxias. E sono sicuro che la causa dei picchi anomali di Teleforce in questa zona dell’Europa è sempre lei, dottor Grant. Perché lo fa? Perché ha creato un’aberrazione come Loxias?»
«Per lo stesso motivo per cui lei crea i suoi pupazzetti, dottoressa. Perché amo la scienza e la genetica. E perché Kedives ha creduto nelle mie ricerche e mi ha pagato più degli altri. Ma non è una questione di vile danaro. Mi creda, su questo. Io sono sempre lo stesso che ha lavorato con Salazar, prima che mi cacciasse per le mie idee. Sono sempre lo stesso che ha lavorato con e per gli americani, prima che mi dessero il benservito. E sono sempre lo stesso che ha lavorato con suo padre, prima che anche lui mi mandasse via perché spaventato dalle mie ricerche. Ma si sa, il tempo è galantuomo. E alla fine sono io quello che ha dimostrato di aver ragione.»
«Ragione su cosa? Lei sta collaborando con dei criminali! Quali sono i vostri scopi? A che cosa state puntando?»
«Per quanto mi riguarda, punto solo al perfezionamento. Menti illuminate come Tesla e come Moore avevano intuito che la Teleforce poteva migliorarci. Mentre invece, la maggior parte di coloro che l’hanno utilizzata, l’hanno sempre ritenuta il fine da raggiungere. Non il mezzo.»
Angela scosse il capo. «Non credo di seguirla.»
Grant ghignò. «Come potrebbe, d’altronde? Lei utilizza la Teleforce per far muovere i suoi giocattolini, Salazar e quelli prima di lui hanno utilizzato la teleforce per creare quelli come Alexsej o Takezo.»
«E lei ha utilizzato la Teleforce per creare quel mostro di Loxias!», disse Stakanov.
Grant sogghignò. «Non proprio, Alexsej. È qui che vi sbagliate tutti.»

***

20 Ottobre 2013
Santorini, Grecia

Rosenkreutz vomitava a quattro zampe sul pavimento di una stanza sconosciuta. Nonostante i conati lo inchiodassero in quella posizione, riuscì a mettere a fuoco l’ambiente circostante.
Alla sua sinistra, una striscia di sangue trasversale macchiava la parete e l’acquario incassato nel muro. Sotto l’acquario, la protesi in acciaio di una metà inferiore di una gamba con un mocassino nero era a pochi passi dal corpo inerte di un cane. Alla sua destra, su di una poltrona, giaceva il cadavere di un uomo reso irriconoscibile da diversi proiettili.
Rosenkreutz fu scosso da un nuovo conato. «Cos’è questa diavoleria? Perché non mi rispondi? Che mi sta succedendo?»
Il vecchio raccolse la protesi, gli passò accanto e si piazzò alla sinistra del cadavere sulla poltrona. «Te l’ho detto, Christian. Sei morto.» Sventolò la gamba d’acciaio e gliela gettò davanti. «Questo sei tu. O quel che ne rimane. Bannon ha utilizzato un giocattolino che ha vaporizzato te e il teleporta che ti accompagnava. Questo, invece», disse indicando il morto, «Sono io, qualche anno fa. O almeno, è l’io di questo universo. Un universo molto più interessante di quello in cui ho accettato l’assegno di quelli della Hypothetical, non sono stato ucciso dal mio compagno Bannon, e ho reso a Kedives, Loxias e Grant il gioco più semplice. Ogni tanto mi concedo un viaggio qui per godermi lo spettacolo che questo universo offre in questi giorni.»
«Io…Io non capisco…», balbettò Rosenkreutz. «Se sono morto, come faccio a parlare con te?»
«Il pensiero umano viaggia a velocità inimmaginabili, in un picosecondo interi universi nascono, crescono, si sviluppano, evolvono e poi muoiono. Universi personali come quello che hai creato tu, Christian. Io, col passare del tempo, ho imparato a viaggiare non solo attraverso il multiuniverso, ma anche a vedere quelli creati dai singoli individui. Ogni viaggio ha un costo per il mio corpo, ma credimi, ne vale dannatamente la pena. Soprattutto quando il pensiero si tramuta in pura energia, e per una infinitesima frazione di secondo sopravvive alla materia, modificandola e plasmandola a proprio piacimento.»
Rosenkreutz sgranò gli occhi. Vide le sue mani divenire trasparenti. «Allora…tutto quello che ho vissuto…non era reale?»
Il vecchio sorrise. «Lo era per te. Ma nella realtà di questo mondo sei appena morto. Naturalmente, essendo il tuo l’ultimo pensiero di un singola persona, non ha impatto sugli altri o sulle scorrere del tempo reale
Rosenkreutz si accorse che le mani erano scomparse. Adesso erano le braccia ad essere trasparenti. «Cosa mi succederà?»
Il vecchio si strinse nelle spalle. «Questo non posso saperlo. Quando l’energia creatrice del pensiero svanisce, l’universo parallelo personale che l’individuo ha plasmato svanisce di conseguenza. Ad ogni modo, una domanda del genere non dovresti nemmeno porla. Non posso sapere cosa succede dopo. E poi, tra noi due, quello credente dovresti essere tu. Addio, Christian.»

***

22 Ottobre 2013, ore 5:14
Vathy, Grecia.
Edificio R

«Come vi ho appena detto, la Teleforce altera un individuo sotto ogni punto di vista, organico e genetico. Chi viene investito dalla Teleforce è identico a prima solo esteriormente, mentre invece il cambiamento è totale, radicale. Ed è totalmente innaturale. Cosa succederebbe, invece, se la Teleforce venisse irradiata in persone predisposte geneticamente ad accoglierla?»
Jackson vide Angela portarsi una mano alla testa, Musashi deglutire e Stakanov saltellare nervosamente da un piede all’altro. Stava cominciando a capire dove il dottor Grant volesse arrivare.
«Il flare di Teleforce è l’esempio perfetto per farvi comprendere ciò che intendo dire», continuò Grant. «Ha fatto nascere nuovi super, come il nostro amico qui presente, mentre quelli già dotati di poteri li hanno visti incrementare a dismisura. Questo aumento, però, è stato solo temporaneo, dato che i super, per divenire tali, sono stati esposti alla Teleforce già una volta. Immaginiamo invece di avere la possibilità di creare dei super senza utilizzare la Teleforce, partendo da dei semplici embrioni e utilizzando il DNA di individui dotati di poteri di varia natura. Cosa succederebbe se questi individui, una volta cresciuti e già in possesso di capacità strabilianti, venissero esposti alla Teleforce?»
«Creeremmo dei mostri…», disse Angela.
«Sbagliato, dottoressa Solheim!», esclamò Grant. «Creeremmo degli dei. Vere e proprie divinità al nostro servizio. Utilizzando la Teleforce come mezzo, e non come fine.»
«È così che ha creato Loxias, dottor Grant? Ha somministrato Teleforce ad individui geneticamente modificati?»
Grant annuì. «I miei esperimenti hanno dimostrato che una persona che nasce già con un patrimonio genetico modificato dalla Teleforce, può incamerarla in modo naturale. E amplificare i propri poteri in modo permanente. In una scala da 1 a 10, dove “1” è rappresentato da un novello super che non sa come utilizzare i propri poteri, e “10” da un super esperto inondato dal flare di Teleforce, Loxias e gli altri arrivano probabilmente a 50…Se non di più.»
Angela fece un passo indietro. «Altri? Ce ne sono degli altri?»
Grant ridacchiò di nuovo. «Oh, sì. Ce ne sono altri quattro, come lui. E aveva ragione sui picchi inusuali di Teleforce, dottoressa. Ogni qualvolta ne avete registrato uno in questi ultimi mesi, un Dio è sorto. Sono eccitato di vederli in azione, sa? Mancano solo…», Grant guardò l’orologio che aveva al polso, «Poco meno di tre ore, prima che il piano abbia inizio.»
Musashi estrasse la sua katana dal fodero, l’acciaio emanò una luce violacea. «Di cosa parli?»
«Loxias e gli altri Dei faranno piazza pulita dei centri militari di ogni singola nazione. Le simulazioni del nostro Pavel hanno stimato che, incontrando la massima resistenza degli eserciti e dei super a disposizione delle varie nazioni della Terra, i nostri saranno in grado di portare al termine la missione nel giro di due ore. E nella peggiore delle ipotesi, rimarremmo con due Dei. Quello che avverrà dopo è molto semplice. L’Hypothetical Incorporated sarà l’unica multinazionale al mondo in grado di poter garantire pace, stabilità e sicurezza su scala planetaria. Avremo il monopolio della difesa degli altri paesi, e i Governi faranno la fila per chiedere la nostra assistenza. Il tutto con la legittimazione di chi ha subito un attentato alla propria sovranità popolare. Gli Dei scenderanno sulla terra per punire i malvagi, dispenseranno morte e distruzione, dopodiché prometteranno un futuro fatto di pace e libertà. La Hypothetical non avrà contendenti, e io potrò continuare in tutta tranquillità le mie ricerche.»
«Siete pazzi! Sei pazzo! Non te lo lasceremo fare!», urlò Angela.
Grant si tolse gli occhiali da sole. Due occhi gelidi si posarono su tutti loro. Sorrise. «Dottoressa Solheim, lei mi delude. Pensa che io le avrei detto tutte queste cose se lei avesse avuto una minima possibilità di fermarci? Per chi ci ha preso? Per i cattivi di un fumetto? Lei è giunta qui seguendo i picchi anomali di Teleforce. Non dimentica forse qualcosa? Guardi alle sue spalle…»
La porta della stanza si aprì.
Jackson, Angela, Musashi, Stakanov e i golem si voltarono di scatto.
«N…non può essere…», balbettò Jackson.
«Fuoco, fuoco!», urlò Angela.
I Golem crivellarono di proiettili la figura che avevano davanti. Gli schermi sulle pareti esplosero in miliardi di pezzi, la stanza fu ricoperta da una nube di polvere e da un puzzo di cordite.
Jackson si era nascosto dietro Sniper, che nel frattempo era stato affiancato da Musashi e Stakanov.
«Come ai vecchi tempi, eh?», urlò il russo nel frastuono generale.
Musashi non ebbe tempo di rispondergli.
La figura emerse dalla polvere, il suo pugno bucò lo stomaco del giapponese, fuoriuscì dalla schiena. Stakanov gli si gettò addosso, ma due fasci di luce rossa, emanati dagli occhi dell’uomo, lo incenerirono all’istante.
Jackson cadde all’indietro, il culo sul pavimento. Era impietrito. A pochi passi da lui, Musashi giaceva a terra in un lago di sangue. Di Stakanov, invece, non rimaneva che polvere. Tentò di seguire i movimenti dell’uomo – del Dio – evocato da Grant, con i propri occhi, ma era impossibile, dato che sembrava muoversi ad una velocità ipersonica.
Nei secondi successivi, Jackson udì dieci esplosioni in successione. Poi vide solo alcune parti meccaniche dei golem. Frammenti di dita, di braccia, di gambe, di mitragliatori e di teste erano sparpagliati sul pavimento intorno a lui.
In piedi, alla sua sinistra, rimaneva solo Angela.
La dottoressa stese il braccio, il palmo della mano rivolto in avanti. Ne fuoriuscirono dei raggi di luce bianca, che colpirono il Dio dritto nel petto.
Il Dio vacillò un istante, poi balzò addosso ad Angela, afferrò la sua gola e la sollevò da terra.
Jackson serrò gli occhi. Alle sue orecchie arrivò un “CRICK!” metallico, seguito da un tonfo. Quando riaprì le palpebre, il corpo di Angela racchiuso nel Rafkor era a terra, il collo piegato a sinistra in una posizione innaturale.
Grant si fece una grassa risata.
Jackson rimase immobile al suo posto, mentre il Dio si avvicinava a passi lenti verso di lui.
Quando si fermò davanti a lui, Jackson lo vide torreggiare su di sé. Indossava una tuta aderente completamente nera. All’altezza del cuore risaltavano due lettere gialle “H.I.”.
Jackson non voleva crederci.
Non poteva crederci.
Il volto.
Le fattezze.
La potenza smisurata.
Il Dio era proprio lui.
Quello che una volta era conosciuto come il Sogno Americano.
Un Sogno Americano redivivo, ma nella maniera sbagliata.
Un incubo.
Alla stessa stregua di ciò che era avvenuto ad Admiral City.
Jackson ebbe un moto d’orgoglio. «Come ci sei riuscito?»
«Quando hai a disposizione il DNA del più potente dei Super assieme una sua copia genetica identica, crearne un altro partendo da un semplice embrione è molto semplice. Il resto mi sembra di avertelo già spiegato.»
Jackson deglutì. «Copia genetica identica?»
«Oh, sì. Una copia genetica identica. Com’è che li avevano chiamati? Ah, già. Triari. Erano dei cloni depotenziati del vostro eroe prediletto, sai? Ma ormai non importa più, dico bene telecineta
Jackson alzò lo sguardo in direzione del Dio, che gli sorrise.
Chiuse gli occhi.
Per un istante, vide Tabitha.
Poi una luce rossa lo ottenebrò.
- - -

Capitolo scritto da Smiley

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Impaginazione a cura di eBookAndBook
Grafica a cura di Giordano Efrodini


mercoledì 12 giugno 2013

Capitolo 18 - Stagione 2 (di Valerio Villa)


5 Novembre 1982
Friburgo, Germania

'Exorcizamus te, omnis immundus spiritus,
omnis satanica potestas, omnis incursio infernalis adversarii,
omnis legio, omnis congregatio et secta diabolica,
in nomine et virtute Domini Nostri Jesu Christi,
eradicare et effugare a Dei Ecclesia,
ab animabus ad imaginem Dei conditis ac pretioso
divini Agni sanguine redemptis'

Quando il giovane prete finì di recitare la litania, il corpo delle ragazza legato sul letto smise di tremare convulsamante.
«Ci sei riuscito Christian» la voce del vecchio Klaus, suo mentore e aiutante in quell'esorcismo, gli giungeva lontana.
«Grazie amico mio. Quando la posseduta mi ha distrutto il crocefisso credevo fosse finita.» Parlare gli risultava sempre più difficile. « Mi sento, stanco...»
«O mio Signore, Christian! La tua gamba!»

* * *

22 Ottobre 2013
Atene, Grecia

La suoneria del cellulare fece riemergere Rosenkreutz da quei lontani ricordi.
«Pronto.»
«Kedives ha commesso un errore. Si è fidato delle persone sbagliate. La ragazza sarà consegnata in un piccolo molo a sud di Atene. Rendez-vous con la tua squadra fra due ore. Ti giro le coordinate.»
«Perfetto.» Una leggera vibrazione del cellulare notificò l'arrivo della mail.
«Eh, Christian...non è stata colpa tua.»
Erano passati quasi due giorni.
«Lo so Klaus. Mi stavo quasi affezionando a quel teleporta.»
Chiusero insieme la comunicazione.
L'odore di disinfettante impregnava tutta la camera.
Rosenkreutz si alzò dal divano, saltellò fino al tavolo posto al centro della stanza e si sedette alla sedia più vicina. Appoggiata allo schienale c'era una stampella.
Dannate aberrazioni - pensò – Me la pagherete. Angelo non meritava quella fine.
Prese quel pezzo di metallo, si alzò, spostando il peso da una parte all'altra per saggiare l'equilibrio.
«Bene. Sono pronto a prendere a calci nel culo qualche super.»
Uscì dalla stanza, un appartamento sicuro usato dai servizi vaticani, dopo aver preso le armi.
L'Entità si era messa in moto, e se sapeva come agivano, avrebbe trovato ad attenderlo una berlina nera fuori dall'albergo.
Uscì dalla hall e vide una Audi Q7, con il motore acceso, proprio davanti all'ingresso. Nera.
Vi salì con qualche difficoltà vista la mancanza dell'arto destro. I sedili emanavano odore di pelle.
«Mi aspettavo la classica Mercedes. Non mancate mai di stupirmi.» disse rivolto all'autista.
«Spero sia di suo gradimento anche il regalo che le abbiamo portato.»
Rosenkreutz vide una valigetta sul sedile al suo fianco.
La aprì, trovandoci una nuova protesi per la sua gamba.
«Titanio,» disse soppesandola, « mi dovrò abituare. Quelle che ho messo  negli ultimi trent'anni erano molto più pesanti.»

* * *

22 ottobre 2013, ore 6.45
Al largo di Glifada

L'imbarcazione su cui viaggiavano Bannon e Valerie stava per attraccare.
Il molo era quasi deserto, usato per lo più da pescatori locali. Alcuni peschereggi stavano rientrando dopo una notte in mare.
Era l'alba, la ragazza si era da poco svegliata e cercava di capire dove si trovassero.
«Siamo a Glifada, mia cara,» Bannon rispose ai suoi pensieri, «tu non lo sai piccola, ma si può dire che da qui si è messo in moto tutto.»
«Dieci minuti all'attracco.» gridò il pescatore al timone.
«Molto bene.» sussurrò Bannon.

* * *

22 ottobre 2013,ore 6.50
Glifada, Molo dei Pescatori

«Stanno arrivando signore»
«Silenzio radio, quel super potrebbe intercettarci» rispose Rosenkreutz.
«Non siamo a conoscenze di questo suo potere, signore.»
«Non sappiamo molte cose su di lui, diacono Mischi.»
«Agli ordini, signore.»
Sul molo c'erano solo un paio di pescatori di ritorno da una magra pesca. Nell'aria c'era un puzzo di pesce che sembrava attaccarsi ai vestiti. Degli uomini della Hypotetical nessuna traccia.
Che il loro infiltrato abbia fatto il doppiogioco? Odiava quei patetici super.
La barca stava attraccando non molto lontano, il mare calmo consentì una manovra sicura e veloce. Solo una leggera brezza proveniente dal mare. Il Signore li aiutava tenendoli sottovento.
Un uomo e una donna scesero dall'imbarcazione. Bannon e il bersaglio, Valerie Broussard.
Duecento metri.
Dovevano attendere il più possibile.
Centocinquanta metri.
Quasi a tiro.
Cento metri.
Fece un cenno al diacono Mischi, che lo rigirò al fratello Nereo.
Il rumore soppresso del fucile fu coperto dal beccheggio di un peschereggio li vicino.

Valerie si accasciò a terra.
Bannon si chinò. Uno sguardo veloce alla ragazza gli fece notare un proiettile tranquillizzante spuntare dal collo.
«Dannazione», si girò verso l'inizio del pontile. «Abbiamo ospiti indesiderati.»
Cinque uomini in tenuta da combattimento, guidati da un uomo sulla cinquantina.


*  *  *

22 ottobre 2013, ore 6.55
Korinthos
Sede Centrale della Hypotetical Inc., ufficio del presidente

Sullo schermo, la ripresa in diretta di quello che sembra uno scontro su un molo.
«Ottimo direi,» Kedives sorseggiò dal bicchiere, «ora vediamo di far capire anche al Vaticano, che la Grecia non vuole intromissioni. Terrestri o divine che siano.»
Uno degli uomini sul molo, alzò le mani verso Bannon.
«Cosa sta facendo?» chiese Pavel.
«Credo stia cercando di compiere un esorcismo.»
«Ah ah ah, credono ancora a quelle fandonie?»
«Non solo ci credono. Ma ne hanno fatta un'arma.»
«Mi scusi?»
«Osserva, mio caro Pavel. Osserva.»

* * *

22 ottobre 2013,ore 7.00
Glifada, Molo dei Pescatori

«...in nomine et virtute Domini Nostri Jesu Christi, eradicare et effugare a Dei Ecclesia,...»
«Cosa credi di fare con questo sproloquio in latino?»
Rosenkreutz continuò nella litania.
«...ab animabus ad imaginem Dei conditis ac pretioso...»
A Bannon cedettero le gambe. Il suo corpo di fece pesante.
«Non vorrai farmi credere..che..»
«...divini Agni sanguine redemptis
Il super era a terra, svuotato di ogni forza. Anche il solo respirare risultava difficile.
Rosenhreutz gli si avvicinò. «La parola di nostro Signore. Da secoli capace di inibire il potere di voi demoni, voi posseduti, voi aberrazioni. Per tua fortuna non ti ucciderà. Per tua sfortuna sarai senza forze per qualche giorno.»
Il comandante dell' Entità si rivolse al suo secondo.
«Diacono, impacchetti questi due.»
Non ebbe risposta.
«Diacono...» si girò verso la sua squadra. Erano tutti a terra. Il sangue che si spandeva da sotto i loro corpi non lasciava dubbi.
«Aberrazioni doppiogiochiste. La razza peggiore.»
Qualcosa lo colpì, la vista iniziò a vacillare.
Cercò di resistere ma era inutile, cadde a terra, mentre una decina di uomini armati usciva dal vicino peschereccio.
Che sciocco a non controllare – pensò Rosenkreutz
Gli uomini della Hypotetical, avvicinarono.
«Ehi svizzero, grazie per il doppio regalo. Ti devo un Banana Daiqiri»
«Tu..tu sei...»
«Morto? In effetti la visione creata dal mio amico era molto efficace. Cavoli, vedermi sbudellato in quel bar mi ha scosso.»
«No...tu...sei...morto.»
«Amico sono qui, davanti a te. Credici.»
«Credimi tu. Se dico...che sei...morto.» Rosenkreutz svenne.

* * *

22 ottobre 2013, ore 7.05
Korinthos
Sede Centrale della Hypotetical Inc., ufficio del presidente

Sugli schermi Kedives poteva vedere il frutto dei suoi piani.
In America la popolazione iniziava a rivoltarsi contro un governo di falsi patrioti.
A Glifada, i suoi uomini stavano prelevando altri due personaggi chiave per la sua lotta.
E nei sotterranei, l'algida eroina russa stava per cadere in trappola.
«Pavel, mio caro, è ora che i greci sappiano.»
«Avviso i giornali, signore.» disse l'aiutante del presidente uscendo dall'ufficio
Kedives si alzò dalla sua poltrona e prese il telefono; premette un tasto di chiamata rapida e attese.
Dopo pochi secondi una voce dal forte accento tedesco rispose all'altro capo dell'apparecchio.
«Tutto finito?»
«Tutto secondo i piani.» rispose Kedives
«Si ricordi il nostro patto.»
«Non si preoccupi. Sono un uomo di parola.»
«A presto.» Un click chiuse la conversazione.
«A presto, Klaus.» sussurrò Kedives.
- - -

Capitolo scritto da Valerio Villa (LaPonga Edizioni)

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Grafica a cura di Giordano Efrodini

mercoledì 24 aprile 2013

Capitolo 11 - Stagione 2 (di Nicola Parisi)


20 Ottobre 2013
Santorini, Grecia


La prospettiva di Rosenkreutz è totalmente riempita dalla struttura della Villa, da tre giorni tutti i suoi pensieri sono rivolti alla costruzione prodotto di un opulenza di altri altri tempi.
Tempi che sembrano irrimediabilmente lontani, dal momento che tutto nel complesso che sta osservando: dal giardino incolto fino alle crepe nei muri sembrano voler denunciare un irreversibile decadenza.
Tre giorni a sorvegliare la Villa, il luogo dove convergevano tutti i segnali, tutte le emissioni incontrollate, tre giorni ad aspettare il nulla, soffrendo il caldo afoso dell'isola, interminabili ore senza nemmeno scorgere una luce che si accendesse all'interno, tre giorni senza che nessuno entrasse ed uscisse dal luogo.
Sopratutto tre giorni rovinati dalla forzata compagnia di Angelo.
Per l'ennesima volta Rosenkreutz rimpiange il fresco dei corridoi vaticani.
«Basta adesso! Sono stanco di aspettare. Riproviamo ad entrare!»
Angelo perso nel suo Ipad sembra scuotersi a stento dalla sua indolenza. Con estrema disinvoltura il giovane Super fa almeno lo sforzo di alzarsi :«Il mio potere non funziona lì!» Il dito teso ad indicare la Villa «Non so perché ma qualcosa o qualcuno dentro quella merda di posto, interferisce deviandoci. Quante volte ci abbiamo provato? tre ? Quattro? Non ti è bastata l'ultima volta?
Cavolo! Ancora sento la puzza di quella maledetta porcilaia!»
«La ragazza è lì dentro lo sento. Ascoltami Angelo,  pure io preferirei fare irruzione in quel cazzo di posto con le armi spianata accompagnato da una divisione dell'Entità ,  però  conosci gli ordini: per il momento dobbiamo cercare di tenere un profilo basso. Dai!»  Prova ad addolcire Rosenkreutz  «Sarà l'ultima volta! Se non dovesse funzionare nemmeno stavolta ti prometto che chiamerò rinforzi e tenteremo altre strade.»
Angelo sospira, non lo dice al suo compagno ma dentro di sé non fa altro che chiedersi  come mai certe cose non siano mai capitate ad Harry Potter mentre il Capitano dell'Entità si domanda cosa abbia fatto di male per finire in compagnia del giovane
«Va bene»  si rassegna Angelo «Vieni, solita procedura appoggiami una mano sulla spalla. Così. E speriamo bene. Uno... due...»
. Pensa decisamente Rosenkreutz. Il Vaticano è decisamente lontano.
«Tre!»
Ancora una volta Rosenkreutz si sente risucchiare dal vuoto.

*  *  *

20 Ottobre 2013
Egitto – Deserto occidentale.

Non rimane poi molto del corpo di Heavy Rain dopo la caduta. Un rivolo di sangue ancora esce dal  volto tumefatto del cadavere. Il resto sembra essere stato rivendicato dalla sabbia.
«A quanto pare la stagione delle piogge è finita in anticipo quest'anno.»
Rebel Yell è abituato alla morte, eppure c'è qualcosa nell'espressione di sorpresa congelata nello sguardo di Rain che lo scuote, quasi non si accorge nemmeno del risuonare rabbioso del telefono satellitare.
E ci può essere un unica persona a conoscenza di quel particolare numero.
«Ci aveva visto giusto. La crisi sta colpendo per primo l'Egitto non la Grecia.»
La risposta sembra arrivare da eoni di distanza, la voce che gli risponde tramite l'apparecchio è poco più di un sibilo, a Yell sembra di intercettare come una sorta di musica dal sottofondo.
«Siamo solo l'inizio, mi creda Yell  » risponde la voce «Gli eventi stanno accadendo troppo in fretta. Perfino per me. Si sbrighi ad arrivare al Cairo, se i cloni di Wael cominciano a farsi la guerra tra loro non riusciremo più a fermare  tutto questo casino.»
Rebel per un attimo pensa al Grande Toth, pensa al sé stesso di molti anni prima, non può nemmeno impedirsi di pensare per un solo, breve attimo ad Ammit.
Dei tre è questo il ricordo che gli fa più male.
Dio Mio, quanto ancora dovrò pagare per quell'unico errore?
Rebel sa che in futuro si odierà ancora di più di quanto non faccia già, ma rivolge lo stesso la domanda:
«Lei come sta?»
«La ragazza sta bene»  gli risponde il crepitio lontano «Almeno per il momento. Ora debbo lasciarla, temo di stare per ricevere delle visite.»
Il satellitare rimane muto nelle mani di Yell, per la prima volta da che abbia memoria il Super si sente vecchio.
Vecchio è  stanco.
Dio Mio, quanto ancora dovrò pagare per quell'unico errore?
Per tutto il resto della vita, temo.

Yell si scuote giusto in tempo per accorgersi del sopraggiungere del tramonto.
In lontananza l'immensa nube di fumo proveniente del Cairo non accenna a scomparire.

*  *  *


20 Ottobre 2013
Atene, Grecia

Nel momento in cui la realtà esterna riappare ai suoi occhi, Christian Maria Rosenkreutz è convinto di essere pronto a tutto. Nel momento in cui osserva il  locale dentro cui è spuntato si convince di essersi sbagliato.
Attorno a lui si alzano le urla a metà tra il sorpreso e lo spaventato degli avventori del Bar.
Gli occhi di Rosenkreutz lentamente si abituano allo scintillio delle luci stroboscopiche: le scritte neon alle pareti, i vari poster disseminati per tutto il locale non lasciano spazio al dubbio.
Angelo appare più sconvolto di lui «Mi sa che siamo finiti dentro un Bar per Gay» Il ragazzo tiene gli occhi bassi  mentre attorno a lui una folla di soli uomini fugge  velocemente verso l'uscita calpestando un tappeto di ombrellini rosa da cocktail.
«Adesso comincio veramente a stancarmi! Riportami alla Villa Angelo, a costo di farla bombardare quel posto ora ho realmente voglia di trovarmi faccia a faccia con la persona che mi sta prendendo per il cu...per i fondelli !»
«Aspetta un momento Christian. Visto che ormai siamo qui, cosa ne diresti di farci almeno un Banana Daiqiri prima di andarcene?»

*  *  *

20 Ottobre 2013
Santorini, Grecia

L'eco delle ultime note dell'Adagio di Albinoni si dissolve tra le mura della Villa, dentro la stanza  due uomini si studiano.
«Una musica adatta a queste circostanze, non ritieni?» Sorride Aran Ohana.
«Non saprei» Gli  risponde l'agente che finge di non notare il cassetto dove Aran rinchiude il cellulare utilizzato fino a pochi istanti prima. Così come in precedenza ha finto di non fare caso alla conversazione dell'altro.
Apparentemente l'attenzione di Bannon è rivolta allo schermo del P.C da cui da ore appaiono i servizi che le reti All News  di tutto il globo dedicano alla crisi egiziana: la schermata della BBC si sofferma in maniera quasi ipnotica sulle forme  lisergiche della nube incendiaria, la CNN invece  preferisce soffermarsi sulle urla dei feriti delle baraccopoli cairote, solo il corrispondente della tedesca ARD, rimanda in un continuo loop le inquadrature della figura umana che si muove incolume tra le fiamme color rosso sangue in direzione del palazzo presidenziale.   
Bannon sente il bisogno di distogliere la vista da tutte quelle scene di distruzione. Quando si decide a parlare il suo è quasi un bisbiglio.
«Voglio risposte. Prima quando ci hai trascinato qui dentro hai accennato qualcosa sulla ragazza.»
Con un cenno della testa l'agente indica Valerie, la ragazza  in fondo alla stanza  ha superato la crisi provocatagli dai suoi poteri e adesso sta giocando con Flender.
Con movenze studiate, quasi da attore l'essere che si fa chiamare Aran si siede vicino a lui, un gesto delle mani e l' Adagio viene sostituito da un altra sinfonia.
«Ecco,mi sbagliavo forse l' Arlesienne  è più adatta a questa chiacchierata. Con Bizet si va sempre sul sicuro.»
Le mani intrecciate sul petto Ohana sembra quasi trovare divertente l'irritazione di Bannon, adesso i due uomini sono talmente vicini che  ognuno potrebbe quasi sentire il rumore del respiro dell'altro.
«Risposte  Bannon?  Vedi   questa è una storia complicata: ufficialmente stiamo parlando di  Loxias , della Hypotetical,  o perfino  di quei due buffoni che da giorni stanno cercando di introdursi dentro questa Villa, buffoni, che per inciso, potrò tenere lontani da noi ancora per poco. Ufficialmente c'è perfino una ragazza spaventata e quel tuo ridicolo Protocollo che ti ha imposto di occuparti di lei.»
«E in realtà?»
«In realtà questa è una storia complicata, che come tutte le storie complicate scava che ti scava si rivelano semplici storie di amicizie tradite, di padri, figli e di madri. sopratutto di madri pericolose.
Madri ingombranti  e anche pericolose, aggiungerei .»
«Continuo a non capire.»
«Capirai. Eccome se capirai !»  Aran allarga le braccia al cielo in atteggiamento ieratico, al punto che Bannon comincia a temere di avere a che fare con un matto.
«Vedi, non posso darti tutte le risposte che cerchi, ma  non adesso! Mancano ancora due attori fondamentali alla nostra piccola farsa, presto i due buffoni saranno dentro e allora potremo procedere. Però qualcosa te la posso anticipare già adesso.»
Aran mostra tre dita.
«Come dicevo questa è fondamentalmente una storia di padri e di figli. Ci possono essere diverse tipologie di paternità o maternità: esiste la via che ci indica la natura con i figli naturali  o con quelli adottivi che sono la maggioranza.» Il primo dito viene abbassato. «Poi ci può essere una seconda tipologia: i cloni di un individuo originario,  come  potrebbero esserlo i Canopi o i Girini del Grande Toth, tutti esseri che adesso stanno impazzendo a causa dell'eccesso di stress.»
Per un attimo l'uomo si interrompe, adesso un unico dito resta alzato, da lontano giungono le risate di Valerie. Quando riprende a parlare la voce di Aran Ohana presenta una velatura di tristezza.
«Infine  ci sono i casi più pericolosi: i figli di mostri come Ammit. Naturalmente, anche se lei ancora non lo sa,  parlando della nostra piccola  Valerie Broussard!»
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Capitolo scritto da Nicola Parisi (Nocturnia blog)

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Grafica a cura di Giordano Efrodini

mercoledì 20 marzo 2013

Capitolo 6 - Stagione 2 (di Gherardo Psicopompo)


16 Luglio 1934
Shoreham – Long Island
Stati Uniti

«Ora che il Protocollo è stato stabilito, bisogna assicurarne la segretezza assoluta. »
Ramon Salazar si guarda intorno, cercando l’approvazione dei presenti.
«Tuttavia... » il viso e la voce di Achille Ratti tradivano inevitabilmente la sua stanchezza «Tuttavia riteniamo necessario precisare una cosa. »
«Prego, santità. »
«Esiste la possibilità, e lo dico da uomo di fede quale io sono, che qualcuno desideri appropriarsi di certe conoscenze per... Mistificare la natura delle conoscenze stesse. »
«Voi pensate ad una specie di... Falso Messia?» la domanda di Tesla va dritta al punto.
«Sì. In tal caso, sarebbe inevitabile per noi la scelta di rendere pubblica la vera natura di queste conoscenze, e dei poteri ad esse collegati.»
* * *

13 Ottobre 2013 – ore 19.30
Glifada (Atene)
Grecia

Clark invia mentalmente un segnale telefonico.
A migliaia di chilometri di distanza, un cellulare squilla.
«Pronto?»
«Buon giorno, tovarisch.»
Una breve pausa all’altro capo della conversazione.
«Chi parla?»
«Chiamami Clark.»
«E che cosa vuoi da me, Clark?»
«La linea è sicura?»
«Sì.»
«Voglio offrirti qualcosa di interessante, Gennadi.»
«Che genere di cose interessanti?»
«Giudica tu.»
Clark trasferisce una parte –una minima parte- dei dati che aveva acquisito dalla chiavetta USB di Filippou allo smartphone del suo interlocutore.
Segue un’altra breve pausa.
«Ma che cazzo... Come hai avuto questa roba?!»
«Amici. E questo non è che la punta dell’iceberg.»
«E che cosa vuoi, adesso?»
«Rovinare la festa a Kedives. Ma ci sono di mezzo già lo START e Fortress Europe, che non mi sono particolarmente simpatici. Non ne vorreste una fetta anche voi?»
«Sì, ma tu cosa vuoi? O mi vuoi far credere che stai facendo tutto questo per la Grande Madre Russia, Clark?»
«Voglio sparire. Dalla circolazione, e da tutti gli archivi. Tutti. E voglio vivere il resto della mia lunga vita come un uomo schifosamente ricco e tranquillo.»
«Un uomo di nobili principi.»
«Aspetto una risposta.»
«Come ti trovo?»
«Vieni ad Atene. Poi ti trovo io.»
Clic.
Il maggiore Gennadi Kisurin rimane per alcuni istanti immobile, appoggiandosi alla scrivania. Poi schiaccia un tasto sull’interfono.
«Maggiore Kisurin?»
«Chiamatemi il Comando. E mandatemi Sibir.»
* * *

17 Ottobre 2013 – ore 12.00
Città del Vaticano
Italia

Christian Maria Rosenkreutz, comandante dell’Entità, si rigira tra le mani la foto della ragazza. Ha già memorizzato ogni minimo particolare: i capelli rossi, gli occhi azzurri, le lentiggini, il mento leggermente appuntito, una minuscola cicatrice sulla fronte, appena sotto la frangetta.
Valerie Broussard.
Restituisce la foto al Cardinale.
«Non ne ho più bisogno. Ho un’ottima memoria fotografica.»
«Buon per lei, comandante.» Il cardinale si prende un momento per sfogliare le pagine del dossier che ha sulla scrivania «Nella missione sarà affiancato da...»
«Nessuno. Di solito lavoro da solo, quando lavoro per i Servizi.»
«Questa non è una missione normale. E lei lo sa benissimo. Conosce il Protocollo: uno di noi, uno di loro
Rosenkreutz abbassa lo sguardo.
«Dicevo, sarà affiancato da questo ragazzo» gli porge un fascicolo con allegate delle foto «è stato giudicato il Superumano più idoneo alla missione. Buon lavoro, comandante.»
***


Qualche ora dopo, Rosenkreutz è intento a fissare il suo collega che naviga su internet e fischietta un motivetto che gli ricorda la colonna sonora di un film.
«Bene, fatto.»
«Cosa?»
«Mi sono fatto un’idea precisa del posto dove dobbiamo andare. È tutto quello che mi serve.»
«Bene.»
«Non sei un tipo di molte parole, eh?»
«Sono abituato a lavorare da solo.»
«Che tristezza.»
«Andiamo, Angelo?»
«Gli amici... Quelli che sanno del mio potere, intendo, mi chiamano Passaporta.»
«Non siamo amici. Solo colleghi.»
«Ma sai del mio potere.»
«Touché. Com’era? Passa...?»
«Porta. Passaporta. Mai visto Harry Potter?”
«No.»
«Immaginavo. Vieni, appoggiami una mano sulla spalla. Così.»
In un attimo, con un rumore come di risucchio, i due spariscono.
***

17 Ottobre 2013 – ore 19.30
Santorini
Grecia

«Fico, eh? La prima volta di solito viene da vomitare a tutti. A te no?»
«No.»
«Ti sei già teletrasportato, con altri Super intendo?»
«No.»
«Ah, ho capito. Quindi sei solo immune alle emozioni dei comuni mortali. Vabbè.»
«Come funziona? Il potere, dico. Cosa senti, come fai a...»
«Facile. Visualizzo un posto, visualizzo me in quel posto, apro gli occhi e ci sono. Hanno cercato di spiegarmi le questioni fisiche... Alla fine ho capito più o meno che non sono io che mi sposto ma tipo la realtà che si modifica... Però non credo di aver capito bene bene.»
«Infatti. Andiamo.» Christian gli volta le spalle e comincia a camminare in direzione del centro abitato.
«Hai un accento strano... Di dove sei tu?»
«Svizzera.»
«No, Novi.» la battuta di Angelo è poco più di un sussurro, lui cerca di mascherare il sorriso ebete guardando altrove.
Rosenkreutz si volta.
«Hai detto qualcosa?»
«No, perché?»
* * *

20 Ottobre 2013 – ore 23.30
Centro Ricerche della Hypotetical Inc.
Agia Paraskevi – Atene
Grecia

Il binocolo con funzione di visore notturno ad infrarossi le mostra la presenza di una dozzina di uomini armati che pattugliano il perimetro del Centro Ricerche.
La zona è anche sorvegliata da telecamere, ma probabilmente quelle sarebbero il problema minore.
Solo, non sa bene cosa aspettarsi una volta entrata.
Loxias sarà lì dentro?
E Ulysses? Le darà le risposte che cerca?
L’unico modo per saperlo è entrare.
Grazie alla supervelocità, le bastano pochi istanti per trovarsi di fronte a uno sbalordito sorvegliante. Gli spezza il collo con una mossa di krav maga senza dargli neanche il tempo di imprecare.
Il secondo sorvegliante si prende due calci: uno gli frattura il polso e lo disarma, il secondo lo manda a sbattere contro una delle colonne di cemento all’ingresso. Cade a terra privo di sensi.
Libby trascina i corpi in un punto al riparo dalle telecamere. Calcola che in meno di un minuto le altre guardie se ne accorgeranno.
Fruga nelle tasche degli uomini svenuti, riuscendo a trovare due tessere magnetiche identificative. In un paio di secondi è dentro l’edificio.
Una voce la raggiunge alle spalle, mentre sta per scendere le scale che portano ai piani seminterrati.
«Non così in fretta, giovane!»
Una scarica elettrica violacea centra il corrimano di metallo, che continua a crepitare di elettricità.
«Starcrusher?!» esclama Libby voltandosi. Ma l’uomo che ha di fronte è ben diverso dal suo nemico di un tempo. È un uomo di colore quasi calvo, piuttosto anziano, con addosso un completo di lino color sabbia. È più basso di lei di qualche centimetro, il fisico è tonico, ma non sembra particolarmente minaccioso.
«Miss Liberty, lei è appena entrata in un’area non autorizzata. Devo pregarla di allontanarsi immediatamente.»
Scariche elettriche violacee crepitano attorno al suo corpo, e gli accendono gli occhi di una luce innaturale ed inquietante.
- - -

Capitolo scritto da Gherardo Psicopompo (curatore del blog Draghi d'Ottone e Nani con la scopa)


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