martedì 28 agosto 2012

Capitolo 20 (di Matteo Poropat)




Palazzo Manyal
Il Cairo
22 Aprile 2013
12:35 AM

La sala grande del palazzo era gremita di ospiti, tanto da sembrare un formicaio sul punto di esplodere. Donne ingioiellate e inguainate in costosissimi abiti si muovevano lente e compassate attorno a uomini di potere. Di ogni tipo di potere. Ambasciatori e industriali stranieri combattevano le prime sorridenti schermaglie, per una guerra che avrebbe risuonato per tutta la durata dell'evento, e che avrebbe portato grandi affari a qualcuno, e perdite letali ad altri. Wael Ghaly tentava di tenersi in disparte da tutto ciò, per quanto i suoi due metri e mezzo e la stazza possente gli consentissero. Salutava e sorrideva quanto bastava, scivolando tra i suoi ospiti come un animale da caccia. 
Indossava il completo nero d'ordinanza, che come sempre gli riusciva di trovare meno comodo dell'armatura policarbonica e falsamente antica con la quale guidava il suo personale esercito nell'ormai troppo lunga guerriglia contro le tribù insurrezionaliste del sud. E stringeva nella destra il lungo bastone istoriato, nero e coronato da una testa d'ibis lavorata in argento, al quale si appoggiava di tanto in tanto, le mani giunte, lo sguardo assorto. 
Wael si specchiò in una delle enormi colonne dorate che circondavano la sala. C'era movimento alle sue spalle, oltre il mare di noiosi invitati dei quali poteva percepire ogni singola emozione. All'altro capo della sala due dei canopi discutevano con qualcuno al telefono, seguendo le sue direttive mentali. Si concentrò, sintonizzandosi più a fondo sui pensieri di quelle appendici antropomorfe del suo essere. Notizie da Admiral City. La crisi incombe. Mezzanotte.
Il momento di intervenire, pensò, era finalmente giunto.
Si riscosse dal contatto, ordinando a tutti i canopi di raggiungerlo e dirigendosi a lunghi passi verso un corridoio laterale. Attraverso il vociare, intervallato dal ticchettio del bastone sul pavimento di pietra, percepì il diffondersi della malcelata preoccupazione diffusa dalle sue guardie del corpo, che fendevano la folla per seguirlo.
Strinse mani e annuì affabile. Si fece scivolare addosso viscidi sogni di potere, elargiti da chi cercava un qualsiasi modo per entrare nelle grazie dell'uomo più potente d'Egitto. Se mai avevano saputo, pensò Wael, che lui era stato un umile operaio, ora vedevano solamente il super uomo che usavano chiamare il Grande Toth. 
Il corridoio svoltò e svoltò ancora, in una selva di archi e porte che spesso conducevano a stanze vuote. Un piccolo labirinto cosparso di sensori invisibili, tana di droni da difesa mimetizzati in statue di roccia consumata, repliche perfette di reperti dell'antico Egitto. Giunto di fronte a un'enorme arazzo raffigurante un falco, che tra gli artigli stringeva il mondo, recitò la sequenza di frasi d'accesso. L'arazzo rivelò la sua natura di ologramma, svanendo per rivelare un pannello di luminoso. Eseguì il controllo biometrico, lasciando che il laser azzurro analizzasse la traccia genetica della sua mano. A quel punto il muro intero prese a muoversi, rientrando rapidamente su un lato. Davanti a Wael una ripida sequenza di gradini scendeva nelle tenebre. 
Scese rapidamente, svoltando a destra lungo un nuovo corridoio, illuminato dalla luce acida di neon azzurrognoli. La vista delle mura sbrecciate e degli archi che conducevano alle vecchie celle gli strappò un grugnito, ma tornò a concentrarsi su quanto c'era di più urgente. Alle sue spalle percepì i passi concitati dei due canopi che lo stavano raggiungendo, poi il ronzio che confermava la chiusura del passaggio segreto. 
Attraverso le menti dei suoi uomini era entrato a conoscenza delle notizie da Admiral City, dove alcuni dei suoi uomini erano da tempo insediati, anch'essi mimetizzati, parte del substrato politico e militare. 
Aveva preso una decisione sul piano da seguire. Un accordo con lo START in quella situazione poteva rivelarsi oltremodo vantaggioso, la carta da giocare per un accesso al gruppo di Super più potente del pianeta. Risorse di cui lui aveva bisogno, scienziati che conoscevano la teleforce. Una maggior comprensione su ciò che lui era diventato, un maggior potere.

I due uomini giunti con lui alla fine del corridoio lo osservavano. Identici nei lineamenti, silenziosi energumeni con occhiali da sole e auricolare, ideati per nascondere le interazioni telepatiche che lui possedeva con le altre parti di sé. Marionette alle quali poteva donare una sorta di falsa intelligenza, un'indipendenza mentale che le rendeva parzialmente autonome. 
Si trovavano davanti un'enorme porta, rotonda e metallica, stratificata e imponente, costellata di bulloni grossi come teste pugni. Un'unica finestrella, rotonda anch'essa, era stata ricavata al centro. Un occhio impietoso sul suo passato.
Wael vi si accostò. 
Per qualche secondo tutto rimase immobile, il respiro dei tre uomini era l'unico suono in quell'ambiente dominato dalla penombra esangue regalata dai neon.
Poi iniziarono le urla.
Ridotta a un sacco d'ossa, biancastra e strisciante ma ancora capace di scagliarsi contro di lui quando riusciva a percepirne la presenza, sua moglie lo salutò con la sequela di insulti ormai diventata consuetudine. Almeno da quando era stata contaminata nell'incidente alla centrale. Da quando, anni dopo, lui aveva scoperto la fame nata nel ventre mutato di Isabelle, le scappatelle notturne, le fughe verso i resti della centrale, per leccare via da calcestruzzo e metallo i più vaghi residui di teleforce. Era poi arrivato il giorno in cui l'aveva trovata riversa nel sangue di uno dei aiutanti, un Super, come li chiamavano nell'occidente, come lui mutato nell'esplosione della centrale, un ragazzo abbagliato dai sogni di potere di Wael che si era messo al suo servizio. Smembrato e sparpagliato per l'immensa camera da letto nuziale dove lei viveva segregata da mesi, lo aveva riconosciuto dai resti della mano artigliata con la quale aveva cercato di difendersi. Il povero Horus non era riuscito a trasformarsi, il suo potere divorato prima ancora della sua carne dalle capacità di Isabelle. Quando l'aveva trovata, dopo aver sfondato la porta, lei si stava nutrendo e rideva, gli occhi lucidi di follia animale, il sorriso di una bambina finalmente felice. 
Da allora l'antica prigione, riadattata dagli scienziati agli ordini di Wael, era diventata la sua perenne dimora. 
Non c'era voluto molto, alla mente frenetica dell'uomo, per capire che sarebbe potuta tornare utile, se opportunamente veicolata, quella fame. Il controllo mentale che poteva esercitare su di lei era aumentato col passare degli anni. Ed era arrivato il momento di vedere fino a che punto riusciva a sfruttarla.

Guardò i due che lo attendevano, silenziosi e immobili. Calcolò rapidamente che per i compiti da svolgere gliene sarebbero serviti di più, sicuramente uno di più. Premette gli occhi della testa d'ibis e il becco dell'uccello metallico si aprì, affilato. Tese le dita della mano sinistra davanti a sé. Premette le lame alla base del dito indice e con un'orribile scricchiolio premette un pulsante sulla testa d'argento, amputandosi il dito. 
La smorfia di dolore, accompagnata dal lento scorrere di gocce di sudore sulle tempie, si trasformò rapida nell'estasi della moltiplicazione. Il formicolio atteso e appagante che l'invadeva mentre le ossa crescevano, nervi e tendini si ricostruivano.
Il dito caduto a terra già sfrigolava, come carne all'inizio di una sugosa cottura. L'unghia iniziò a ingrandirsi e ramificarsi, il sangue dilagò in una pozzanghera estesa, che ribolliva di vita innaturale. 
Wael si concentrò per indirizzare quella crescita. I canopi, come lui li aveva chiamati ironicamente quando aveva scoperto, in maniera bizzarra e dolorosa in un incidente d'auto, il suo nuovo potere, tendevano a essere repliche esatte in ogni dettaglio. In generale non lo aveva mai permesso, se non quando gli serviva essere visto altrove. Ma soprattutto le rare volte in cui nutriva l'amata moglie, con quei surrogati di carne che irradiavano tracce di teleforce, preferiva scegliere forme diverse. 
Con un ghigno soddisfatto ammirò la creatura sanguinante venir lentamente ricoperta dall'epidermide rosata e fastidiosa che le regalava gli ultimi dettagli delle fattezze di Mitt Romney.

Premette un pulsante sulla parete, e le catene che cingevano gli arti di sua moglie si accorciarono, legandola senza pietà alla parete della cella. Quindi l'enorme porta fremette e si aprì come una bocca animata da una fame senza tempo. Con un comando mentale ordinò al suo burattino di carne di entrare, poi premette ancora il pulsante.
Si girò verso i due canopi in attesa. 
Di chi potevi fidarti in quel mondo, se non di te stesso, pensò.
Ordinò loro di predisporre il sistema di contenimento e trasporto per Isabelle, il suo vestito di kevlar che le impediva di entrare in contatto, almeno durante il viaggio, con qualsiasi fonte di teleforce che lei avrebbe potuto prosciugare. Dovevano quindi mettersi in contatto con il quartier generale dello START. Cercare Alex Ross. Voleva parlare direttamente con lui, predisporre un incontro urgente per discutere dei problemi legati a Mezzanotte e le necessità di assorbire ingenti quantità di teleforce. Gli avrebbe proposto qualcosa di molto americano, pensò, gustandosi i grugniti bestiali che annunciavano il pasto mensile della moglie. Uno scambio di coppia.
I due canopi annuirono, quindi si diressero verso il piano superiore.
Wael guardò il bastone, il becco dell'ibis che stillava sangue. 
Doveva partire per un lungo viaggio.
Ne avrebbe avuto ancora bisogno.
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sabato 25 agosto 2012

(Guest post) Costruiamo un museo a Nikola Tesla!




Carissimi lettori (e partecipanti) di Due Minuti a Mezzanotte,

mi intrufolo abusivamente tra i capitoli di questa stupenda round robin supereroistica per comunicarvi un messaggio importantissimo.

Tutti voi avrete sicuramente presente Nikola Tesla. (La risposta deve essere “sì”, altrimenti sarete costretti a prendervi a schiaffi da soli.) Detta in parole povere, Tesla (1856-1943) è il padre del Ventesimo Secolo: un inventore, ingegnere, fisico e visionario fuori dal comune che ha letteralmente plasmato il nostro modo di intendere la tecnologia. La Corrente Alternata è solo una delle sue numerose invenzioni. Tesla sperimentò con successo in numerosi campi del sapere scientifico, anticipando (spesso di parecchio) i tempi: raggi X, onde radio, radar, motori elettrici, comunicazione wireless, persino un macchinario per scatenare terremoti. E tutti i suoi sforzi miravano ad un unico scopo: il benessere dell’umanità. 

“La trasmissione economica dell'energia senza fili è di importanza fondamentale per l'uomo. Gli permetterà infatti di dominare incontrastato sull'aria, sul mare e sui deserti. L'uomo sarà libero dalla necessità di estrarre minerali o petrolio, trasportare e bruciare combustibili, abolendo così molteplici cause di inquinamento. Il glorioso sole diventerà il nostro servo ubbidiente. Pace e armonia si diffonderanno sulla Terra.” (tratto da “Electrical World and Engineer” del 7 gennaio 1905).

Tesla era un genio rivoluzionario, un uomo fuori dal suo tempo che non ottenne il giusto credito per le sue incredibili scoperte. Ripassatevi la cosiddetta “Guerra delle Correnti”, ovvero il famigerato scontro con Thomas Edison, per saperne di più.

martedì 21 agosto 2012

Capitolo 19 (di Domenico Helldoom Attianese)




Laboratorio Centro START 
22 aprile 2013 
Ore 6:25  


Cheveaux d’Ange si era risvegliato, il suo corpo almeno.
«Non sono il francese, sono Scanner.»
«Come?» Blackjack era confuso. 
«Probabilmente avrà trasferito tutta la sua mente dentro di lui, forse perché altrimenti molti dettagli sarebbero andati persi», spiegò Rushmore. 
«E bravo il cervellone», rispose Scanner, col corpo del francese. 
«Visto che non sei morto, Dream è tornato normale?» 
 «No, Rushmore, ormai American Way è libero. I blocchi psichici sono saltati quando sono entrato in coma e Salazar ha trovato, non so come, il modo di soggiogarlo ai suoi ordini. Way è convinto di vedere Mezzanotte, che lui crede essere un certo Dave con cui sarebbe cresciuto. Non so come abbia fatto, ma Salazar controlla uno dei super più potenti in circolazione.» 
«American Dream è contro di noi…» 
«Sì, ma non è questo il problema più grande. Salazar e Mezzanotte stanno per fare la loro mossa, grazie ai poteri di Mezzanotte intendono far saltare Portorico e generare un’onda di Teleforce che si spargerà per tutto il pianeta.»

* * * 

Salazar Tower
22 aprile 2013
Ore 6.25

«Allora perché ci sei tu qui, papà?»
«Mezzanotte non è solo un nome, è un piano. Codice di sicurezza: Omega-Tesla-Geova-Super.» Salazar vide Bonnie guardare oltre le sue spalle. Un muro si divise in due alle sue parole e rivelò uno scheletro metallico collegato ad una postazione computerizzata. 
«Questo, Lisa, contiene il cervello di Maxwell, e questo» - disse, indicandogli il diamante che lo scheletro portava al collo- «contiene la sua anima. Mezzanotte è mantenuto in questo mondo da un supporto vitale e dal mio potere. Il mio potere è superiore a quello dei super creati dall’incidente, io sono stato esposto alla pietra intera. In parole semplici, posso controllare e manipolare le anime degli esseri viventi, posso sentirle e osservarle, comprenderle e alterarle.» 
Bonnie gli sembrava confusa. Non aveva mai fatto cenno a nessuno dei suoi poteri, ma ormai non aveva più senso nasconderli. 
«Forse capirai meglio così. Nightshifter, entra.» 
«Eddie, stai bene?» chiese Bonnie, preoccupata, vedendo entrare Eddie, dalla cui bocca colava una nebbia nera.  Salazar gli toccò la fronte, gli occhi si illuminarono di verde e Nightshifter uscì dal suo corpo, solidificandosi accanto a Salazar. 
«Sta benissimo, controllo la sua essenza ora, e gli ho fatto un upgrade. Voi due, come molti super, siete molto più potenti di quello che pensate.» disse Salazar e toccò la fronte di Bonnie. Anche i suoi occhi si illuminarono di verde e, come Eddie, si fermò in piedi di fronte allo scheletro. 
«Come lui, ora sei più potente e soggiogata a me. Ora calma, sento che cerchi di liberarti. Non puoi, mettiti il cuore in pace e ascolta. Voglio farti capire, voglio che almeno uno dei miei figli sia con me» disse, con un misto di speranza e dispiacere nella voce. 
«Che devo capire, sei un pazzo bastardo, papà» 
«Sssh» fu la risposta di Salazar, e Bonnie ammutolì. «Come stavo dicendo, io e Maxwell ci separammo dopo l’incidente del ‘73. La nascita dei super aveva creato in me un nuova speranza, un mondo che ci avrebbe uniti agli uomini e ci avrebbe permesso di progredire verso un futuro migliore. Maxwell capì, prima di me, che non sarebbe stato possibile e ognuno andò per la sua strada. 
Dopo l’incidente di Rodeo Drive mi ricontattò, disse che aveva scoperto qualcosa di terribile. 
Quando andai da lui, scoprii che stava morendo. Lo avevano contaminato con qualcosa creato apposta per i Super, e mi mostrò i piani dell’ONU che era riuscito a recuperare. 
Un virus chiamato “Piaga del superuomo”, campi di concentramento, bombardamento nucleare. Era quello che volevano fare nel caso fosse successo qualcosa di simile all’incidente del 2001 o a quello del 1973. 
Non potevo lasciarlo morire cosi, avevamo attraversato i secoli insieme, eravamo più che fratelli e cosi chiusi la sua anima in quel diamante e il suo cervello in quello scheletro. Portai ciò che rimaneva di lui qui, e andai a chiedere spiegazioni. 
Non negarono nulla, mi minacciarono e mi dissero che solo l’entusiasmo che gli uomini avevano per i super ci salvava ancora dalla nostra fine. 
Per anni meditai su cosa fare, pregando che non scoccasse qualche scintilla, ma non potevo attendere per sempre. 
Quei due psicopatici dei miei figli sono sempre più difficilmente contenibili.  
Quel bastardo di Yell è sempre più azzardato in quello che fa. La minaccia del risveglio di American Way, che ho fortunatamente arginato, prima che mostrasse al modo la sua follia. 
E questi sono solo alcuni dei pericoli che potrebbero scatenare contro i super l’ira e la paura di un intero pianeta. Certo, vorrei che tutti i super si unissero a me e non dovessero perire insieme a Portorico, ma molti non capirebbero. 
I Governi ci temono, vogliono distruggerci. E i super alleati ai governi, come lo START e la Fortress Europe, hanno tradito i loro simili. Quindi è ora di assumere il posto che ci spetta. 
Se tutti diventano Super, non avremo più nemici» disse Salazar, sinceramente dispiaciuto per quello che lui e Mezzanotte avrebbero dovuto fare ad alcuni dei loro simili. 
«Ed ora all’opera, ricreiamo un corpo a Maxwell» concluse. 

Toccò prima la fronte di Eddie, poi quella di Bonnie sintonizzando le loro anime e codificando i suoi ordini.
Si misero all’opera, mentre Salazar sentiva tutto quello che facevano. 
Prima Bonnie mutò il minerale dello scheletro da argento a calcio, mentre Eddie duplicava il DNA dal cervello creando il midollo. Mentre il lavoro di Bonnie era finito, Eddie continuava, cellula dopo cellula, a ricostruire il corpo. 
Reni, Polmoni, Cuore e tutti gli altri organi interni. Intanto uno shanghai di vene ed arterie si generava partendo dall’alto, mentre strati di cartilagine, muscoli e pelle iniziarono a ricoprire tutto lo scheletro.
Per ultimi creò gli occhi, di un azzurro intenso e dei lunghi capelli neri. 
Bonnie ed Eddie si spostarono e Salazar si avvicino al nuovo corpo. Staccò il diamante dal suo collo e la pietra andò in polvere nelle sue dita, lasciandogli un fumoso pugno di energia verde tra le mani. 
Con l’energia tra le mani, appoggiò i palmi al corpo e un’esplosione di Teleforce proveniente dal redivivo Maxwell stese Nightshifter, Eddie e Bonnie. 
Un sorriso si stampò sul volto di Maxwell, che abbracciò Salazar. «Finalmente ti sei reso conto che avevo ragione, eh Hal?» 
«Purtroppo sì, dobbiamo agire in fretta… ma prima mettiti qualcosa addosso» rispose Salazar sorridendo di rimando. 
«Ah, sì», rispose e semplicemente pensando riorganizzò gli atomi intorno a se in un nuovo costume. 
«Che te ne pare?» Sembravano due ragazzini che non si vedevano da tempo, pronti a giocare di nuovo insieme. 
A un gioco che avrebbe sconvolto un pianeta.
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lunedì 6 agosto 2012

Capitolo 18 (di Lorenzo Ladogana)




ADMIRAL CITY
22 Aprile 2013
Ore 6. 25 a.m

“Non c’è nemmeno una traccia di aria condizionata in questo furgone, che cazzo!” pensò Alex Ross. Avevano a disposizione le migliori tecnologie degli Stati Uniti che un furgone blindato potesse trasportare, e si era dovuto far prestare un ventilatore a batteria da un negozio a due isolati più avanti per non morire di rosolia.
Il tenente si faceva aria con un catalogo di costumi da bagno, seduto indecorosamente sulla sedia della sua postazione nel più grande del gruppo di veicoli militari impiantati nell’ampio parcheggio vicino a quel ramo della spiaggia. Il sole sarebbe sorto di nuovo di lì a poco, e l’effetto frescura dell’aria umida e salina proveniente dal mare sarebbe del tutto scomparso. Nemmeno la leggera coltre di nuvole che oscurava il cielo avrebbe avuto pietà di lui. 
Alex non riusciva a tollerare il caldo, ma quello che lo faceva sudare ancora di più era il nervosismo. Era bloccato da cinque ore tra una serie di cinque monitor che si aggiornavano ogni dieci secondi con messaggi provenienti da ogni angolo dello Stato, che andavano dai provvedimenti disciplinari intraprese per le chiusure delle linee aree, allo spostamento dei civili nelle zone più sicure dell’isola e sulle coste adiacenti, fino ai primi messaggi di appello delle Nazioni Unite sulla faccenda Admiral City.  
Da quando si erano mossi da Island Stone un ora e mezzo prima aveva ricevuto al bellezza di settantanove telefonate da più di venti ambasciate differenti, mentre arrivano notizie dei cosiddetti “rinforzi speciali” che l’Unione Europea, l’Egitto , il Giappone stavano inviando. Fortress Europe era entrata in azione già da più di due ore, mentre le altre delegazioni si stavano riunendo tutte ad Island Stone, attraverso la richiesta ufficiale del tenente colonello Marv Gordon. Marv non gli piaceva: era stato il suo mentore, se così si può dire, fin da quando era un ufficiale.  Aveva imparato ad odiarlo e rispettarlo per quei vent'anni, fino a quando, raggiunta una certa posizione di prestigio, non aveva colto al volo l’opportunità di mettere su una squadra da solo e chiudere con le sue stronzate. Marv era sicuramente un uomo intelligente e ancora molto in forma, nonostante avesse compiuto da poco sessant’anni, ma i suoi atteggiamenti razzisti ed arroganti gli avevano irrimediabilmente e tarlato il cervello, negli anni. Non ce lo vedeva proprio, pensò Ross, ad accogliere una delegazione del Grande Thot stappando una bottiglia di Champagne, sventolando a destra e a manca la protesi del braccio che qualche anonimo musulmano gli aveva fatto saltare nel corso della Guerra del Golfo . “Tanto per lui sono tutti uguali” ridacchiò il tenente.
Smise di pensarci e prese a scuotere il giornale più velocemente. Era stanco, aveva dolori di stomaco e soprattutto era solo. Mai come in quel momento si sentiva totalmente abbandonato a se stesso: Aveva solo tre o quattro uomini di cui si poteva fidare ciecamente,  mentre gli altri erano per lo più marionette, uomini di Gordon, ex-membri di scorte di polizia e di volti importanti della politica riciclati come unità di difesa, dopo essere stati imbottiti di droghe e steroidi sintetizzate in laboratorio dal nuovo acquisto della START, un biondino sudafricano che gli faceva venire la nausea.
“Queste non sono più faccende di sicurezza nazionale” – pensò – “Non sono più neanche guerre: stiamo giocando a fare le divinità. Mandiamo gli Dei a combattere al posto nostro, sperando che ci parino il sedere”. Pensò a quando abitava a Shanwee con i suoi genitori. Il Kansas era la nazione di Superman, e lui adorava leggere le sue storie sui fumetti che il padre Norman gli portava dopo il lavoro. Poi i Super divennero reali, e capì che non erano perfetti come l’immagine radiante dell’eroe sulla prima pagina di Action Comics, ma erano umani normali, negli aspetti peggiori e migliori del termine. Sorrise lievemente, pensando a Libby e a Matt. 
Fu allora che sentì un piccolo segnale luminoso dal suo computer, un messaggio su una linea privata. Non era una voce, ma una semplice serie di ticchettii sconnessi, l’uno dopo l’altro. Un codice Morse. 
W… J,R, L…”  Le stesse quattro lettere a ripetute a ciclo continuo. Rimase perplesso per un attimo, poi capì: era Karl.
Entro nella canale privato dello Start e vide che Rushmore stava cercando di inviargli un file: si era dimenticato del vecchio trucchetto dell’usare le quattro iniziali dei Presidenti dell’omonima montagna. 
In quel momento entrò il Tenente Millar. «Tenente Colonnello Ross, venga a vedere!»
«Non ora Mark!». Se Rushmore non gli aveva telefonato, ci doveva una motivazione molto grave.
«È davvero urgente! Venga!». Il tenente allora si alzò e si sporse fuori dai portelloni del furgone nero e bianco. Ci mise un po’ a comprendere cosa stava succedendo, ma poi focalizzò l’assurdità della cosa: stava nevicando.
«Come diavolo, come fa a nevicare in questo mese dell’anno?» A PORTORICO?
«Non lo so signore. Le temperature erano stabili fino a poco fa, poi i termometri hanno iniziato ad impazzire.» Disse sconcertato Millar.
Ross si toccò le braccia e si accorse di colpo che l’incredibile calo di temperatura era reale: aveva smesso di sudare e ora provava un certo fastidio alla pelle.
«Tutto questo è assurdo…»;  poi si volse verso la Salazar Tower: il crepitio dell’energia sulla sommità esplosa della struttura risplendeva bluastro, occasionalmente. «Deve essere opera della Teleforce. Tutto quanto quello che sta succedendo ora deve essere stato causato da qualcosa che viene dalla torre. Forse Rushmore…» disse, e si ricordò del messaggio del professore, che nel frattempo era caduto sul pavimento. Lo raccolse e lo lesse attentamente.
«Tenente Colonello che ordini devo dare agli uomini?», gli chiese Millar, ma Alex Ross non lo stava ascoltando, perché in quell’esatto momento leggendo ciò che Cheveux D’Ange aveva estratto dalla mente del Professor Scanner, e che egli aveva preso sondando al mente di Mezzanotte.  E a dirla tutta, adesso non si sentiva tanto bene nemmeno lui adesso.
«Dì… dì… agli uomini di caricare tutto nei furgonie di prepararsi a partire», disse con un filo di voce il tenente colonello, tenendosi con una mano lo stomaco in subbuglio.
«Adesso Tenente Ross? Ma non dovremmo…» 
«ORA, Tenente Millar», esplose Ross, riprendendosi. Mise il foglio in tasca e rientrò nel furgone. Si diede una botta sulla pancia e si impose di rimanere calmo.
«Sissignore» disse Millar, risentito, e andò a chiamare gli ufficiali.
Alex spense il ventilatore, chiuse i portelloni del furgone e si sedette sul cruscotto, incredulo. Aveva abbandonato il Kansas seguendo il sentiero dei mattoni dorati per entrare nella Guardia Nazionale, si era fatto le ossa a Sarajevo, in Iraq, in Afghanistan e in Libia. Eppure niente era paragonabile a ciò ora sapeva, nemmeno l’incidente di Rodeo Drive. Mezzanotte era davvero nella torre. Era umano, vivo e terribile. E se entro un ora non fosse stato fermato, Admiral City e l’intera Porto Rico sarebbero scomparse dalla faccia della Terra.
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