martedì 29 maggio 2012

Capitolo 8 (di Black Terror)


 
Admiral City
22 Aprile 2013
Salazar Tower
Ore: 5.45

Qualcosa gocciolò sullo spallaccio antishock di Stray. La ragazza guardò in alto, scrutando la sagoma imponente della Salazar Tower. Il cielo era buio, mancava ancora un po' di tempo al sorgere del sole. Sopra di lei il grattacielo era un monolite scuro. La corrente elettrica mancava fin dal momento dell'arrivo del team di Fortress Europe. Le uniche cose che scorgeva erano i crepitii energetici provenienti dalla sommità dell'edificio, dove l'entità conosciuta come Mezzanotte aveva attaccato.
Una seconda goccia le arrivò quasi in un occhio. Con una reazione istintiva riuscì a fermarla a mezz'aria, semplicemente concentrandosi. Era sangue. La deviò col pensiero, quindi continuò a levitare, rallentando l'andatura. Procedeva passando a pochi centimetri dalla parete del grattacielo. Volava solo grazie alla telecinesi e non poteva che salire verticalmente, con cautela. E se qualcosa le avesse fatto perdere la concentrazione...
«Sunlight mi senti?» Nessuna risposta radio. Il suo amico, caposquadra del team di FE mandato in supporto agli alleati americani, era irraggiungibile da quasi mezz'ora. La squadra si era divisa proprio su suo ordine.
Rockster era entrato dal pianoterra, subendo inevitabili ritardi per validare la sua presenza ai soldati della Guardia Nazionale e ai Federali.
Cheveux d'Ange stava collaborando con Rushmore, il genio dello START. Tentavano di svegliare il comatoso Professor Scanner, l'unico ad aver letto la mente di Mezzanotte, subendone le conseguenze.
Archer attendeva ai comandi del flyer, dalle parti della spiaggia di Parque de l'Indio, dove i militari lo avevano fatto atterrare. Lei e Sunlight invece avevano optato per una penetrazione dall'alto. Ma ora Stray, Archer a parte, non riusciva più a contattare nessuno dei suoi compagni.
Impulsi elettromagnetici, guerra elettronica, Teleforce, superpoteri: le spiegazioni per il silenzio radio che avvolgeva la Torre potevano essere tante.

Arrivò al ventottesimo piano e lo vide: un corpo riverso sul davanzale di una finestra in frantumi. Era vestito con una exosuit nera, bruciata in alcuni punti e liquefatta in altri. “È stato Sunlight”, pensò. “È passato di qui.” Esaminò il cadavere senza toccarlo. Era uno dei tirapiedi di Mezzanotte. Come li aveva chiamati il biondino, Cheveux d'Ange, pescando l'informazione dal cervello di Scanner? Triari, se non sbagliava.
«Sun, sei qui?», chiamò attraverso la finestra, osservando un ufficio buio, coi mobili devastati dalla colluttazione. «Avanti Tyke rispondi, maledetto olandese.»
Scavalcò il corpo ed entrò, accendendo la piccola Maglite che portava alla cintura. Un'intera parete era annerita, i quadri esplosi, le tele bruciate. Altro indizio del passaggio di Sunlight.
La porta che dava sul corridoio era socchiusa. La spalancò col pensiero, pronta al peggio. Vide soltanto un corridoio buio e il cadavere di un secondo Triario, morto a pochi passi dall'uscita che dava sulle scale interne della Salazar Tower. Perché Tyke era entrato da lì?
Stray si passò una mano tra i capelli biondi e regolò l'auricolare. «Archer, Cheveux mi sentite?»
Le rispose un fruscio fastidioso, seguito dalla voce disturbata del pilota inglese. «Poco e male», le ripeté due volte. «Sto cercando di...» ma la frase fu troncata da altre scariche statiche.
Insistette: «Qualcuno sta ancora monitorando la Torre? Non vedo elicotteri nelle vicinanze.»
«Crrr... crrr... Droni di crrr... Chiamando Salazar ma... crrr... a zero per ora.»
«Ti sento di merda», sbottò Stray, spazientita. Quando perdeva la pazienza il suo passato da teppistella cresciuta nei vicoli di Neukölln emergeva prepotente. «Se sei ancora in linea cerca di individuare se ci sono movimenti al ventottesimo piano dell'edificio. E cerca di localizzare anche i GPS di Rockster e Sun, cazzo!»
«Stray, ascoltami.» Questa volta la replica giunse forte e chiara. «Ragazza, mi senti?»
Non si trattava di Archer, di Tyke e nemmeno di Rock. Inglese con accento texano, una voce nota in tutto il mondo. «AD? Sei tu?»
«Sono io. Sei vicina vero? Sunlight mi ha detto che stai salendo radente alla Torre.»
Stray rientrò nell'ufficio e si sporse dalla finestra, guardando in alto. Una figura si stagliava sopra di lei, diversi piani più su. Era sospesa in volo a braccia conserte. La Super sapeva che almeno due membri dello START erano penetrati nel grattacielo poco dopo l'attacco di Mezzanotte. American Dream era stato il primo, come ci si aspettava dal più grande eroe statunitense. A ruota lo aveva seguito Libby, o almeno così le aveva detto Archer, bypassando le frequenze della Guardia Nazionale.
«Ti vedo», gli disse, sventolando poi una mano.
AD le rispose con un cenno. «Raggiungimi quassù. Quarantesimo piano, terrazzino del Belvedere Restaurant. Sunlight è ferito, ha bisogno di te.»
Stray si irrigidì. Tyke era nei guai? Maledì la baronessa Ashton, che in nome dell'Unione per gli Affari Esteri aveva mandato mezza FE a rischiare la vita lontano da casa. Scavalcò di nuovo il davanzale e levitò verso l'alto, mentre Admiral City, scossa dagli attacchi dei seguaci di Mezzanotte, rimpiccioliva sotto di lei.

Raggiunse American Dream, che nel mentre si era appoggiato al cornicione del Belvedere. Le vetrate del ristorante erano a pezzi, i tavoli rovesciati, gli splendidi vasi in frantumi. Il Super dello START le sorrise. Indossava il suo famoso costume in spandex rosso e blu, con un cerchio bianco fluorescente all'altezza del cuore. Era bello, con quell'aria a metà tra il boy scout e la rockstar che tutte le donne del pianeta conoscevano. Poteva non piacere, ma di certo aveva fascino.
Stray atterrò sul terrazzino. «È un sollievo vederti.» Lo pensava davvero. «Credevo di essere rimasta sola. È assurdo, lo so...» Poi lo vide. Sunlight era infilzato sulla statua del Nettuno al centro della sala principale del ristorante. Il tridente di bronzo lo inforcava dal petto, sbucando dalla schiena. La ragazza si portò le mani guantate alla bocca.
American Dream si voltò, senza smettere di sorridere. «C'erano un olandese, una tedesca e uno scozzese. Tutti e tre cercavano di entrare qui per ficcare il naso.»
Stray era abituata ad agire d'istinto. Senza fare o farsi domande si concentrò sulla grossa gargolla in pietra posta al margine destro del cornicione. Riuscì a strapparla dai perni in un istante. La scagliò con la forza del pensiero: il proiettile colpì AD alla spalla, frantumandosi in mille pezzi.
Il supereroe rovinò a terra. Si rialzò puntellandosi su un ginocchio. Stray aveva già scelto il secondo proiettile, un enorme lampadario di cristallo divelto dal soffitto. Lo lanciò, accompagnandolo con un cenno della mano. American Dream alzò un braccio e lo deviò come se si trattasse di un pallina di carta. Quindi scattò avanti e colpì la ragazza con un montante allo sterno. La piegò in due, mozzandole il respiro. Stray vomitò sangue e crollò a carponi. Nonostante il dolore capì di essere stata risparmiata. Un pugno di AD sferrato alla massima potenza l'avrebbe bucata da parte a parte. Tentò di tirarsi in piedi. Il Super la strattonò per i capelli, alzandola di qualche centimetro da terra.
«Il tuo amico è durato di più. Sei un'eroina gracile.»
«Perché, brutto bastardo yankee?», riuscì a mormorare la ragazza, soffrendo a ogni parola. «Perché fai questo, American Dream?»
«Per Mezzanotte, per il futuro. La Direttiva Wildfire è stata ritirata. Il successo è vicino.  E d'ora in poi chiamami col mio vero nome, stupida schlampe. Io sono American Way.»
- - -
 Scarica Due minuti a Mezzanotte in formato ePub o in formato Mobi aggiornato di settimana in settimana! (Servizio offerto da EBook and Book)

martedì 22 maggio 2012

Capitolo 7 (di Davide Mana)



Washington DC
22 Aprile 2013
Ore 5.22

Dalle finestre del'Uffico Ovale, Mitt Romney guarda le luci delle auto sulla Ellipse Roadway, vaghe, oltre gli alberi, nella luce grigia.
Un'ora all'alba.
L'ora delle decisioni ineluttabili.
Si passa le mani sul viso, sospira, si volta.
Sulla scrivania, c'è la sua Bibbia aperta.
La superficie della scrivania è nera come il monolito di 2001.
la sfiora.
Il feed della NRO gli dischiude la vista satellitare su Admiral City,
con le griglie di scala, gli hot spot, i metadati. Niente audio.
Alla sua destra, si spalancano le sottofinestre dei newsfeed - CNN, FOXNews, AlJazeera, RT.
Su RT c'è Thom Hartmann.
Mitt lo odia, Hartmann.
Sposta la Bibbia e copre la faccia di quel nerd comunista.
I due generali con le giacche tappezzate di patacchine e il Segretario di Stato, in piedi al centro dell'Ovale, lo guardano e spostano il peso da un piede all'altro, impazienti, nervosi.
Stanchi.
Pronti per ciò che verrà.
Mitt chiude gli occhi solo un attimo.
A volte basta un attimo.

Entrare non è stato difficile.
Non è mai stato difficile.
Conosce bene i corridoi.
I tappeti rossi attutiscono i suoi passi, è sincronizzato con le telecamere della sicurezza e passa invisibile, giù, verso l'ala ovest, evitando segretarie che ronzano come calabroni per la troppa caffeina e passacarte assonnati persi a studiare i propri tablet.
In fondo al lungo il corridoio bianco i due uomini in nero non lo vedono arrivare.
Accelera.
Il primo gli dà le spalle, pessima idea, grave infrazione alle procedure.
Gli piazza un calcio alla piega del ginocchio, le cartilagini si spezzano, l'articolazione si disassa, il suono è forte, orribile, e quello si genuflette con un gemito.
Una mano sulla sua spalla, un volteggio, e, slam!, a piedi uniti sul petto dell'altro prima che possa metter mano al pezzo.
Lo sbatte indietro, contro la porta, oltre la porta sfondata, e atterra con lui nello Studio Ovale, ma in piedi, e lucido, e armato.
Puntando le due 1911A1 in fronte ai due generali, «Fossi in voi non farei un solo movimento,» dice, «gentiluomini.»
Due minuti.
E quaranta secondi.
Poi cominceranno a suonare gli allarmi.
«Buonasera, signor presidente,» dice.

Mitt apre gli occhi.
La porta del suo ufficio è sfondata.
Uno dei ragazzi del Servizio Segreto è a terra, rantola, fatica a respirare.
A centro stanza, un forsennato con un vecchio cappotto grigio e un cappellone floscio sta puntando due pistoloni cromati alla fronte di Anderson e van Houten.
«Buonasera, signor presidente,»" gli dice, con voce roca.
Il volto lungo e smagrito è mal rasato, le labbra sottili piegate in un sorriso storto. L'ombra della tesa del cappello gli nasconde completamente gli occhi.
«Di' al tuo staff che è un errore,» gli dice.
Mitt aggrotta la fronte. «Cosa...?»
Intercom. «Signore, abbiamo ricevuto un segnale...»
L'uomo in grigio annuisce, senza smettere di sorridere, senza abbassare le armi.
«È un errore,» dice Mitt.
«È tutto sotto controllo e non vuoi essere disturbato,» dice lo sconosciuto. Mitt lo ripete.
Lo sconosciuto fa un cenno al Segretario di Stato.
«Hickman, giusto?»
Quello annuisce e si siede come indicato.
Lui spinge sul divano i due generali.
E poi si avvicina alla scrivania.
Rinfodera la pistola sinistra e fa scorrere le dita sulla superficie nera del touch-screen.
Scrolla il capo.
«Mi ci hanno accoltellato, una volta, qui sopra.»
E Romney improvvisamente ricorda.
«Tu sei...» Ha la gola secca. «Tu sei Rebel Yell?!»
Cos'era, il 1939?
Un lampo di denti candidi. «Yee-haa, ragazzo!»
E senza voltarsi gambizza il generale van Houten.
«Generale Anderson,» dice, «dimostri ai marines che l'aeronautica è meglio, e dia un calcio all'arma del suo amico.»
«Noi non siamo amici,» dice Anderson.
Ride. «Le dia un calcio ugualmente.»
Il segretario di stato è rigido come una tavola.
«Cosa leggi di bello, Mitt? Posso chiamarti Mitt, vero? Ho sempre chiamato per nome i tuoi predecessori.»
Solleva la Bibbia. «Tessalonicesi 5, 2-3, pure sottolineato» dice, e fa una smorfia. «Prevedibile.»
Chiude la Bibbia.
La sbatte sulla scrivania.
Immagini e finestre dati tremolano.
«È proprio di questo che volevo parlarti, Mitt.»

«Tu dovresti essere morto,» dice Romney.
Rebel Yell ride. «L'erba cattiva... Un anno ogni quattro, ricordi? Non hai letto l'informativa Kirby-McNab? Sono solo più vecchio, più stanco e maledettamente più incazzato.»
Picchia con l'indice sul feed satellitare.
«Salazar Tower,» dice.
«È una questione di sicurezza nazionale,» mormora Hickman alle sue spalle.
L'uomo in grigio ride, e Mitt Romney sente un artiglio di ghiaccio scorrergli lungo la schiena.
Non ha mai visto una tale espressione di terrore sul volto di van Houten.
«È una questione di prospettive,» replica l'uomo in grigio. «Io nella Salazar Tower ci vedo il più grande bordello degli ultimi settant'anni, roba che al confronto gli Ubermensch di Hitler erano scout.»
Romney ancora non riesce a vedere i suoi occhi ma li sente su di se, roventi.
«Tu invece ci vedi un'opportunità, vero?»
Allarga le braccia, si appoggia alla scrivania.
Vicino.
Sotto al cappotto con la pellegrina indossa una casacca grigia, coi bottoni d'argento, e pantaloni blu. Ha una bandoliera che gli attraversa il petto, e due fondine con le Colt 1911 in posizione rovesciata.
«Tu ci vedi un buon modo,» dice, in un sussurro tagliente come un rasoio, «per avere tutti i potenziati nello stesso posto, sul territorio nazionale, e abbastanza distratti da poterli eliminare tutti in un solo colpo, vero, Mitt? Liberarti di quei piccoli dei, e poi dire che è stata una misura d'emergenza, per contenere Midnight.»
Romney ha un guizzo, prova ad alzarsi ma Rebel Yell lo risbatte indietro, sulla sedia presidenziale.
«Ve la siete pensata bene, tu ed i tuoi amichetti, eh, Mitt?»
Fa scorrere lo sguardo sui due generali, quello ferito e quello immobile come una statua, sul segretario di stato, che suda copiosamente, e poi torna a inchiodare il presidente con quei suoi occhi nascosti nell'ombra.
«Chiudete i silos, richiamate le unità orbitali, e lasciate che questa faccenda la gestiscano i ragazzi,» dice. «Che imparino, che non è reality show, non è propaganda, che non sono dei. Noi ci limiteremo a osservare, ad assicurarci che non ci siano,» sorride, «interferenze.»
«Voi?»
«L'erba cattiva, Mitt, ricordi? Teleforce, Wardenclyffe, New Jersey, nel 26? Pensi davvero che sia da solo?»
Cala il silenzio.
Rebel Yell si avvia verso la porta, portando la mano al cappello in un antiquato segno di saluto.
«Ultimo avviso: siamo là fuori e osserviamo,» dice, e si ferma, si volta. «E se solo ti provi a schiacciare quel bottone rosso, Mitt,» dice, «ti strappo l'anima e me la mangio.»
Un sorriso.
«Ma prima ti faccio male da impazzire,» aggiunge.
E se ne va.
Tutti cominciano a parlare troppo forte e troppo rapidamente.
«Silenzio,» strilla ciò che resta del Presidente degli Stati Uniti. Silenzio.
«Anderson, dia una mano al ragazzo,» dice, indicando l'uomo della sicurezza. «E lei, Hickman, chiami qualcuno per tamponare la gamba di Jesse, qui. E poi richiamate la Direttiva Wildfire.»
Van Houten prova a protestare, ma Hickman lo tira in piedi strappandogli uno strillo.
«Niente discussioni, signori. La situazione a Puerto Rico è stata momentaneamente sottratta al nostro controllo.»
Ha bisogno di un whisky.
Doppio.
- - -
Scarica Due minuti a Mezzanotte in formato ePub o in formato Mobi aggiornato di settimana in settimana! (Servizio offerto da EBook and Book)

martedì 15 maggio 2012

Capitolo 6 (di Barney Panofsky)



Admiral City
Salazar Tower,
22 aprile 2013
Ore 5.00 AM

Libby si accorse con la coda dell'occhio dell'ingresso furtivo di Bonnie nella Torre.
Quella stronzetta non aveva mai voluto far parte della START, sembrava la cagnetta dei Salazar e la irritava sempre; ma adesso le sue priorità erano altre: Matt era rinchiuso nella Salazar Tower da tre ore, e nessuno sapeva che cosa stesse succedendo là dentro.
Bonnie avrebbe dovuto aspettare: nella vita esistono compiti che si possono posticipare, e la stronzetta era un perfetto esempio di attività non prioritaria, almeno in quel frangente.

«Kirkman, mi faccia passare per favore»
Il capitano della Guardia Nazionale di Portorico si girò con calma misurata verso Lady Liberty.
«Lo farei più volentieri se sapessi a cosa la mando incontro, Lady. Ma presumo di non poterle impedire l'ingresso, quindi... Ragazzi, fate passare la Signora. E tenete occhi e mani a posto, se non volete che lei vi stacchi la testa con uno schiaffo...».
L'ultimo avvertimento era probabilmente superfluo, ma nel gruppo c'erano un paio di reclute che difficilmente sarebbero state indifferenti davanti alla donna fasciata nella sua tuta polimerica in spandex rinforzato con kevlar e carbonio. Lady Liberty era splendida ed algida, di una bellezza pericolosa; un pugno scagliato a velocità subsonica (ma si trattava comunque di quasi mille chilometri l'ora...) con i suoi guanti da combattimento era tranquillamente in grado di staccare la testa ad una recluta e - con la stessa facilità - bucare il portellone di un'auto.
La squadra della Guardia Nazionale si aprì e fece passare Libby, che in meno di mezzo secondo percorse lo spiazzo tra il blocco degli uomini di Kirkman e l'ingresso principale della Salazar Tower. I militari la videro quasi sparire davanti a loro, riapparire per un attimo davanti alla porta a vetri che si apriva sulla immensa hall della torre, poi sparire definitivamente all'interno dell'edificio.

***

La hall era crepitante dell'elettricità statica che correva all'esterno dell'edificio, ma a parte questo assurdamente silenziosa.
Nessun segnale sembrava potere uscire dalla torre, nessuna traccia elettronica era in grado di rompere l'assedio generato dall'attacco di Mezzanotte: la donna era sola con se stessa.
Libby attivò la modalità “combattimento” dei suoi occhiali speciali, e un reticolo virtuale apparve davanti ai suoi occhi.
I sensori di movimento a corto raggio non segnalavano niente davanti a lei, i rilevatori termici indicavano una traccia che girava verso destra e verso il basso: probabilmente la scia lasciata da Bonnie qualche minuto prima.
Ma Matt era sparito ai piani superiori, e - ancora una volta - la priorità non era certamente inseguire la stronzetta.

La Super si avvicinò lentamente alle scale e lanciò il suo drone firefly in ricognizione. Il microrobot a induzione salì veloce per cinque piani, fornendo a Libby una scansione completa del percorso: nessun pericolo in vista, possibilità quindi di muoversi a tutta velocità.
Lo schema fu ripetuto per altre quattro volte, poi - senza alcun preavviso - il firefly sparì. Non segnalò alcuna anomalia, prima: semplicemente all'istante x era attivo e trasmetteva regolarmente i suoi dati, l'attimo dopo il canale era vuoto di segnali.

Libby si raggomitolò su se stessa, pronta a schizzare alla massima velocità contro l'eventuale bersaglio e a colpirlo con la pura energia cinetica della sua massa in movimento iperaccelerato, e iniziò a salire le scale molto lentamente.
Era al pianerottolo del ventitreesimo piano quando, tra i crepitii di statica e gli schiocchi metallici che ruscellavano sinistri dai piani superiori, le sembrò di vedere qualcosa lungo il corridoio alle sue spalle.
Con tutta la prudenza che poteva mettere nei sui movimenti, Libby strisciò accosto al muro ed entrò nel corridoio.
C'era in effetti qualcosa, in mezzo al pavimento. Una figura umana, una donna.
Libby la riconobbe subito, e imprecò mentalmente contro Ross, che le aveva assicurato pochi minuti prima che l'attrice era al sicuro. Perché al ventitreesimo piano della Salazar Tower, in mezzo al corridoio semi-illuminato da fioche luci di emergenza, c'era - al di là di ogni ragionevole dubbio, e contro qualsiasi probabilità favorevole- Scarlett Johansson.
«Signora Johansson!» sussurrò Libby.
Nessuna risposta dalla donna a terra, che però sembrò muovere un braccio. C'erano almeno venti metri tra loro due, una distanza ridicola se la Super avesse potuto contare sulla sua velocità... Ma Libby non si fidava a correre in quell'ambiente ristretto, male illuminato e dannatamente ostile, quindi optò per un avvicinamento misurato e prudente.  
Aveva quasi raggiunto la Johansson quando - senza alcun preavviso - il pavimento si aprì sotto i suoi piedi, e Libby si trovò a cadere assieme all'attrice per un paio di secondi. 

***

Le due donne atterrarono morbidamente su una massa di qualcosa che sembrava sabbia in una ampia stanza circolare, il soffitto alto almeno sei metri, le pareti di plexiglas dieci metri tutto attorno a loro.
Davanti, in una nicchia illuminata da freddi bagliori di plasma freddo, American Dream sembrava crocefisso ad un traliccio metallico, braccia, torso e gambe legate alla struttura da fasce luminose. La testa penzolava senza conoscenza, quasi a dipingere una tragica deposizione del Caravaggio.
«Matt! Matt!», urlò Libby, e quasi nello stesso istante il suo cervello mandò agli arti inferiori il comando di pompare a tutta velocità verso l'uomo che amava.
La Super ebbe appena il tempo di realizzare che non stava muovendosi affatto, che accanto a Matt apparve un essere che pareva fatto di ombra. Era senza faccia, ma incredibilmente stava sorridendo e scuoteva la testa verso Libby, sempre più immobile e incredula.
«Conosci i composti tissotropici, Lady Liberty? No? Bene: ne stai calpestando uno. E più forte lo calpesti, più questo si liquefa e ti intrappola»
La donna si rese conto che l'essere misterioso diceva la verità. Smise di correre, e si fece circondare dal composto viscoso che già stava solidificandosi attorno a lei e alla Johansson. Libby decise di aspettare per capire chi aveva davanti e cercare una via d'uscita per lei, Scarlett e Matt.
L'essere nero continuava a sghignazzare: «Mezzanotte sarà contento di sapere che ho catturato anche Lady Liberty, assieme al caro American Dream! E saranno contenti anche i nostri padroni!»

Libby stava in silenzio, ma la rabbia per essersi fatta catturare come una stupida, il timore per le condizioni di Matt, e l'odio che le stava crescendo nei confronti di quell'incubo nero la facevano quasi esplodere.
Per il momento, non poteva che pensare a un modo per tirarsi fuori da lì, e a chi mai ci fosse dietro questo folle attacco ad Admiral City e ai Super.
Era così a corto di prospettive positive, che cominciò addirittura a sperare che la stronzetta potesse in qualche modo aiutarla...
- - -
Scarica Due minuti a Mezzanotte in formato ePub o in formato Mobi aggiornato di settimana in settimana! (Servizio offerto da EBook and Book)

martedì 8 maggio 2012

Capitolo 5 (di Lady Simmons)



Admiral City
San Antonio Canal
22 Aprile 2013
Ore 4.45 AM

«Se le stanno dando di santa ragione.»
«Già…»
«Cosa c’è Boner, sei preoccupata per Lattughino?»
«Smetti di chiamare così Eddie. I suoi poteri…»
«Cosa? Sono eccezionali? Sono ecologici? Sono a basso impatto di CO2?»
«Stronza».
«Uranium sembra in difficoltà stavolta».
«Non è solo. C’è Alexsej con lui e arrivano anche gli europei, meglio mantenere un basso profilo».
«Dovresti smetterla di nasconderti e combattere ogni tanto».
«Ho le mie ragioni, sta zitta. La mia priorità adesso è andare alla Salazar Tower».

Boner stette un momento a guardare, cavalcando la sua custom. Le tutine a tema le erano sempre sembrate ridicole.
Conosceva perfettamente l’identità di quelli che combattevano, sin da bambina. E anche quello grosso, difeso dai Triari, sapeva chi fosse. Mezzanotte.
Una leggenda oscura senza fascino, ma capace di suscitare orrore in lei. Il fragore dell’esoscheletro ed io suoni che grugnivano dalle finte narici la inquietavano.
Sapeva che né Uranium né i pagliacci della Fortress Europe avrebbero fermato l’inarrestabile.
Non ora.
Un modo c’era sempre, le diceva suo padre, di superare ogni avversità, ogni nemico. Sin dalla prima difficoltà, quando per sbaglio uccise il suo primo umano.
«Guardalo Bonnie, guardalo bene», disse serrando con la mano la sua faccia terrificata verso il cadavere «Devi fissarlo in mente e mai dimenticare gli eccessi del tuo potere».
Era cresciuta leggendo dei supereroi della Marvel, sognando di avere uno di quei “doni”. Ma quando era toccata la sua sorte invece del volo o della telepatia, o degli artigli di adamantio aveva ricevuto soltanto il controllo sulla calcificazione delle ossa altrui.
Deformarle affilando dall’interno o sgretolarle completamente, facendo afflosciare un corpo umano con bizzarro “sbluff” in una frazione di secondo. Per la morte occorreva qualche minuto in più di sofferenza straziante.
Di recente una specie di udito selettivo si stava manifestando, ma non riusciva a direzionarlo perfettamente per ascoltare l’intera conversazione.

Erano già a dieci metri di distanza, ma udì Mezzanotte sibilare ad Alexsej: «Portami… Edd… cavo il cuore» mentre i Triari meccanicamente ripetevano «Mezzanotte… cavare… cuore».

La Torre era a pochi chilometri da lì, ma prima era necessario lasciare Dehydra a casa di Eddie, per trovarlo e metterlo al sicuro. Mezzanotte voleva lui e solo lei e suo padre conoscevano la pericolosità della sua situazione.
Dehydra detestava Eddie ed il suo potere da mentecatto. Persino lui si pigliava per il culo parlandone, dicendo che «accellerare la crescita delle piante di basilico è una grande responsabilità».
Dehydra invece era fiera di essere una Super, se ne vantava. Era cresciuta a pane e Ripley, una coi controcazzi insomma, che poteva prosciugare qualsiasi materia organica dei suoi liquidi, anche selezionandone uno soltanto.
Eddie e Boner erano stati insieme più volte, ma i segreti di lei li avevano sempre divisi.
Un passato di cui non voleva o poteva parlare, ma che ora la stava portando lì, da suo padre per la prima volta dopo 15 anni, ammesso fosse stata in grado di arrivarci.
Il Presidente Romney aveva fatto circondare la torre da soldati speciali e quelli dello Start erano nei paraggi, ne poteva sentire il fetore. Specialmente di Libby, la sciacquetta griffata che si dava tante arie solo perché Hollywood le aveva puntato un enorme faro addosso.
La moto sobbalzava, ma non poteva fermarsi.
Sentiva la torre pulsare di teleforce, ma non era la stessa intensità della prima volta. Mezzanotte guidava la partita stavolta.

«Dehydra, ti prego...»
«Tranquilla, Prezzemolino è in buone mani, finchè lo tengo idratato no?»
«Vorrei poterti spiegare, ma non voglio che altri come noi muoiano».
«Aaah quante storie. Va dove devi, al Broccoletto ci penso io. Ci ritroviamo qui tra sei ore».

La torre era illuminata dal fuoco e da esplosioni nei piani alti, proprio dove Hal Salazar aveva il suo splendido attico, la centrale di controllo di tutte le sue fabbriche.
O almeno così faceva credere al resto del mondo, ai suoi dipendenti più fidati e a Tito e Theodor i figli che suo malgrado aveva dovuto tenere con se’.
Il vero comando del suo impero industriale giaceva nel sottosuolo, a 20 piani dallo sfarzoso ingresso della Torre, con al centro l’imponente ologramma di Ramon Salazar.
Tito e Theodor sapevano pochissimo sul nonno e sulle origini del teleforce, sebbene avessero rovistato in ogni singolo angolo del palazzo, ignari dell’intimo “scantinato” paterno di 375.000 metri quadrati, dove peraltro erano venuti alla luce.
I primi esperimenti condotti sul teleforce erano stati testati sui Salazar. Hal non desiderava mettere in pericolo nessun altro.
I suoi due bambini vennero al mondo in laboratorio, manifestando immediatamente un’aggressività impossibile da gestire con mezzi convenzionali. Salazar e i suoi scienziati più fidati studiarono per anni una soluzione, arrivando alla drastica soluzione di sottoporli all’introduzione di naniti infinitesimali nelle cellule in grado di contenere la mutazione scatenata dal teleforce. Di tutto questi avvenimenti inspiegabilmente non avevano memoria, entrambi.

Boner cercò di aggirare i blocchi degli agenti speciali, ma senza successo.
In quell’istante Libby si manifestò a velocità sovrumana e chiese agli agenti se avessero visto il suo bambolotto in costume mentre sulla torre sembrava si combattesse. Un attimo di disattenzione e poté sgattaiolare in una zona d’ombra, dove un secolo fa suo padre le aveva mostrato come entrare ed uscire dalla torre in caso d’emergenza.
Ma fu bloccata da tre agenti, a cui dovette far crescere qualche osso di troppo per attraversare il muro lasciandoli attoniti e urlanti. Un cunicolo strettissimo per dieci metri, poi il buio si disperse all’istante, e la voce metallica di suo padre annunciò «Bentornata Bonnie».

Era il peso di questi segreti che la allontanavano da Eddie, Dehydra e gli altri.

Non poteva spiegare che Hal Salazar non era mai esistito e che Ramon Salazar era il suo vero padre, il primo a contaminarsi volontariamente con la più consistente quantità di teleforce scoperta da lui nei Caraibi nel 1543, all’età di 32 anni.
Vissuto fingendo di essere prima suo figlio, poi suo nipote, poi i suoi altri discendenti per simulare una progenie e nascondere la propria età al mondo, Ramon Salazar difendeva dai politicanti ed i loro mandanti il teleforce da 470 anni con l’invulnerabilità acquisita.
Ma Mezzanotte complicava maledettamente le cose.
- - -
 Scarica Due minuti a Mezzanotte in formato ePub o in formato Mobi aggiornato di settimana in settimana! (Servizio offerto da EBook and Book)

martedì 1 maggio 2012

Capitolo 4 (di Massimo Mazzoni)



Admiral City
Spiaggia di Ocean Park
22 Aprile 2013
Ore 4.13 AM

Dalla fiancata aerografata del furgoncino Eddie lo indicava, seduto su alcune rovine, davanti a un'esplosione nucleare.
Alexsej si riscosse quando i bassi portentosi subentrarono all'intro di sintetizzatore, facendo muovere i suoi anfibi sprofondati nella sabbia.
«Bella festa eh!»
Lui si voltò e una ragazza alta, capelli rosa corti e piercing cromati su buona parte del viso pallido, gli mise le braccia lunghe al collo.
Alexsej la assecondò, poggiandole le mani sul culo sodo.
«Bella felpa!» disse lei passando la mano sulla stampa in rilievo delle costole rosse.
«Sei uno scheletro?» aggiunse, scansandosi di un metro per osservare anche le ossa vermiglie sulle braccia che scattavano nell'aria umida.
«No, sono Stakanov!» e la agguantò per i fianchi nudi che spuntavano dai jeans strappati.
«E posso ballare fino a domattina...» e le baciò il collo salato.
Lei aveva gli occhi verdi spalancati, con le pupille iperdilatate: «Anfe? Me ne dai un po'?»
«Non ne ho bisogno» e fece per baciarla.
Lei si divincolò e si avvicinò a un tipo allucinato che si muoveva rallentato accanto alle fiancate del furgoncino, dalle quali spuntavano le casse dell'impianto.
«Bella festa eh? Hai dell'anfe? Speed, Kobret?» la sentì dire sul frastuono.
Alexsej si strinse nelle spalle, poi la sua attenzione fu catturata dalla scia di fumo denso e oleoso che ancora saliva dalla Salazar Tower.
Un rumore ritmico, echeggiante, sovrastò la techno, quindi due elicotteri passarono a bassa quota, sollevando sbuffi di sabbia sulla piccola folla di giovani, che non se ne curò.
Alexsej smise di ballare e si concentrò per attenuare tutte le frequenze del brano e dopo un attimo gli giunsero le comunicazioni radio dei piloti degli elicotteri:
«I sospetti indossano delle mute o qualche tipo di uniforme che assorbe la luce, massima cautela!»
«Ricevuto!»
Si inserì un'altra voce concitata: «Convergere immediatamente a San Antonio Canal, sono stati avvistati tre degli aggressori!»
Alexsej stava già correndo sulla sabbia, raggiungendo la massima velocità possibile per un uomo, che mantenne costante per i sette chilometri che lo separavano dal porto.

***
Admiral City
San Antonio Canal
22 Aprile 2013
Ore 4.20 AM


La curiosità di Alexsej cresceva di isolato in isolato: aveva incontrato diverse pattuglie di polizia e un drappello di uomini della Puerto Rico National Guard: c'era roba grossa nell'aria, come nel 2001, a Rodeo Drive.
Raggiunse due edifici collassati su loro stessi, con spennacchi di fiamme, fumo e segni di bruciature sui pochi muri ancora in piedi.
Una bellissima donna, capelli neri vaporosi, fasciata in un trench color pesca, stava parlando in un microfono, davanti a un cameraman che illuminava con un faretto una specie di falò: «...giace distesa al centro del cerchio infuocato. Un’armatura nera, una specie di esoscheletro, ricopre interamente il suo corpo. Sulla fronte e sul petto è impresso un simbolo, una sorta di circonferenza...»
Alexsej si avvicinò per osservarla meglio, la sua attenzione fu catturata dai bottoni neri sotto al bavero semiaperto, che trattenevano a stento la pressione del seno.
«E osservando bene tutto notiamo che simbolo, cerchio di fuoco ed esoscheletro sono simili a un orologio. Un orologio che segna la…»
«MEZZANOTTE!»
Alexsej rimase paralizzato nell'udire quasi tutto lo spettro di frequenze da lui percepibile. D'istinto si nascose dietro ad un mozzicone di muro, aspettando che l'intensità del rumore bianco che gli attraversava il cranio diminuisse.
«Continua a riprendere!» la donna aveva una voce di gola profonda, sensuale.
Alexsej si alzò oltre il bordo sbrecciato del suo rifugio e vide due figure nere ed un terzo tizio, più grosso, che si avvicinavano alla donna e al cameraman: prese la lampo della felpa e la tirò fino alla gola e oltre, fino a nascondere completamente la testa.
Un sibilo sui 20.000 Hz si insinuò tra i continui lamenti delle sirene.
Alzò il teschio rosso ed Alexsej vide una stella cadente dorata che andava a posarsi proprio di fronte ai tre.
Sempre meglio. Pensò infilando il tirapugni e avvicinandosi alle spalle di uno dei due tipi che sembravano fatti di gomma.

***

La donna col microfono riprese a parlare ma Alexsej adesso si concentrò soltanto sui rumori provenienti dai tre corpi che aveva di fronte.
Oltre di loro notò che il nuovo arrivato stava parlando a un comunicatore applicato sull'avambraccio cromato.
Tutto attorno al suo corpo avvolto di finissima maglia metallica, svolazzavano delle particelle dorate che lo seguivano in ogni movimento, isolandolo come una bolla di sapone.
Quindi l'uomo si voltò, mostrando un'elica gialla a tre pale stampata sulla piastra pettorale.
«Tu, allontanati immediatamente!» gli urlò con voce soffocata dalla visiera trasparente dell'elmo ellitico.
Spione del cazzo.
Uno dei gommosi si voltò e parò con l'avambraccio il pugno ferrato di Alexsej, che gli lasciò un'impronta ondulata sul battistrada.
«Tu... Super...»
«Esatto, sono Stakanov... » schivò un gancio e quindi un calcio basso, indirizzato al suo ginocchio.
«...e posso ballare con te fino a domattina...»
Per un attimo si ricordò della tipa coi capelli rosa e quindi si beccò un colpo in pieno petto.
Finì con la schiena a terra, il tirapugni volò via da qualche parte nella notte.
Tese le orecchie è schivò una suola che colpì il cemento nel punto dove un attimo prima si trovava il suo fianco destro.
Alexsej si rimise in piedi e si staccò dal passante dei pantaloni mimetici una catena con attaccata la falce e il martello, che normalmente era il suo portachiavi.
Schivò una serie di attacchi di entrambi i tipi con la muta, notando che l'uomo radioattivo gestiva quello con l'armatura nera.
«Io ero qui solo per la moretta, ma ora mi avete fatto un po' incazzare...»
«Signori e signore all'ascolto, come avete visto poco fa l'armatura, una volta animatasi, è stata raggiunta da altre due persone, vestite con una specie di tuta...quindi dal cielo è giunto Uranium, la bomba atomica umana!»
«Ma quando lo scontro appariva inevitabile è sbucato dal nulla una specie di teppista che si è messo a combattere con due degli aggressori! Indossa una felpa nera con cappuccio...c'è stampato sopra uno...uno scheletro...rosso!»
Alexsej si sentì addosso lo sguardo della giornalista e si sentì rinvigorito: tese la catena davanti a sé e imprigionò il braccio del primo che gli sferrò un pugno, cercò di bloccarlo ma quello tirò con forza e lo fece volare a venti centimetri dalle scarpe col tacco della donna.
«Salve mi chiamo Stakanov, Alexsej Stakanov, ti va di ballare, dopo che ho sistemato questi?»
Il cameraman fece in primo piano degli occhi azzurri dietro le orbite del teschio rosso.   
- - -
Scarica Due minuti a Mezzanotte in formato ePub o in formato Mobi aggiornato di settimana in settimana! (Servizio offerto da EBook and Book)