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mercoledì 12 marzo 2014

Super ucronici (2): Musashi Kensei, il cybersamurai



Seconda scheda dedicata al "what if?" dell'universo narrativo di 2MM.
Dopo aver trasformato uno dei quattro più noti e potenti Super americani in un criminale folle (vedi scheda #1), ci occupiamo oggi di Musashi Kensei, il misterioso samurai che abbiamo visto in azione soprattutto nella stagione 1 di Due Minuti a Mezzanotte.

Di lui si sa poco. Forse è un old timer - un Super nato da esperimenti precedenti alla fatidica data del 1973 - ma non è certo, né appurato.
La Teleforce lo ha dotato di riflessi sovraumani che, uniti alla sua abilità di spadaccino kendo, lo rendono un combattente quasi invincibile nel corpo a corpo. Inoltre è dotato di una katana che probabilmente è stata tratta a sua volta con della Teleforce, visto che è in grado di fendere metallo e moderne corazze.

Musashi è un battitore libero, ma combatte dalla parte dei "buoni" e non è certo un criminale o un malavitoso.
Ma in questa sua versione ucronica, il buon Kensei è qualcosa di diverso.

mercoledì 26 giugno 2013

Capitolo 19 - Stagione 2 (di Smiley)


22 ottobre 2013
Atene

«Titanio,» disse Rosenkreutz soppesando la protesi d’acciaio. «Mi dovrò abituare. Quelle che ho messo negli ultimi trent'anni erano molto più pesanti.»
«Vedo che ti stai divertendo», disse una voce alla sua destra.
Rosenkreutz girò la testa di scatto. Al suo fianco sedeva un uomo coi capelli bianchi, la barba dello stesso colore, rughe grinzose intorno agli occhi verdi. Indossava una tuta nera, sulla quale spiccavano le lettere gialle ”H.I.” all’altezza del cuore.
«Chi sei?», gli domandò Rosenkreutz. «Come hai fatto ad entrare in macchina?»
L’uomo sorrise. «Non esiste nulla di più potente, dal punto di vista quantico, dell’ultimo pensiero di un uomo.»
Rosenkreutz aggrottò le sopracciglia. Afferrò la pistola presente all’interno della valigetta che teneva sulle ginocchia, la puntò alla tempia dello sconosciuto. «Ti ho chiesto chi sei.»
«Hai intenzione di uccidermi? Provaci, se vuoi.»
Rosenkreutz premette il grilletto.
Non accadde nulla.
«Ma come…»
Il vecchio increspò nuovamente le labbra in un sorriso. «Tu non puoi uccidermi, Christian. In questo universo, tu sei già morto.»

***

22 Ottobre 2013, ore 5:00
Vathy, Grecia.
Edificio R

Jackson non riusciva a fare a meno di pensare in che guai si era cacciato – In cui l’avevano cacciato – in quelle ultime due settimane. Prima Calcutta, con la dottorressa Gupta e il salvataggio da parte di Sniper e Musashi. Poi il volo dopo quattro giorni d’attesa su quel vecchio Ilyushin 76 guidato da un ugualmente vecchio bengalese senza denti, che li aveva scaricati a 20 km da Aleppo. Là avevano atteso altri due giorni, prima di ricevere finalmente una comunicazione su un canale sicuro da parte di Pi Quadro, che li aveva informati che avrebbe inviato loro in supporto il Greyhawk, il loro velivolo stealth ipersonico dotato di camuffamento olografico, assieme ai migliori Evron.
Quando il Greyhawk era finalmente arrivato, e Jackson sognava già di rientrare a Calgary, Pi Greco li aveva informati che Angela richiedeva supporto immediato ad Atene.
Una volta stabilito il punto di contatto, e prelevati la dottoressa e il super conosciuto come Stakanov, c’era stato un nuovo cambiamento di programma. All’interno del centro di ricerca della Hypotetical dove si era infiltrata alcune ore prima, Angela aveva ottenuto delle nuove informazioni su una sorgente di Teleforce potente come quella di Delfi, e Pi Quadro aveva confermato che dal suo modello 3D della Terra si era manifestata, nelle ultime 36 ore, una nuova presenza anomala dell’energia di Tesla sulle isole Ionie.
Ecco perché, dopo aver atteso un altro giorno per permettere ad Angela e Stakanov di recuperare le forze, Jackson si trovava catapultato all’interno dell’edificio che secondo Angela e Pi Quadro era la sorgente del picco anomalo di Teleforce.
E nonostante fosse protetto da Golem di classe Evron, due super e una delle menti più brillanti del pianeta, non si sentiva affatto al sicuro.


***

22 ottobre 2013
Atene

Rosenkreutz premette il grilletto.
Ancora.
Ancora.
E ancora.
Nessun suono, nessun “BANG!”.
Nulla di nulla.
Il vecchio seduto accanto a lui sospirò. «Non avevo mai assistito ad una triplice ripartizione spazio-temporale di questa portata prima d’ora. Non solo hai avuto il tempo di immaginare e creare un tuo nuovo universo personale della durata di due giorni, ma hai diversificato lo svolgere degli eventi a seconda della tua volontà del momento. Affascinante.»
Rosenkreutz strabuzzò gli occhi. Urlò. «Che succede? Non capisco!»
L’uomo gli appoggiò la mano sinistra sulla spalla. «Lascia che ti mostri.»

***

22 Ottobre 2013, ore 5:03
Vathy, Grecia.
Edificio R

Il corridoio era così stretto che due uomini affiancati non avrebbero potuto attraversarlo.
Figurarsi i Golem.
La strategia la suggerì la dottoressa Solheim prima di imboccare il passaggio. Jackson sapeva che da quando il suo laboratorio di Savannah era stato attaccato, lei era cambiata, poiché si sentiva personalmente in colpa delle perdite subite. Ecco perché, negli ultimi mesi, partecipava attivamente a tutte le missioni rischiose. Il Rafkon, l’armatura biotecnologica che indossava in quel momento, era quanto di meglio il NIMBUS avesse creato negli ultimi anni. Comandato a distanza, era il Golem definitivo, o come lo chiamava Pi Quadro, il “Super Golem”. Guidato da Angela, che l’aveva personalmente ideato e realizzato per adattarlo alle sue esigenze e alla sua struttura fisica, era il capolavoro assoluto del loro centro di ricerche.
«La situazione è fin troppo strana», disse Angela. «Fuori dall’edificio e nei settori che abbiamo controllato non abbiamo incontrato alcuna resistenza. Chiamatemi pazza, ma questo corridoio mi sembra fin troppo sospetto.»
«In che senso?», domandò Musashi.
«Un laboratorio interamente vuoto, caratterizzato da spazi ampissimi collegati da corridoi come questo, che sembrano delle strettoie fatte apposta per incastrare i nostri golem non l’avevo mai visto. E le piantine che ho recuperato ad Atene si stanno rivelando inaffidabili.»
«E allora che si fa?», chiese Stakanov, che aveva recuperato la vista dopo la cecità temporanea.
Angela rimase in silenzio un istante. Poi annuì da sola, come se avesse avuto l’idea giusta. «Dobbiamo rischiare e andare avanti. Dividerci, a questo punto, sarebbe un errore. Ci muoveremo in fila indiana cercando di raggiungere l’estremità del corridoio nel più breve tempo possibile. New Blaster, Cryptor, Ornix e Primark andranno per primi. Dopo verremo io, Stakanov, Jackson e Musashi, seguiti da New Brawler, Dural, Marker, Golder e Suitor. Sniper, tu verrai per ultimo, ci coprirai le spalle.»
«Roger», disse il Golem.
Non incontrarono problemi.
Raggiunsero l’estremità del corridoio in pochi secondi, attraversarono una porta che si aprì automaticamente al loro passaggio, e si ritrovarono all’interno di una nuova stanza, dalla forma quadrata e con le pareti interamente occupate da schermi al plasma.
Jackson pensò che da qualche parte dovesse esserci una telecamera nascosta, perché su tutti teleschermi, in quel momento, era inquadrato il suo gruppo.
A ridosso della parete opposta alla porta d’ingresso, si trovava un oggetto dalla forma ovoidale, alto un metro e mezzo.
Jackson non ebbe il tempo di pensare cosa fosse. L’uovo ruotò su sé stesso, mostrandosi per quello che era: una specie di seggiola. Nella sua parte cava era seduto, con la gamba sinistra accavallata sul bracciolo, un uomo pelato.
Gli occhiali da sole non consentivano di vedere i suoi occhi, ma il camice nero indossato su di una tuta dello stesso colore, in contrasto con il colorito cadaverico della sua pelle, lo rendevano estremamente inquietante.
Jackson non aveva mai avuto modo di incontrarlo, ma aveva letto e studiato a fondo i file che lo riguardavano. Non credeva che quell’uomo fosse proprio davanti a lui.
Anche Angela sembrava stupefatta. «Cosa ci fa lei qui?»

***

22 ottobre 2013, ore 7.00
Glifada, Molo dei Pescatori

«No...tu...sei...morto.»
«Amico sono qui, davanti a te. Credici.»
«Credimi tu. Se dico...che sei...morto.»
Rosenkreutz vide sé stesso svenire davanti a un redivivo Angelo. Allungò una mano per afferrarlo, ma la mano gli passò attraverso, come fosse divenuto un fantasma. Fece un passo indietro, spaventato. «Che diavolo sta succedendo?», gridò, in direzione del vecchio.
Quello scrollò le spalle. «È la tua prima tripartizione. Hai immaginato di rivedere il tuo amico decidendo di far fallire la missione. Nella seconda, che non ti mostro per motivi di tempo, affronti i soldati della Hypothetical e porti a termine il tuo compito. Nella terza, invece, che è la più divertente, risolvi in tutta solitudine l’emergenza Kedives, salvi il mondo esorcizzando Loxias e converti addirittura la dottoressa Gupta. Niente male anche la panoramica su Kedives che contatta il tuo vecchio maestro. C’era forse della ruggine, tra voi due?»
Rosenkreutz crollò in ginocchio.
La realtà intorno a lui scomparve in un vortice bianco.

***

22 Ottobre 2013, ore 5:05
Vathy, Grecia.
Edificio R

Il dottor Spencer Grant si alzò dalla sedia ovoidale e fece un passo in avanti. «Benvenuta, dottoressa Solheim.» Con un cenno della testa indicò Musashi e Stakanov. «Benvenuto anche a te, Alexsej. E anche a te, Takezo
Jackson vide Musashi aggrottare le sopracciglia.
Un attimo dopo, Grant gli rivolse la parola. «Tu, invece…Non ti conosco. Ma i tuoi occhi mi rivelano tutto ciò che devo sapere. Flare di Teleforce. Telecinesi. Giusto? In ogni caso, benvenuto anche a te.» Infine indicò i Golem. «Vedo che come suo padre, suo nonno e il suo bisnonno, anche lei è affezionata a quei giocattolini, dottoressa Solheim.»
«Cosa intende dire?», chiese Angela.
«Che la sua famiglia cerca incessantemente da settant’anni di emulare ciò che ha fatto George Moore, senza mai esserci riuscita o minimamente avvicinata. I suoi golem sono solo rotelle meccaniche che girano grazie a un nucleo di teleforce. E lei è appena giunta allo stadio dell’umano all’interno di un costrutto biomeccanico. Ci vorranno ancora diversi decenni prima che sia in grado di realizzare la forma inversa. Ma d’altronde il dottor Moore era un genio visionario, avanti un secolo rispetto a tutti gli altri scienziati del suo tempo. Il lavoro della famiglia Solheim non può essere minimamente paragonato al suo. O al mio.»
«Credevo che il suo laboratorio fosse a Corinto, alla sede centrale della Hypothetical!»
Grant sbottò in una risata. «Solo un pazzo conserverebbe tutta la propria ricchezza in un unico posto.»
«Lei è un pazzo.»
Grant face spallucce. «Sono sempre stato abituato a certe parole. Ad ogni modo, dottoressa, cosa la porta qui? Cosa posso fare per lei?»
«Lo sa benissimo. C’è lei dietro gli esperimenti della Hypothetical. È lei, che secondo le nostre informazioni, ha creato Loxias. E sono sicuro che la causa dei picchi anomali di Teleforce in questa zona dell’Europa è sempre lei, dottor Grant. Perché lo fa? Perché ha creato un’aberrazione come Loxias?»
«Per lo stesso motivo per cui lei crea i suoi pupazzetti, dottoressa. Perché amo la scienza e la genetica. E perché Kedives ha creduto nelle mie ricerche e mi ha pagato più degli altri. Ma non è una questione di vile danaro. Mi creda, su questo. Io sono sempre lo stesso che ha lavorato con Salazar, prima che mi cacciasse per le mie idee. Sono sempre lo stesso che ha lavorato con e per gli americani, prima che mi dessero il benservito. E sono sempre lo stesso che ha lavorato con suo padre, prima che anche lui mi mandasse via perché spaventato dalle mie ricerche. Ma si sa, il tempo è galantuomo. E alla fine sono io quello che ha dimostrato di aver ragione.»
«Ragione su cosa? Lei sta collaborando con dei criminali! Quali sono i vostri scopi? A che cosa state puntando?»
«Per quanto mi riguarda, punto solo al perfezionamento. Menti illuminate come Tesla e come Moore avevano intuito che la Teleforce poteva migliorarci. Mentre invece, la maggior parte di coloro che l’hanno utilizzata, l’hanno sempre ritenuta il fine da raggiungere. Non il mezzo.»
Angela scosse il capo. «Non credo di seguirla.»
Grant ghignò. «Come potrebbe, d’altronde? Lei utilizza la Teleforce per far muovere i suoi giocattolini, Salazar e quelli prima di lui hanno utilizzato la teleforce per creare quelli come Alexsej o Takezo.»
«E lei ha utilizzato la Teleforce per creare quel mostro di Loxias!», disse Stakanov.
Grant sogghignò. «Non proprio, Alexsej. È qui che vi sbagliate tutti.»

***

20 Ottobre 2013
Santorini, Grecia

Rosenkreutz vomitava a quattro zampe sul pavimento di una stanza sconosciuta. Nonostante i conati lo inchiodassero in quella posizione, riuscì a mettere a fuoco l’ambiente circostante.
Alla sua sinistra, una striscia di sangue trasversale macchiava la parete e l’acquario incassato nel muro. Sotto l’acquario, la protesi in acciaio di una metà inferiore di una gamba con un mocassino nero era a pochi passi dal corpo inerte di un cane. Alla sua destra, su di una poltrona, giaceva il cadavere di un uomo reso irriconoscibile da diversi proiettili.
Rosenkreutz fu scosso da un nuovo conato. «Cos’è questa diavoleria? Perché non mi rispondi? Che mi sta succedendo?»
Il vecchio raccolse la protesi, gli passò accanto e si piazzò alla sinistra del cadavere sulla poltrona. «Te l’ho detto, Christian. Sei morto.» Sventolò la gamba d’acciaio e gliela gettò davanti. «Questo sei tu. O quel che ne rimane. Bannon ha utilizzato un giocattolino che ha vaporizzato te e il teleporta che ti accompagnava. Questo, invece», disse indicando il morto, «Sono io, qualche anno fa. O almeno, è l’io di questo universo. Un universo molto più interessante di quello in cui ho accettato l’assegno di quelli della Hypothetical, non sono stato ucciso dal mio compagno Bannon, e ho reso a Kedives, Loxias e Grant il gioco più semplice. Ogni tanto mi concedo un viaggio qui per godermi lo spettacolo che questo universo offre in questi giorni.»
«Io…Io non capisco…», balbettò Rosenkreutz. «Se sono morto, come faccio a parlare con te?»
«Il pensiero umano viaggia a velocità inimmaginabili, in un picosecondo interi universi nascono, crescono, si sviluppano, evolvono e poi muoiono. Universi personali come quello che hai creato tu, Christian. Io, col passare del tempo, ho imparato a viaggiare non solo attraverso il multiuniverso, ma anche a vedere quelli creati dai singoli individui. Ogni viaggio ha un costo per il mio corpo, ma credimi, ne vale dannatamente la pena. Soprattutto quando il pensiero si tramuta in pura energia, e per una infinitesima frazione di secondo sopravvive alla materia, modificandola e plasmandola a proprio piacimento.»
Rosenkreutz sgranò gli occhi. Vide le sue mani divenire trasparenti. «Allora…tutto quello che ho vissuto…non era reale?»
Il vecchio sorrise. «Lo era per te. Ma nella realtà di questo mondo sei appena morto. Naturalmente, essendo il tuo l’ultimo pensiero di un singola persona, non ha impatto sugli altri o sulle scorrere del tempo reale
Rosenkreutz si accorse che le mani erano scomparse. Adesso erano le braccia ad essere trasparenti. «Cosa mi succederà?»
Il vecchio si strinse nelle spalle. «Questo non posso saperlo. Quando l’energia creatrice del pensiero svanisce, l’universo parallelo personale che l’individuo ha plasmato svanisce di conseguenza. Ad ogni modo, una domanda del genere non dovresti nemmeno porla. Non posso sapere cosa succede dopo. E poi, tra noi due, quello credente dovresti essere tu. Addio, Christian.»

***

22 Ottobre 2013, ore 5:14
Vathy, Grecia.
Edificio R

«Come vi ho appena detto, la Teleforce altera un individuo sotto ogni punto di vista, organico e genetico. Chi viene investito dalla Teleforce è identico a prima solo esteriormente, mentre invece il cambiamento è totale, radicale. Ed è totalmente innaturale. Cosa succederebbe, invece, se la Teleforce venisse irradiata in persone predisposte geneticamente ad accoglierla?»
Jackson vide Angela portarsi una mano alla testa, Musashi deglutire e Stakanov saltellare nervosamente da un piede all’altro. Stava cominciando a capire dove il dottor Grant volesse arrivare.
«Il flare di Teleforce è l’esempio perfetto per farvi comprendere ciò che intendo dire», continuò Grant. «Ha fatto nascere nuovi super, come il nostro amico qui presente, mentre quelli già dotati di poteri li hanno visti incrementare a dismisura. Questo aumento, però, è stato solo temporaneo, dato che i super, per divenire tali, sono stati esposti alla Teleforce già una volta. Immaginiamo invece di avere la possibilità di creare dei super senza utilizzare la Teleforce, partendo da dei semplici embrioni e utilizzando il DNA di individui dotati di poteri di varia natura. Cosa succederebbe se questi individui, una volta cresciuti e già in possesso di capacità strabilianti, venissero esposti alla Teleforce?»
«Creeremmo dei mostri…», disse Angela.
«Sbagliato, dottoressa Solheim!», esclamò Grant. «Creeremmo degli dei. Vere e proprie divinità al nostro servizio. Utilizzando la Teleforce come mezzo, e non come fine.»
«È così che ha creato Loxias, dottor Grant? Ha somministrato Teleforce ad individui geneticamente modificati?»
Grant annuì. «I miei esperimenti hanno dimostrato che una persona che nasce già con un patrimonio genetico modificato dalla Teleforce, può incamerarla in modo naturale. E amplificare i propri poteri in modo permanente. In una scala da 1 a 10, dove “1” è rappresentato da un novello super che non sa come utilizzare i propri poteri, e “10” da un super esperto inondato dal flare di Teleforce, Loxias e gli altri arrivano probabilmente a 50…Se non di più.»
Angela fece un passo indietro. «Altri? Ce ne sono degli altri?»
Grant ridacchiò di nuovo. «Oh, sì. Ce ne sono altri quattro, come lui. E aveva ragione sui picchi inusuali di Teleforce, dottoressa. Ogni qualvolta ne avete registrato uno in questi ultimi mesi, un Dio è sorto. Sono eccitato di vederli in azione, sa? Mancano solo…», Grant guardò l’orologio che aveva al polso, «Poco meno di tre ore, prima che il piano abbia inizio.»
Musashi estrasse la sua katana dal fodero, l’acciaio emanò una luce violacea. «Di cosa parli?»
«Loxias e gli altri Dei faranno piazza pulita dei centri militari di ogni singola nazione. Le simulazioni del nostro Pavel hanno stimato che, incontrando la massima resistenza degli eserciti e dei super a disposizione delle varie nazioni della Terra, i nostri saranno in grado di portare al termine la missione nel giro di due ore. E nella peggiore delle ipotesi, rimarremmo con due Dei. Quello che avverrà dopo è molto semplice. L’Hypothetical Incorporated sarà l’unica multinazionale al mondo in grado di poter garantire pace, stabilità e sicurezza su scala planetaria. Avremo il monopolio della difesa degli altri paesi, e i Governi faranno la fila per chiedere la nostra assistenza. Il tutto con la legittimazione di chi ha subito un attentato alla propria sovranità popolare. Gli Dei scenderanno sulla terra per punire i malvagi, dispenseranno morte e distruzione, dopodiché prometteranno un futuro fatto di pace e libertà. La Hypothetical non avrà contendenti, e io potrò continuare in tutta tranquillità le mie ricerche.»
«Siete pazzi! Sei pazzo! Non te lo lasceremo fare!», urlò Angela.
Grant si tolse gli occhiali da sole. Due occhi gelidi si posarono su tutti loro. Sorrise. «Dottoressa Solheim, lei mi delude. Pensa che io le avrei detto tutte queste cose se lei avesse avuto una minima possibilità di fermarci? Per chi ci ha preso? Per i cattivi di un fumetto? Lei è giunta qui seguendo i picchi anomali di Teleforce. Non dimentica forse qualcosa? Guardi alle sue spalle…»
La porta della stanza si aprì.
Jackson, Angela, Musashi, Stakanov e i golem si voltarono di scatto.
«N…non può essere…», balbettò Jackson.
«Fuoco, fuoco!», urlò Angela.
I Golem crivellarono di proiettili la figura che avevano davanti. Gli schermi sulle pareti esplosero in miliardi di pezzi, la stanza fu ricoperta da una nube di polvere e da un puzzo di cordite.
Jackson si era nascosto dietro Sniper, che nel frattempo era stato affiancato da Musashi e Stakanov.
«Come ai vecchi tempi, eh?», urlò il russo nel frastuono generale.
Musashi non ebbe tempo di rispondergli.
La figura emerse dalla polvere, il suo pugno bucò lo stomaco del giapponese, fuoriuscì dalla schiena. Stakanov gli si gettò addosso, ma due fasci di luce rossa, emanati dagli occhi dell’uomo, lo incenerirono all’istante.
Jackson cadde all’indietro, il culo sul pavimento. Era impietrito. A pochi passi da lui, Musashi giaceva a terra in un lago di sangue. Di Stakanov, invece, non rimaneva che polvere. Tentò di seguire i movimenti dell’uomo – del Dio – evocato da Grant, con i propri occhi, ma era impossibile, dato che sembrava muoversi ad una velocità ipersonica.
Nei secondi successivi, Jackson udì dieci esplosioni in successione. Poi vide solo alcune parti meccaniche dei golem. Frammenti di dita, di braccia, di gambe, di mitragliatori e di teste erano sparpagliati sul pavimento intorno a lui.
In piedi, alla sua sinistra, rimaneva solo Angela.
La dottoressa stese il braccio, il palmo della mano rivolto in avanti. Ne fuoriuscirono dei raggi di luce bianca, che colpirono il Dio dritto nel petto.
Il Dio vacillò un istante, poi balzò addosso ad Angela, afferrò la sua gola e la sollevò da terra.
Jackson serrò gli occhi. Alle sue orecchie arrivò un “CRICK!” metallico, seguito da un tonfo. Quando riaprì le palpebre, il corpo di Angela racchiuso nel Rafkor era a terra, il collo piegato a sinistra in una posizione innaturale.
Grant si fece una grassa risata.
Jackson rimase immobile al suo posto, mentre il Dio si avvicinava a passi lenti verso di lui.
Quando si fermò davanti a lui, Jackson lo vide torreggiare su di sé. Indossava una tuta aderente completamente nera. All’altezza del cuore risaltavano due lettere gialle “H.I.”.
Jackson non voleva crederci.
Non poteva crederci.
Il volto.
Le fattezze.
La potenza smisurata.
Il Dio era proprio lui.
Quello che una volta era conosciuto come il Sogno Americano.
Un Sogno Americano redivivo, ma nella maniera sbagliata.
Un incubo.
Alla stessa stregua di ciò che era avvenuto ad Admiral City.
Jackson ebbe un moto d’orgoglio. «Come ci sei riuscito?»
«Quando hai a disposizione il DNA del più potente dei Super assieme una sua copia genetica identica, crearne un altro partendo da un semplice embrione è molto semplice. Il resto mi sembra di avertelo già spiegato.»
Jackson deglutì. «Copia genetica identica?»
«Oh, sì. Una copia genetica identica. Com’è che li avevano chiamati? Ah, già. Triari. Erano dei cloni depotenziati del vostro eroe prediletto, sai? Ma ormai non importa più, dico bene telecineta
Jackson alzò lo sguardo in direzione del Dio, che gli sorrise.
Chiuse gli occhi.
Per un istante, vide Tabitha.
Poi una luce rossa lo ottenebrò.
- - -

Capitolo scritto da Smiley

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Impaginazione a cura di eBookAndBook
Grafica a cura di Giordano Efrodini


martedì 27 novembre 2012

Capitolo 32 (di Smiley)



Admiral City
Nei pressi della sede dello START.
22 Aprile 2013
Ore 07.45 A.M.

La mano di Magmarus fu l’ultima parte del corpo maciullato dai proiettili di Heavy a tramutarsi in cenere.
Alexej la pestò con un piede, sgretolandola sull’asfalto.
Musashi sospirò, mentre polvere nera si disperdeva nell’aria..
Alexej sorrise. «Simpatico, il tipaccio…»
«Stiamo perdendo troppo tempo, dobbiamo raggiungere la sede dello START», puntualizzò Musashi.
«Mister Samurai, se non te ne sei accorto, siamo in mezzo ad una guerra…»
Kensei scosse la testa. «Una guerra che non possiamo vincere.» Magmarus era stato sconfitto, ma i Triari che erano battuti in ritirata erano ricomparsi e li avevano subito circondati.
Erano dodici in tutto.
«Munizioni al 2%», gracchiò la voce robotica di Sniper.
«Munizioni allo 0%», gli fece eco quella di Heavy.
«Munizioni al 100%!», esclamò Alexej, scrocchiandosi le dita.
Musashi sorrise.
Arretrò di un passò, si trovò schiena a schiena con Alexej e con Sniper.
Sfoderò la katana.
Chiuse un istante le palpebre.
Inspirò.
Riaprì gli occhi.
I triari gli furono addosso.

******

Admiral City
Periferia
23 Aprile 2013
Ore 00.01 A.M.

«Maledizione!»
Yell era adirato.
Avrebbe dovuto aspettarsi una cosa del genere. Avrebbe dovuto prevenirla.
Non c’era riuscito.
Isabelle era fuggita via. Probabilmente in cerca di cibo. Sicuramente in cerca di Teleforce.
Affondò la mano nella tasca destra del cappotto grigio. Prese di nuovo il cellulare. Non finì di digitare il numero.
La figura emersa dall’oscurità lo paralizzò.  Yell avrebbe dovuto aspettarsi e prevenire anche quello.
Non l’aveva fatto. Non era da lui.
Sono diventato vecchio…
Increspò le labbra in un sorriso sardonico. «Quanto tempo è che non ci vediamo?»

- - -

Nei pressi della sede START.
22 Aprile 2013
Ore 08.15 A.M.

Il combattimento era estenuante.
Stakanov accusava la fatica, benché la danza lo inebriasse e lo facesse sentire vivo.
Heavy, privato delle sue munizioni e della sua capacità di movimento era stato fatto subito a pezzi dai Triari, che l’avevano massacrato di pugni, e ridotto in un ammasso di ingranaggi calcificati.
Sniper resisteva agli esoscheletri di Mezzanotte opponendo la sua forza e la sua prestanza robotica contro il loro slancio. Ribatteva colpo su colpo, e nonostante fosse rimasto a secco di proiettili, piazzava pugni e calci precisissimi, colpendo i Triarii al petto, allo stomaco, alla testa.
Musashi si era come trasfigurato. Con la coda dell’occhio, nel tumulto della battaglia, Alexej notava solo la scia violacea del suo acciaio vorticare di qua e di là, eseguire fendenti, diritti, rovesci e affondi in una sorta di danza orientale che solo il samurai pareva conoscere. In tutto quel tempo però era riuscito ad abbattere solamente un nemico.
Stakanov non poteva essere da meno. Il Triario che gli piombò addosso ruotò l’anca e sferrò un gancio col destro. Lui fu lesto a rannicchiarsi su sé stesso e contrattaccare a sua volta. Strinse il pugno, fece partire un montante e colpì alla mascella l’avversario.
Il Triario sembrò accusare il colpo, arretrò di un passo. Stakanov però non ebbe il tempo di rifiatare: altri due Triarii lo attaccarono ai fianchi.
Il Red Skeleton non si perse d’animo. Esultò. «Danziamo fino alla morte!»

*****

Periferia
23 Aprile 2013
Ore 00.02 A.M.

Wael Ghaly, il Grande Toth, sorrise a sua volta. «Un anno e mezzo. Dagli scontri in piazza, al Cairo.»
Yell sollevò la tesa floscia del cappello. Gli puntò addosso uno sguardo carico di rabbia. «Come mi hai trovato?»
«Yell il Ribelle che rimane allo scoperto per tutto questo tempo…Non è invisibile ai nostri satelliti. Soprattutto se i loro occhi sono puntati tutti qui.»
«Tutto questo è colpa tua. Quello che è accaduto a Isabelle è colpa tua. Potevamo gestire la situazione…Se non ti fossi immischiato, non sarebbe accaduto nulla. Non le sarebbe accaduto nulla.»
Il Grande Toth si concesse una sonora risata. «Non siete mai riusciti a gestire nulla.»
Yell impugnò la colt, stese il braccio, mirò alla fronte di Ghaly. «Questa faccenda invece la gestirò a modo mio…» Premette il grilletto.

- - -

Nei pressi della sede START.
22 Aprile 2013
Ore 08.30 A.M.

Il sole compì il suo arco in un secondo, la notte prese il sopravvento.
Alexej era a terra, il piede di un Triario sul suo sterno. Lo stava schiacciando.
La musica della battaglia era finita, la danza era conclusa. Che peccato…Proprio adesso che è diventato…Notte?
Anche Musashi e Sniper erano al tappeto, alla mercè dei Triari. Se combattere in quattro era un’impresa disperata, in tre si era trasformato in un lento suicidio.
«È stato un onore essere al tuo fianco oggi», disse Musashi.
«Il piacere è stato mio», replicò Alexej.
Il rombo di un motore squassò la notte, una scia di fuoco la illuminò, una sagoma volò sopra di loro e qualcosa piovve giù dal cielo. Le teste dei triari esplosero tutte nello stesso momento, i loro esoscheletri crollarono sull’asfalto.
Sniper sembrò esultare. «Micromissili di precisione…Brawler!»
Alexej si rialzò, malconcio e un po’ stordito. Anche Musashi sembrava scosso.
Il golem che li aveva salvati atterrò in mezzo a loro. Assomigliava a Sniper e agli altri che avevano incontrato, con l’unica differenza che era grande il triplo. «Lieto di vedere che non siete ancora da rottamare», disse. Posò l’occhio sui rottami di Heavy. «Quasi…»
«Non dovevi essere alla sede dello START?», domandò Sniper.
Brawler annuì. «L’ho fatto. Ma quando sono arrivato, a parte alcuni soldati addetti alla guardia, era deserta. Ho decriptato tutti i canali di comunicazione presenti in un raggio di 20 km e l’informazione più interessante che ho trovato è stata questa telefonata.» Lasciò la bocca aperta. Fuoriuscì un’altra voce. «Rushmore,mi senti? Sono Ross. La situazione è critica. Siamo al collasso. La cassa di Whely era vuota, lui si è dato alla fuga e la Salazar Tower ormai è un campo di battaglia. Ci stiamo dirigendo tutti là, c’è qualcosa che non quadra. Ci spostiamo in elicottero, partiamo tra cinque minuti!» 
«Quindi adesso che facciamo?», chiese Alexej.
«Dobbiamo andare anche noi alla Salazar Tower. Se lo stato maggiore dello START si trova là, dobbiamo raggiungerlo. Yell sospettava che ci fosse un traditore, se è vero dobbiamo assolutamente smascherarlo. Solo qualcuno dello START poteva avere il potere o le autorizzazioni necessarie per richiamare tutti i mezzi corazzati che abbiamo incontrato…O sabotare tutto, facendo partire le varie operazioni con molto ritardo.»
«E come ci arriviamo senza perdere altri 50 anni a fare su e giù per le strade di Admiral City?», domandò Alexej.
«Lasciate fare a noi», disse Sniper. «Brawler, protocollo Bravo-Upsilon-Tau-Alfa!»
Brawler annuì. «Roger!» Dalle sue spalle, e da quelle di Sniper, spuntarono due ali metalliche, simili a quelle di un aeroplano.
Stakanov diede un pugno sulla spalla di Sniper. «E solo adesso ci fai vedere…» Indicò le ali. «…quelle? Siamo andati in giro con quel dannato catorcio, e tu avevi quelle!»
«La prego, non mi tocchi!», disse Sniper. «Il protocollo è solo per i casi di emergenza. Brawler riuscirà a trasportarvi entrambi. Arriveremo alla Salazar Tower in pochi minuti.»
Alexej e Musashi si scambiarono uno sguardo d’intesa.
Brawler cinse il braccio destro attorno al busto di Musashi, e quello sinistro attorno a quello di Alexej. «Pronti!»
«Roger!», rispose Sniper.
Volarono via in un istante, in direzione della Salazar Tower.

- - -

Periferia
23 Aprile 2013
Ore 00.02 A.M.

Il proiettile si era portato via una porzione intera della testa del Grande Toth. Sangue, materia grigia e pezzi di scatola cranica erano sparsi attorno al suo corpo immobile.
«Questo è per ciò che hai fatto ad Isabelle…», mormorò Yell. Inserì la colt nella fondina,  si voltò.
«Dove credi di andare?»
Yell si girò e spalancò gli occhi. Non è possibile!
Ghaly era in piedi. Il buco che la pallottola gli aveva aperto in testa si stava richiudendo. Cervella, cranio e pelle si riformavano ad una velocità stratosferica.
Dev’essere merito del Flare, pensò Yell. Sfoderò entrambe le Colt, puntò al petto, al cuore, ai polmoni del Grande Toth.
Lui piombò a terra, si rialzò di nuovo, rimarginò le ferite in un batter d’occhio.
Yell ridacchiò tra sé e sé. Sembra proprio che oggi nessuno voglia morire. Poi li vide. Le ossa del cranio, il sangue e la materia grigia saltate in aria sfrigolavano sull’asfalto. Ammassi grumosi e sanguinolenti si ingrandivano, si autoplasmavano. Ossa, nervi, tendini, e organi presero forma, mutarono in quattro copie esatte del Grande Toth.
Yell osservò attentamente Ghaly. «Chi sei tu?»
«Mi conosci», rispose Ghaly.
Yell socchiuse gli occhi, mise bene a fuoco la figura che aveva davanti, ignorando le quattro identiche che adesso lo scortavano ai lati, due a destra, due a sinistra. «No, non ti conosco. Chi sei?»
Il Grande Toth rise. «Ora sono lui, ho i suoi ricordi, provo le sue stesse sensazioni. E lui lo sa. Siamo la stessa persona. È in contatto con me, e io lo sono con lui. Qui dentro.» Si picchiettò la fronte con le dita. «Fino a prima che tornasse la notte, ero uno dei suoi canopi. Uno dei suoi surrogati. Gli serviva per far credere a tutti che fosse qui per tener fede alla trattativa che lui, attraverso di me, ha condotto con quelli dello START.»
«E lui dov’è? Il vostro aereo è stato abbattuto!»
«Era il mio aereo, quello che trasportava Ammit. Quello con l’altro me stesso è partito un paio d’ore dopo l’inizio della crisi, molto prima della trattativa, e ormai sarà già sulla via del ritorno. Wael mi ha detto che l’operazione che ha condotto a Savannah è andata a buon termine. Adesso abbiamo tutti i dati e tutte le ricerche che ci servono…»
Yell sgranò gli occhi. «Savannah? Il laboratorio di Angela Solheim? A cosa puntavate?»
Il Grande Toth sorrise ancora. «Non ti riguarda. Pensa piuttosto a te stesso. Sei da solo…In balia di noi cinque.»
Yell increspò le labbra in un ghigno. «Io non sono mai da solo…»
Un elicottero Cobra si materializzò dal nulla sopra le loro teste.
«Tecnologia stealth. Affascinante…», disse Ghaly.
Sui pattini del Cobra erano aggrappate tre figure. Si calarono a terra con una corda, si piazzarono di fianco a Yell.
Il Grande Toth annuì. «Shock, Sweet Sixteen, Eyes whitout a face. Ho letto i dossier su voi leggende, su voi Old Timers. Che onore…»
Yell scambiò un’occhiata con i suoi tre compagni. «Facciamo in fretta. Non abbiamo molto tempo…»
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martedì 2 ottobre 2012

Capitolo 25 (di Valerio Villa)




Admiral City
Attico del Crowne Plaza
22 Aprile 2013
Ore 07.45

Le luci delle esplosioni che riempivano Admiral City sembravano fuochi d'artificio, viste dalla sommità del Crowne Plaza. Due uomini, vestiti con completi d'alta moda, fumavano dei sigari sotto quella che sarebbe stata ricordata come la nevicata del sangue.
Il trillo di un cellulare risuonò nelle loro orecchie, merito delle nano-macchine che avevano impiantato. 
«Signori, ci sono novità.» Una voce risuonò nella loro testa. «Sulla ACN stanno mandando immagini di un aereo con delle insegne molto interessanti.»
I due uomini si portarono all'interno della suite, diretti verso lo studio adibito a centrale operativa. Lì videro sullo schermo al plasma le immagini, non molto nitide a causa della neve, dell'aereo privato di Wael Ghaly.
«Sembra che il Grande Toth voglia una fetta della torta.» disse il più giovane dei due. «Che dici, Tito, potrebbe essere un problema?»
«Preoccuparsi è inutile hermano. Il piano va avanti.» 
Tito si portò una mano all'orecchio e sussurrò un nome.
«Keller, qui Salazar. Mandi qualcuno ad occuparsi di quell'aereo.» E chiuse la comunicazione. «Torniamo a goderci lo spettacolo, Theo.» disse dirigendosi alla terrazza.
«Non so come tu faccia a essere così calmo, Tito.» Diede una boccata al sigaro, ma ormai era spento.
Soffiò e del fumo nero uscì dalla sua bocca.

* * *

Admiral City
Nei pressi della sede S.T.A.R.T.
22 Aprile 2013
Ore 07.30

Dentro al van, Sniper stava aggiustando i sistemi danneggiati e si chiedeva cosa stesse accadendo a Alexsej e Musashi, quando lo sportello laterale venne divelto.
Di fronte a lui c'era il golem denominato Heavy, armi attivate e puntate su di lui, ma appena lo riconobbe abbassò i due mitragliatori a impulsi. 
Sniper continuò a tenerlo sotto tiro.
Un rapido scambio di dati in wireless ed entrambi vennero aggiornati sullo stato delle rispettive missioni. 
«Dobbiamo aiutare i due super, Stakanov e Kensei,» Sniper abbasso il fucile plasma e scese incespicando dal furgone, «possono essere utili.»
«Lo sai che non possiamo, la priorità ora è la sede S.T.A.R.T. Brawler è già sul posto.»
«Certo, ho ricevuto gli ordini. Come ti dicevo possono rivelarsi utili quei due super.»
«Rischiano di diventare un intralcio una volta sul bersaglio.»
«A quel punto allora dovremo eliminarli.»
«Dovremo?»
Sniper voltò la testa verso il suo compagno: «Ok. Ci penserò io.»


«Ehi, Musashi, questi tizi continuano ad arrivare.» Stakanov era impegnato nel prendere a pugni alcuni Triari, mentre  Kensei cercava di aprirsi un varco fra i carri armati.
«Non capisco.» Intervenne Kensei. «Questi mezzi pesanti, qui e in così poco tempo.» Un colpo di katana e i cingoli di due carri vennero tagliati di netto.
«Lo sapevo che non dovevo dimenticare la mascotte sul furgone. Avessi almeno il suo numero di cell...»
Una raffica improvvisa di raggi bluastri crivellò i Triari alle spalle di Alexsej, mentre tre carri esplosero in rapida successione, dopo essere stati colpiti da dei proiettili verdognoli.
«Scusate il rirardo. Ma ho portato rinforzi.» Sniper e Heavy uscirono dalla loro copertura, dietro una vecchia Oldsmobile ormai da rottamare, continuando a mietere vittime fra gli sgherri di mezzanotte e i corazzati. L'intervento dei due golem diede il colpo decisivo e i carri armati decisero per la ritirata. Heavy continuava a colpire i mezzi pesanti in fuga, le raffiche bluastre dei mitragliatori a impulsi scavavano nel metallo, colpendo serbatoi e vani munizioni, cingoli e torrette. Una potenza di fuoco devastante, sebbene poco accurata.
Musashi, balzato a fianco del golem, sfoderò la katana e la mise davanti al volto dell'umanoide. Una luce violacea illuminò il costrutto.
 «Credo abbiano compreso, rinforzo. Non sono loro i nemici, ma quelli che sta abbattendo il tuo compare, Sniper.»
Heavy rallentò la cadenza di tiro, fino a fermarsi. 
«Se non sbaglio sono loro ad aver aperto il fuoco per primi.» Il suo sguardo seguiva la ritirata dei carri. «Questo li identifica come nemici.»
«Chiamali come vuoi. Sono comunque il male minore, dobbiamo liberarci dei Triari prima, poi andare alla base S.T.A.R.T.»
«D'accordo super.» Heavy si voltò verso gli sgherri di Mezzanotte impegnati a combattere Alexsej e Sniper. «Stammi dietro e non ostacolarmi.» prosegui il golem.
I Triari sembravano non finire mai, scendevano dai tetti e probabilmente il loro obiettivo era lo stesso dei super e dei golem.
Heavy si portò a distanza di tiro. Delle punte metalliche fuoriuscirono all'altezza del polpaccio  ancorandolo a terra, mentre dalla schiena si prolungarono due aste che si conficcarono a loro volta nell'asfalto.
Puntò i mitragliatori a impulsi verso il nemico e fece fuoco. La cadenza di tiro era tre volte superiore a quella usata contro i corazzati, ma allo stesso tempo gli ancoraggi stabilizzarono i colpi; i Triari iniziarono a cadere come mosche sotto i colpi del golem. 
Alexsej e Sniper si buttarono dietro al relitto di un carro armato, per non rimanere nella linea di tiro.
Di fronte a quella pioggia di colpi, i Triari, o chi per loro, decisero per una ritirata.
«WOW!» Alexsej si rialzò dal riparo. «Amico questo è persino più figo di te.» Disse mentre dava una pacca sulla spalla di Sniper.
«Ottimo, abbiamo riguadagnato il tempo perso.» Kensei, si avvicinò al  russo. «La base S.T.A.R.T. non è distante. Muoviamoci.»
Nel frattempo Heavy stava sbloccando gli ancoraggi e immettendo liquido di raffreddamento nei mitragliatori. Fu in quel preciso attimo che una scarica elettrica lo colpi, spezzandolo in due all'altezza del bacino.
«Ehi, Kensei. Ti sei fatto nuovi amichetti?» Starcrusher apparve camminando fra le due metà del golem. «Non mi sembrano molto forti. Cosa ne pensi Magmarus?»
Una forma umana avvolta dalle fiamme si stagliò sopra alcuni cadaveri di Triari, le loro tute, anche se ad alta tecnologia, si stavano sciogliendo a contatto con quel calore.
«Penso che me la posso cavare da solo qui. Vai a salutare il vecchio AD e dagli un colpo anche da parte mia.»
Senza dare risposta, Starcrusher spiccò il volo e si diresse a tutta velocità verso la Salazar Tower.
«Kensei, ho visto cosa hai fatto a mia sorella Psi.» Continuò Magmarus. «La pagherai. Sia per lei, che per tutto quello che mi hai fatto in passato.»
«Ecco sì, mancava la rimpatriata fra vecchi amici.» disse Alexsej.
«Voi due soccorrete Heavy, all'accendisigari ci penso io.» Musashi scattò verso il nemico, l'estrazione della katana, il fendente e il 'Kiai' ruggito a piena voce sembrarono accadere tutti nello stesso istante.
La lama mancò il bersaglio. Di poco. Il forte calore distorceva la figura, e mirare a parti vitali era difficoltoso, anche per uno spadaccino esperto.
«Stai invecchiando, samurai.» Magmarus spalancò le braccia e un'ondata di aria incandescente riempì la zona dello scontro, mandando a gambe all'aria Alexsej e Sniper, che caddero vicini al busto di Heavy.
«Anche tu non sei molto in forma.» Kensei aveva evitato il colpo conficcando la katana nel terreno. «Troppo tempo rinchiuso al Cesor ti ha rammollito.»
«Credi?» Una seconda onda di calore, questa volta direzionata verso il samurai, fece quasi cadere Kensei.
«Devo sbrigarmi» pensò Kensei «o con questo caldo rischio di rimanere a corto di ossigeno troppo in fretta
L'attacco fulmineo del samurai colse alla sprovvista Magmarus, che si spostò in ritardo, ma limitò il danno a due dita della mano destra amputate.
«Bastardo!» Con la mano fiammeggiante il criminale cercò di prendere al collo Kensei, questi schivò con agilità ma il forte calore fece prendere fuoco al kimono. Incurante il samurai proseguì il movimento, roteò sul fianco e in una luce viola la katana tagliò  il braccio sinistro del nemico all'altezza del gomito. Al posto del sangue, un getto che sembrava magma uscì dal moncherino rimasto. Kensei lo schivò e balzò a una distanza di sicurezza. 
In tutta risposta, Magmarus si chinò a raccogliere il braccio, ricollocandolo al suo posto. 
«Che c'è Kensei. Ti sei dimenticato che quando sono in questo stato sono praticamente invulnerabile?»
«Ricordo benissimo. Tu sei e resterai sempre una persona che non sa cosa sia una strategia. Addio.» Detto questo rinfoderò la katana. 
«Cosa?»
Una potente salva di colpi bluastri crivellò Magmarus, riducendolo lentamente a brandelli. Heavy, legato con delle cinghie alla schiena di Alexsej, stava scaricando tutta la sua furia sul criminale, di cui rimasero pochi pezzi sparsi sulla strada.

* * *
Admiral City
Sede S.T.A.R.T.
22 Aprile 2013
Ore 07.50

«Colonnello Ross. Lancio dall'aereo di Ghaly effettuato. Stiamo tracciando il paracadute, ma sembra che sia preciso sul bersaglio. Signore.»
«Perfetto Millar, andiamo a vedere questo regalo. Intanto contatta Rushmore, servono lui e il telepate.»
I due soldati dello S.T.A.R.T. raggiunsero la zona di carico degli elicotteri, designato come punto di atterraggio per il pacco, nell'istante in cui quest'ultimo toccò terra. Di fianco alla cassa in titanio c'era una persona, con una tuta scura, che indossava una maschera raffigurante un dio egizio.
In quell'istante, un forte boato fece alzare tutti gli sguardi dei presenti verso il cielo.
L'aereo del super egiziano era esploso.
«O mio Dio!» Ross non credeva ai suoi occhi. «Il Grande Toth...»
«Il Grande Toth sa di avere molti nemici.» disse Wael Ghaly togliendosi la maschera del dio Ra.
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martedì 18 settembre 2012

Capitolo 23 (di Mirko Borghini)




Admiral City 
Independence Boulevard 
22 Aprile 2013 
Ore 7.00 AM

Un uomo stava osservando le scariche elettriche partire dai suoi palmi e friggere i fiocchi di neve.
Un altro piangeva lacrime di fuoco sul corpo inerme di Psiblade. «Bastardi, vi ammazzerò tutti come dei cani».
«È stata uccisa da un arma da taglio, oserei dire da una spada. QUELLA spada», gli fece notare amaramente Starcrusher.
Magmaurus scatenò il suo potere, il capo completamente avvolto dalle fiamme, la pelle che ribolliva come lava. Una torcia umana.
L’urlo «MUSASHI KENSEI!!!» riempì l’isolato.

***
Admiral City 
Sunrise Boulevard 
22 Aprile 2013 
Ore 7.40 AM

Rogerio era pronto con la telecamera in spalla, aspettava solo un cenno di Maria che si stava rassettando il vestito. Lei mosse il capo e si posizionò davanti alle macerie e alle squadre di pronto intervento. La spia del teleobiettivo divenne rossa.
«Qui Maria Espantoso per la ACN, siamo in diretta da Sunrise Boulevard, Admiral City, nei pressi della Torre Salazar, dove è in atto un attacco terroristico di impronta superumana. Si sono verificati numerosi attentati per tutta la città, l’evacuazione procede lentamente ma le forze dell’ordine si sono subito attivate per dare sostegno alla cittadinanza. È previsto a breve l'intervento dell'esercito, voci non confermate parlano di svariati aiuti provenienti anche dall'estero.»  
La gente in strada era in preda al panico e correva in mezzo alle macchine, cercando di allontanarsi il più possibile dal centro città. Poliziotti spaesati cercavano di bloccare le auto che ormai intasavano la carreggiata per permettere il passaggio alle ambulanze gremite di feriti. I vigili del fuoco cercavano feriti nelle macerie e spengevano i roghi che spuntavano tra le palazzine. La situazione era peggio di Rodeo Drive.
«Le temperature hanno subito una irrealistica impennata verso il basso. Un inspiegabile fenomeno atmosferico. È aprile e a Puerto Rico sta nevicando. Neve rossa, come il sangue. Questa è una giornata indelebile per la storia dell’umanità.» 
La città era immersa da una spaventosa luce purpurea che proveniva dalle nuvole. Era sicuramente peggio di Rodeo Drive.
«Ricordo infine ai nostri telespettatori che è possibile aiutare chi ha perso casa o lavoro. E' sufficiente inviare un sms o fare una telefonata al numero della solidarietà 555-HELP, per fare una donazione alla popolazione di Admiral City. Ora vi riproporremo il video esclusivo degli attacchi avvenuti questa notte nella zona portuale. A presto per un aggiornamento, qui Maria Esposito per la ACN, Grazie.» 
Appena si spense la spia, la giornalista disse entusiasta al suo cameraman «Quest’anno il Pulitzer è nostro!», ma Rogerio era più impegnato a vedere verso l’alto che ad ascoltare la collega.
Una serie di caccia sfrecciava davanti e ai lati di un cargo militare. Maria strizzo gli occhi e si concentrò sulla carlinga dell'aereo da trasporto: scritte in arabo e un curioso disegno stilizzato raffigurante un pennuto.

***
Admiral City 
Nei Pressi della sede START
22 Aprile 2013 
Ore 7.20 AM

«Per me è una stupidaggine quella che stiamo facendo. Vuoi lo START? Vai alla Torre e lì troverai sicuramente chi cerchi», disse Stakanov mentre il van continuava a sfrecciare sulle strade della città.
Musashi, alla guida, in rigoroso silenzio.
Stakanov continuò «Deve essere successo qualcosa di grosso alla Torre, ma qualcosa di grosso veramente, io e il mio amico di latta c’eravamo sotto, insieme a svariati sbirri, e PUFF, ci siamo ritrovati TUTTI teletrasportati in mezzo alla città, come se qualcuno non ci volesse intorno…» . Il samurai non fece una piega. 
Il ragazzo si girò verso Sniper, alzò le braccia in segno di resa. Il golem non si mosse.
«…e poi l’hai vista quella neve rossa che sta scendendo in centro città? Viene dalla Torre, amico. Dalla TORRE. Tu stai andando nella parte opposta.»   
Allontanandosi dal centro la neve si diradava e le temperature ritornavano primaverili. Sembrava quasi non fosse successo nulla.
«Ammettilo, stai scappando. Eri in galera con quella brutta ceffa. Sei un delinquente.» disse Stakanov spazientito.
«No.» Rispose Musashi. «Dovevo parlare con qualcuno rinchiuso al CeSoR, nessuna possibilità di usare canali legali. Il modo più veloce per farlo era di farmi mettere dentro.» 
«Almeno hai trovato quello che cercavi?» 
«No».
Nell’abitacolo ci fu un momento di silenzio imbarazzante interrotto dalla risata sguaiata di Stakanov che trovava la situazione, in un certo modo, divertente. Subito dopo sentì uno strano fischio provenire dall’esterno.
«Ehi, Musashi hai sentito questo fisc…» Un esplosione davanti al van interrupe la conversazione.  
Kensei sterzò cercando di evitare le fiamme e, diradatosi il fumo, vide un carro armato ad un centinaio di metri di distanza con il cannone che puntava il camioncino. Decise di sterzare dentro ad un vicolo e mettersi al riparo.
«Allora il discorso è semplice, noi non ammazziamo le persone normali, capito?». Il samurai si rivolse al ragazzo.
«Tranquillo, tu apri il carro come una scatoletta e io ballo un po’ di disco come negli anni ‘70», rispose Alexsej ma Musashi era già uscito. 
Il ragazzo si girò verso il golem, gli diede due amichevoli schiaffetti sulla faccia «Bello, stai di guardia al furgone, ok?».  
Sniper stritolò in malo modo il fucile ma, vedendo il sorriso del ragazzo, annuì.
Stakanov iniziò a correre, tirandosi il cappuccio fin sopra la testa. Lo scheletro rosso in azione.
Il samurai aveva già tagliato a fettine il cannone e ora stava incidendo la parte superiore della torretta.
Lo scheletro rosso saltò sul carro e con un calcio fece volare via la parte tagliata della corazza, scoperchiando completamente l’abitacolo. All’interno c’erano due militari rannicchiati e impauriti che parlavano un idioma a lui conosciuto.
«Merda, ma questi sono militari russi. Che cosa ci fann…» Alexsej rimase ammutolito. A mezzo chilometro di distanza stavano sopraggiungendo una moltitudine di mezzi militari di svariato tipo con insegne provenienti da tutto il mondo.
«E non vorrei dirtelo ma quelli là non sono solo russi», disse il ragazzo.
«Io se fossi in te non mi concentrerei sui militari quanto su quello che abbiamo sopra le nostre teste», gli fece notare Musashi.
Stakanov alzò lo sguardo. Pur con il suo superudito non li aveva sentiti arrivare. Una miriade di Triari era appollaiata sui tetti dei palazzi. Pronti ad attaccare.
Alexsej si girò accigliato verso il samurai «Te lo avevo detto che non bisognava andare allo START.»
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martedì 24 luglio 2012

Capitolo 16 (di Salomon Xeno)




Admiral City 
Independence Boulevard 
22 Aprile 2013 
Ore 6.31 AM 

Alexsej iniziava a recuperare le forze. E ad annoiarsi. 
«Vecchio mio, ti va una corsetta?» 
I gommosi sembravano scomparsi. Il nuovo amico si era rivelato un pessimo interlocutore, persino peggio degli sgherri di Mezzanotte. Perlomeno, non mancavano più di venti o trenta minuti alla Salazar Tower, dove si sarebbe finalmente risolta la sciarada di quella notte. 
«Blaster è a terra!» esclamò Sniper, affrettando il passo. Stakanov gli tenne dietro. 
Quando furono vicini all'incrocio con la Lexington Avenue, si aprì uno scenario bellico: auto capovolte, vetri infranti e un modesto cratere, ancora fumante, vicino al marciapiede. In mezzo alla carreggiata giaceva una massa metallica parzialmente fusa, che poteva benissimo essere il gemello di Sniper ridotto in pessime condizioni. Vicino a lui c'era un uomo accovacciato. 
«E tu chi saresti? Che cazzo fai?» 
Lo sconosciuto si alzò. Vestiva un kimono blu scuro e una di quelle ridicole gonne da samurai, tutta bruciacchiata. Al fianco portava un fodero nero da cui spuntava l'impugnatura di una katana. Aveva occhi a mandorla e capelli corvini. Era un giappo sulla trentina, dall'aspetto insignificante. Uno di quelli che ti offrono salsa di soia. 
Alexsej avvertì su di lui un residuo di Teleforce. 
«Mi chiamo Musashi» disse. «Sono qui per controllare che non ci siano interferenze.» 
«Nome in codice: Musashi» aggiunse Sniper con solerzia. «Livello Teleforce: non pervenuto. Stato: disperso.» 
Il samurai abbozzò un sorriso. Poi, senza aggiungere altro, si avviò verso la Lexington. 
Uno strano silenzio regnava in città. Quella mattina nessuno dei mattinieri abitanti di Admiral City osava avventurarsi in strada. Molto probabilmente erano tutti incollati al televisore, salvo i militari e qualche decina di Super. 
Alexsej decise di inseguire lo sconosciuto. 
«Senti, gonnellino! Non l'avrai ucciso tu, quel golem? Io sono Stakanov, giusto perché tu sappia chi ti romperà il grugno se non mi rispondi.» 
Musashi si accovacciò nuovamente sull'asfalto. Aveva una mano sull'impugnatura della katana. 
«Sprecheresti il tuo tempo, Stakanov» disse. «Devi imparare a percepire ciò che non puoi vedere con gli occhi.» 
In quel momento la terra si frantumò sotto i piedi. 
Alexsej fece appena in tempo a rotolarsi di lato, evitando di essere investito da frammenti di asfalto. 
Si rialzò senza esitazioni e si guardò intorno. 
Il golem, rimasto indietro, pareva illeso ma perdeva del liquido nerastro da una gamba. 
Il samurai era di nuovo in piedi e impugnava la katana, il cui filo emetteva una luce violacea, che generava riflessi minacciosi sul piatto della lama. 
L'arma era puntata verso un furgoncino a bordo strada, da cui era emersa una donna minuta. Indossava pantaloncini e una camicia di jeans, annodata sopra l'ombelico. 
«Nome in codice: Psiblade» rivelò Sniper. «Livello Teleforce: 1776. Stato: detenuta in un carcere di massima sicurezza.» 
La donna rise, facendo molleggiare i riccioli castani. 
«Detenuta, davvero!» Esclamò. «Sei proprio tu, Kensei? Sono rimasta giusto il tempo di farti pentire per avermi abbandonata in prigione!» 
Vi fu un sibilo e una forza assalì il samurai, che parò con la sua strana katana. La donna attaccò di nuovo, ma i fendenti si sfaldarono sulla guardia del samurai. 
Musashi mosse alcuni passi verso la donna. 
Alexsej gli avrebbe dato man forte, ma voleva prima accertarsi dello stato del golem. Se si era rotto, poteva dimenticare l'appuntamento con Angela. Inoltre, aveva la sensazione di essersi intromesso in un incontro privato. 
«È tutto qui, Kensei? Forse dovrei prendermela con i tuoi amichetti, ridurli come quel robottino. Comincerò con il teppista...» 
Questa volta, Stakanov se ne accorse in anticipo e riuscì a schivare la sferzata d'aria, rotolando di lato. La sciabolata lacerò l'asfalto. Adesso era chiaro come attaccava: era una dannata telecineta. 
Prima che potesse colpire di nuovo, Sniper puntò il fucile a plasma e fece fuoco. 
Psiblade deviò il proiettile con un cenno del capo, facendo esplodere la portiera di un suv. L'autovettura andò in fiamme, facendola ridere nuovamente. 
Stakanov avrebbe voluto cancellare quel suon fastidiosissimo a suon di pugni. 
Musashi prese l'iniziativa. 
«Adesso basta, Psiblade!» scandì. «Arrenditi e forse riusciamo ancora a salvare te e tuo fratello...» 
«È troppo tardi, Kensei» lo interruppe la donna. «Io non ho bisogno della tua salvezza. E neanche Magmarus! Oggi è la giornata in cui noi massacreremo i cosiddetti buoni, a cominciare da quei buffoni dello START. E adesso muori!» 
Psiblade colpì con forza inaudita, incidendo l'asfalto fino alle tubature. Un fiotto d'acqua in pressione la investì, costringendola ad arretrare. 
Musashi colse l'occasione e schizzò in avanti, dritto verso l'avversaria. Tese la lama e la conficcò a forza nel petto, così rapidamente da non darle il tempo di agire. 
Il sorriso di Psiblade si trasformò in una smorfia. Del sangue gorgogliò fra le labbra tremanti. I suoi occhi si spensero. 
«Addio, Sarah» mormorò Musashi, rinfoderando la spada. Poi alzò le spalle e si rivolse ad Alexsej. «Qualcuno passerà a prenderla. Stakanov, giusto? Se vuoi, posso dare un passaggio a te e al robot.» 
«Chi ti dice che facciamo la stessa strada?» 
«Non essere stupido. Metà dei Super esistenti si sono dati appuntamento alla Salazar Tower.» 
«A me piace correre.» 
«Il tuo robot sembra ferito.» 
«È in perfetto stato!» ribattè Stakanov, dandogli una pacca sul braccio. «Vero, vecchio mio?»
«La mia mobilità è compromessa. Preferirei che non mi toccasse.» 
L'autovettura di Musashi era un van commerciale, abbastanza capiente per imbarcarli tutti. Sul retro recava la scritta "ELECTRIC SERVICE". 
Alexsej si sedette, a disagio. 
«Meno male che non c'è traffico. Ora dritti alla torre, ok?»
«Prima facciamo un salto allo START» replicò il giapponese. «Yell teme che ci sia un traditore. Devo verificare e, eventualmente, rimuoverlo.»
«Cosa? Ma così perderò altro tempo!» 
«È inammissibile! Mi faccia subito scendere!» 
«Non dimenticare, Stakanov, che esiste più di una strada per raggiungere la cima della montagna.»
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