lunedì 24 dicembre 2012

I Regali di Natale di 2MM


Auguri, cari lettori di Due Minuti a Mezzanotte!
Per questo Natale, qualche regalino è infine arrivato anche dal mondo parallelo dove abitano i nostri amati Super.
Prima di tutto vi segnaliamo l'uscita della preview di un nuovo spin-off, B-Team, scritto a due mani da Alessandro Girola e Germano M.
Verrà pubblicato a inizio 2013, ma al momento potete già scaricare gratuitamente i primi due capitoli dai blog dei rispettivi autori, qui e qui.
Sempre dall'ideatore di 2MM potete scaricare il racconto Quando Sibir sconfisse il Natale, di circa 3000 parole.
Nel caso ve lo foste persi, recuperate il racconto in due puntate, Fra le rovine di Admiral City, scritto da Davide Mana. Dove si può leggerlo? Facile: ecco il capitolo uno, e a seguire il capitolo due.
Per ora è tutto.
Di nuovo Buon Natale a tutti. Ci si rivede da queste parti il due gennaio 2013, mi raccomando!

martedì 18 dicembre 2012

L'Ebook di Due Minuti a Mezzanotte



Visto che c'è ancora un po' di confusione tra alcuni di voi lettori, ci preme ribadire che l'ebook della Round Robin Due Minuti a Mezzanotte è già disponibile per il download gratuito.
Si tratta di un duplice file, ePub e Mobi, che contiene tutti i 34 capitoli, senza editing né cambiamenti di sorta.
In pratica è la storia di 2MM, così come l'avete letta in questi otto mesi, ma raccolta in un unico, pratico ebook, con tanto di utili appendici.
I link per scaricarlo sono questi:


Niente versione PDF, perché il PDF non è un vero ebook ;)
Colgo l'occasione per ringraziare nuovamente Matteo Poropat, che si è occupato dell'impaginazione settimanale dell'ebook e di tanti altri aspetti relativi a 2MM.
Buona lettura! (again)

martedì 11 dicembre 2012

Capitolo 34 (di Angelo Benuzzi)



Admiral City
23 Aprile 2013
Ore 00:15:00

Ammit si rialzò, l’impulso cieco della fame sopraffatto da una nuova sensazione. Tremava tutta, sussulti sempre più violenti che sembravano poterla smembrare da un momento all’altro. Attorno a lei si diffuse una vibrazione, una nota cupa a limite degli infrasuoni. Un punto luminosissimo, azzurro-bianco, si manifestò all’altezza del suo petto. I residui di consapevolezza di Isabelle, il nucleo di istinti che costituivano l’identità di Ammit morirono in quel momento, annientati dalla luce insostenibile della Teleforce.
L’energia assorbita aveva raggiunto la massa critica, oltre al limite sostenibile per un essere umano, oltre alle possibilità di un qualsiasi essere vivente basato sulla chimica del carbonio. In pochi secondi il punto si espanse fino a saturare la forma-Ammit e cominciò a crescere. Mentre cresceva, un metro alla volta, la nuova creatura diventò cosciente. Prima di sé, poi dell’ambiente che la circondava. Arrivata a trenta metri di altezza, con una forma che ancora assomigliava a quella umana, la creatura si guardò attorno, cercando altri come lei. La sua visuale spaziava dall’ultravioletto all’infrarosso, mettendo in evidenza la presenza di Teleforce. In un sussulto di volontà espanse ancora la sua coscienza, arrivando ad abbracciare tutto il pianeta e spingendosi fino alle fasce di Van Allen.
Sola. Non aveva pari. Levò verso il cielo le sue appendici superiori ed estese filamenti azzurri in tutte le direzioni, pronta a collegarsi a tutte le sorgenti di Teleforce per riassorbirle dentro di sé.

Admiral City
23 Aprile 2013
Ore 00:15:05

Eric Meson era sotto choc. In tutti i suoi anni da super aveva visto di tutto, era stato testimone e spesso causa di innumerevoli morti. Il flare di Teleforce di poco prima lo aveva lasciato scosso, sembrava aver portato via la sua capacità di concentrarsi e di controllare la sua armatura. In più si era abituato ad essere l’arma finale, il risolutore delle crisi peggiori. Eppure quella cosa, Ammit, aveva praticamente ignorato i suoi colpi e ora… ora era diventata qualcosa che Uranium non riusciva a comprendere. Dopo tanti anni Meson riscoprì cosa volesse dire avere paura. Libby scomparsa insieme a Mezzanotte, American Dream fatto a pezzi, tutti gli altri... e sentire dentro di sé la pressione del proprio potere cambiare.
«Eric? Uranium? Mi senti? Riesci a sentirmi?»
Lontana, la voce di Rushmore alla radio era troppo lontana. Meson crollò a sedere, incapace di continuare a combattere.

Admiral City
23 Aprile 2013
Ore 00:15:10

«Rushmore, sto ascoltando la mente di Uranium. E’ nel panico, dobbiamo fare qualcosa alla svelta.»
«Non sai neppure quanto alla svelta,» Rushmore fissava due schermi del centro di controllo «i livelli di potenza di quella cosa sono completamente fuori scala e come se non bastasse da Washington è arrivato l’ordine di lancio. Lo vedi quello?» Indicò la sagoma nera di un sommergibile, appena emerso nell’oceano a duecento chilometri da Admiral City «Ecco la risposta del Presidente a tutti i problemi. SSBN-742, il Wyoming.»
Scanner lesse il resto nella mente dell’amico. Armi nucleari, missili MIRV multi testata. Romney aveva deciso di sacrificare Admiral City per fermare la nuova minaccia. No. Non glielo avrebbe permesso.
«Rushmore, mi occupo io del Wyoming. Tu aiuta Eric, possiamo ancora farcela!»
Scanner si distese a terra e proiettò la sua mente verso i quindici ufficiali del sommergibile. Doveva guadagnare tempo.

Admiral City
23 Aprile 2013
Ore 00:15:10

La creatura aveva raggiunto la sua piena estensione, era intimamente connessa con ogni traccia di Teleforce sulla superficie del pianeta e si era spinta fino a grande profondità nella crosta terrestre nella sua ricerca. Era tempo di raccogliere, di riunire il tutto per crescere ancora e raggiungere così la sorgente dell’energia, in un altro strato della realtà.

Admiral City
23 Aprile 2013
Ore 00:15:55

Rushmore aveva preso il controllo dell’armatura di Uranium, allontanandolo dalle immediate vicinanze della Salazar Tower. Eric continuava a non voler rispondere ai suoi appelli via radio e i livelli di radiazioni che emetteva stavano diventando preoccupanti. Le videocamere dell’armatura mostravano la creatura nella sua piena estensione e quei sottili filamenti che finivano con il perdersi negli strati alti dell’atmosfera lo preoccupavano. Allo stesso tempo seguiva i risultati dell’operato di Scanner; il telepate aveva avuto un’idea geniale. Sapendo che il protocollo del lancio di armi nucleari richiedeva la conferma dei codici da parte di due ufficiali a bordo aveva confuso sia il ricordo che la percezione di due cifre del codice, rendendolo così diverso per tutti e quindici gli ufficiali. Il comandante stava inviando messaggi sempre più confusi alla base di Groton. Improvvisamente lo schermo del controllo dell’armatura si bloccò, la scritta MANUAL OVERRIDE a lampeggiare in rosso.

Pentagon War Room
Washington, D.C.
23 Aprile 2013
Ore 00:16:00

Il presidente Romney era passato, insieme a tutto il suo staff, nella War Room sotterranea del Pentagono dove aveva trovato ad attenderlo i Segretari di Stato e della Difesa. Altri membri del governo, insieme al vice presidente Ryan, erano in volo verso il comando del NORAD. L’intero sistema militare americano era passato in Defcon-1. I principali leader mondiali stavano seguendo al situazione, ognuno seguendo i suoi piani di emergenza. Se la situazione a Puerto Rico fosse sfuggita di mano Romney era disposto a farla bombardare sia dai russi che dai cinesi, la verità non sarebbe mai arrivata all’opinione pubblica.
«Signor Presidente, il Wyoming è in posizione di lancio.»
«Perché non ha già sparato quei maledetti missili? Ho dato l’ordine esecutivo un quarto d’ora fa!»
«Signore, pare che ci siamo dei problemi con i codici di lancio. Stiamo attivando un secondo sommergibile ma ci vorrà ancora qualche tempo. Il Rhode Island sarà pronto al lancio tra undici minuti.»
«Va bene! Massa di incapaci, mi domando come avete sprecato i miliardi che costate ogni anno!»

Admiral City
23 Aprile 2013
Ore 00:16:00

Eric Meson aveva ritrovato se stesso. Aveva accettato di poter morire, di cadere come American Dream. Con un sussurro attivò la configurazione più estrema dell’armatura, ignorando una volta di più la voce concitata di Rushmore. Puntò entrambe le mani verso la creatura e chiuse gli occhi, lasciando che tutto il suo dolore, la sua rabbia e la sua frustrazione avessero la meglio sui condizionamenti che aveva appreso negli anni. Una volta Rushmore gli aveva detto di non essere in grado di calcolare a che livello di potenza potesse arrivare, era arrivato il momento di scoprirlo. L’aria attorno a lui iniziò a ionizzarsi, le sue mani a brillare di una luce verdeblu ultraterrena. I contatori Geiger dell’armatura andarono dritti fuori scala.

Admiral City
23 Aprile 2013
Ore 00:16:05

La creatura cominciò ad evocare a sé il potere della Teleforce, attivando tutte le propaggini che aveva diffuso per il pianeta. In tutto il mondo i super umani sentirono improvvisamente un dolore acutissimo, un gelo terribile scendere nel profondo delle loro anime. In Giappone, in California, nelle Filippine, in Turchia, in Iran e in Cile iniziarono a prodursi scosse di terremoto. Quando il dolore arrivò alla mente di Uranium la reazione fu il rilascio della sua piena potenza.
Raggi gamma. Un fascio di energia erogato poco sotto la velocità della luce a una potenza devastante, petajoule concentrati su un’area ristrettissima. La creatura cercò di assorbire l’onda di energia, per una frazione di secondo passò dal blu a un bianco accecante, crescendo enormemente di statura quasi potesse lanciarsi verso la stratosfera. Poi la materia che la componeva collassò. Da neutroni, protoni ed elettroni fino a degradare in adroni, mesoni e barioni, fino a dissolversi del tutto. Il suo urlo di morte riecheggiò dalle frequenze radio fino agli ultravioletti mentre le particelle elementari che l’avevano composta venivano scagliate oltre gli strati superiori dell’atmosfera fino ad impattare con le fasce di Van Allen.
Per un brevissimo istante la Terra brillò di luce propria, un lampo azzurro-bianco.
Per lo stesso istante, nella mente di tutti i super del mondo arrivò un frammento della consapevolezza della creatura.

Pentagon War Room
Washington, D.C.
23 Aprile 2013
Ore 00:17:00

«Signor Presidente, novità da Admiral City. I satelliti hanno registrato un evento anomalo e ora quella creatura sembra essere svanita. Livelli di Teleforce poco sopra la norma, la radioattività ambientale ha avuto un picco fuori scala ma ora sembra essere ritornata allo standard.»
Romney non rispose, lo sguardo fisso sullo schermo principale. Il centro di Admiral City ripreso dall’orbita bassa.
«Signore, siamo a T meno dieci minuti per il lancio dal Rhode Island. Il Wyoming ha ripreso l’operatività ed è a T meno tre minuti. Signore? Proseguiamo con i lanci?»
«No.» La voce del Presidente era bassissima. «Annullare. Passiamo a Defcon-2.»

Admiral City
23 Aprile 2013
Ore 00:18:00

Rebel Yell faticava a tenere gli occhi aperti, il dolore alle tempie era quasi insopportabile. Attorno a lui il resto degli Old Timers si stava rialzando lentamente. C’era un silenzio surreale. Mosse qualche passo incerto, rischiando di inciampare sulle macerie. Nessuna traccia della creatura, sembrava non si muovesse nulla in tutta la zona. Rinfoderò le pistole.
«E’ finita.» Persino la sua voce aveva un eco strano.
«Che si fa ora?» Anche Shock to the System era riuscito ad alzarsi e si guardava attorno spaesato.
«Che facciamo? Ci diamo da fare.» Rebel si stava riprendendo.«Prima che arrivi la Guardia Nazionale passeranno parecchie ore, ci sono sicuramente moltissime persone che hanno bisogno di aiuto. Tiratevi su, forza!»
Poco lontano anche Stakanov e Musashi si erano rimessi in piedi. Il russo stava aiutando Boner a mettersi a sedere. Brawler e Sniper erano rimasti al suolo, apparentemente non operativi.  

Admiral City
23 Aprile 2013
Ore 00:18:00

Rushmore si era ripreso, aveva controllato le condizioni di Scanner che era ancora incosciente. Metà della strumentazione era partita ma lo schermo con la telemetria dell’armatura di Eric era ancora acceso. SYSTEM FAULT. Nessun dato dalle telecamere o dai sensori, persino il localizzatore GPS era andato. Mentre si dava da fare per riattivare più sistemi possibile teneva d’occhio le comunicazioni del Wyoming, fu un vero sollievo vederlo iniziare le manovre di allontanamento.
Altri schermi inquadravano porzioni diverse di Admiral City, zone in cui erano stati localizzati i Triari. Erano tutti a terra, apparentemente morti. Rushmore continuò a darsi da fare, cercando di costringere la sua mente lontano dal dolore. American Dream fatto a pezzi, Libby dispersa, Uranium probabilmente annientato, tutti gli altri…

Mar dei Caraibi
30 miglia a Nord di Puerto Bolivar, Colombia
Ore 00:18:00

Lady Liberty riprese conoscenza, spossata oltre ogni sua precedente esperienza. Attorno a lei c’erano tre persone, sconosciuti che la fissavano con aria preoccupata.
«Dove… dove sono?»
Le rispose il più giovane, in un inglese fortemente accentato.
«Sulla Madre de Dios signora, questo è un peschereccio. L’abbiamo vista venire giù dal cielo.»
Le tornò tutto alla mente, sequenze tanto dolorose quanto nitide. Doveva capire cosa era successo.
«Avete una radio? Un telefono satellitare?»

Pentagon War Room
Washington, D.C.
23 Aprile 2013
Ore 00:32:00

Il Presidente Romney era passato nella sala videoconferenze, da solo. Dai monitor lo fissavano Vladimir Putin, Hu Jintao e Manmohan Singh.
«Signori, possiamo dirci soddisfatti. Alla fine siamo riusciti a fermare Salazar e a disfarci di parecchi super umani. Stiamo già provvedendo a confiscare tutte le proprietà e le strutture delle Salazar Industries in territorio americano, immagino stiate facendo lo stesso nei vostri paesi.»
Cenni di assenso, sorrisi tirati. Fu Putin a rispondere.
«Come farà con la stampa? La decisione di bombardare Admiral City verrà fuori prima o poi, le sarà difficile rimanere in carica.»
Mitt Romney si versò da bere, alla faccia dei precetti mormoni. C’erano momenti in cui due dita di Bourbon era necessarie.
«Ci penserà Paul Ryan, il mio vice. Io continuerò il nostro lavoro da fuori. Scaricheremo tutte le responsabilità sui super e su Salazar.»
Alzò il bicchiere verso i capi di stato, un muto brindisi.
«Ho fatto quello che dovevo, la storia me ne renderà merito.»

Admiral City
23 Aprile 2013
Ore 00:55:00

Fu Stakanov a trovare Uranium, sul tetto di un palazzo vicino ai resti della Salazar Tower. L’armatura era annerita, la postura fetale. Il russo trovò un pannello di emergenza sul dorso, lo aprì a forza. All’interno un unico led verde pulsava debolmente.
«невероятный, è un miracolo.» Pensò Stakanov. «Quest’uomo è davvero difficile da uccidere.»      


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Scarica Due minuti a Mezzanotte in formato ePub o in formato Mobi aggiornato di settimana in settimana! (Impaginato da Matteo Poropat)

martedì 4 dicembre 2012

Capitolo 33 (di Fra Moretta)



Admiral City
Attico del Crown Plaza
23 Aprile 20
13
Ore 00.10
Terminato il suo banchetto Isabelle iniziò nuovamente a fiutare l’aria cercando il suo nutrimento. Per quanto sostanzioso l’ultimo pasto non ne aveva saziato la  fame anzi quest’ultima era accresciuta. Finalmente sentì una traccia, anzi più di una, e pregustando il banchetto iniziò a muoversi.

Admiral City
Sopra le macerie della Salazar Tower
23 Aprile 2013
Ore 00.12

Eddie si sentiva confuso. Ricordava chiaramente di aver usato i suoi poteri per ascendere verso la cima dell’albero intenzionato ad  uccidere Salazar e Mezzanotte ma, prima che potesse farlo, la Super chiamata Lady Liberty li aveva attaccati, rompendo il campo di forza che li sosteneva. Salazar era precipitato al suolo spappolandosi come un pomodoro mentre Lady Liberty era riuscita in qualche modo a uccidere Mezzanotte privandolo della sua vendetta. Ora il ragazzo si domandava cosa fare: se fosse tornato a terra l’incapacità di controllare il suo potere avrebbe potuto far del male a qualcun altro come era successo con Boner. Mentre si interrogava sul da farsi qualcosa nei pressi delle rovine della Salazar Tower attirò la sua attenzione.

Admiral City
Presso le macerie della Salazar Tower
23 Aprile 2013
Ore 00.12

Boner osservava i resti di suo padre in preda ad una forte confusione: non sapeva se piangerne la morte oppure esultare per il fallimento del suo folle piano. Stava per toccarne il corpo incredula che un uomo che aveva vissuto per cosi tanti secoli avesse ceduto alla morte quando qualcosa attirò il suo sguardo. 
Qualcuno o meglio qualcosa, una figura macilenta si stava avvicinando verso lei e gli altri lentamente, poi improvvisamente scattò e rapidamente attaccò Stray, che era la più vicina del gruppo. La  ragazza cercò di difendersi respingendo la creatura con un colpo telecinetico ma quest’ultima, dopo essere stata scaraventata a terra, si rialzò come se nulla fossa e attacco di nuovo. Stray cercò di colpirla nuovamente ma si rese conto che qualcosa non andava. Si sentiva più debole come se il mostro assorbisse i suoi colpi. Isabelle sorrise mostrando le fauci insanguinate alla ragazza, che lentamente iniziò a cedere e in un attimo si trovo l’aggressore addosso. Prima che Boner e gli altri potessero fare qualcosa, Isabelle le affondò i denti nella gola iniziando a succhiarne il sangue caldo per poi mangiarla strappando bocconi di carne dalla spalla.
Disgustata da quello spettacolo, Boner iniziò a reagire formando attorno al suo corpo una corazza leggera d’osso e caricando Isabelle, che crollò insieme a lei a terra, dove senza darle il tempo di reagire  iniziò a tempestarla con i pugni dopo essersi fatta crescere l’ossatura delle nocche, fino a formare degli spuntoni.
Anche Dehydra partì all’attacco iniziando a prosciugare Isabelle dei liquidi per renderla più vulnerabile ai pugni dell’amica, mentre Uranium cercò di concentrarsi per spazzare via quell’abominio con un unico raggio di energia, dopo che le ragazze avessero terminato. Improvvisamente la situazione si ribaltò e con la rapidità di una lucertola Isabelle assestò un calcio a Boner, scrollandosela di dosso e  sventrò Dehydra con una zampata,  usandone il corpo per pararsi dai colpi di Uranium,  lanciandoglielo infine addosso e tramortendolo. Stava per avventarsi sull’eroe quando qualcuno le piombò addosso in modo simile ad American Dream, schiacciandola al suolo.
Prima che potesse rialzarsi il misterioso assalitore la costrinse a terra, rivelandosi come Eddie. Iniziò a rivoltarla come un guanto: la sua pelle si gonfiava lacerandosi mentre muschi e funghi crescevano sui muscoli e la carne, divorandola. Per un istante il ragazzo sembrò essere il vincitore, ma i tessuti di Isabelle iniziarono a ricrescere e guarire mentre Eddie cominciò a sentirsi più debole. La bestia si rialzò in piedi tenendo il ragazzo per il collo come una bambola, assorbendo sempre più energia da lui e cominciando a crescere, adattandosi così al nuovo carico di Teleforce che il suo organismo succhiava. Afferrò le braccia del ragazzo e le tirò a sé, aprendo in due Eddie come un pacchetto di patatine, lasciandone scivolare le interiora a terra. Avidamente si gettò su di esse, ingoiandole e lappando persino le chiazze di sangue sull’asfalto senza smettere di crescere di dimensioni.

Admiral City
Periferia
23 Aprile 2013
Ore 00.03

«Anche battendoci non otterreste nulla, il dado ormai è tratto e non è più possibile tornare indietro».
«Chi ti ha aiutato a montare questo teatrino, Ghaly?», ringhio Yell.
Con un sorriso di soddisfazione il canopo rispose: «Posso anche dirtelo ormai ha già fatto la sua parte e non mi è più di nessuna utilità. Quello sciocco di Romney si è impegnato ad assistermi tutto preso dalla sua fobia per quelli come noi.»
«E tu? Cosa ci guadagni tu da tutto questo?».
«Io? Io aspirò semplicemente alla grandezza. Ma ora basta parlare preparatevi a morire!»
Il Canopo si lanciò contro Yell cercando di colpirlo con un pugno mentre gli altri canopi si gettavano sugli Old Timers.
Mentre evitava i pugni del costrutto Yell urlò: «Eyes cerca di recidere il controllo di Toth dai suoi doppi, senza la sua volontà questi buffoni dovrebbero cadere come marionette senza fili».
«Ci sto provando Yell, ma non è facile. Il controllo di Ghaly sui suoi costrutti è molto forte», gli replicò Eyes Without a Face mentre i suoi compagni tenevano a bada gli altri canopi.
Yell evitò un altro pugno e colpì il canopo con un calcio allo stomaco, poi mirò alle ginocchia e fece fuoco. Il costrutto cade a terra con le ginocchia spappolate e stava per rialzarsi quando improvvisamente ogni forza lo abbandonò e cadde seguito a ruota dagli altri.
«Alla fine c’è l’ho fatta, Yell, ma è stata dura, senza la sua volontà sono solo dei cadaveri caldi», disse Eyes mentre, Shock e Sweet Sixteen lo sorreggevano.
«Peccato non poter risolvere così facilmente quello che ha combinato», disse amaramente Yell. «Ma se non possiamo salvare vite innocenti state sicuri che le vendicheremo».

Admiral City
Nel cielo sopra la Salazar Tower
23 Aprile 2013
Ore 00.14

Forse Stakanov avrebbe perdonato il suo compagno di ventura per averlo fatto arrivare in ritardo alla battaglia, perché da quel che vedeva il divertimento era tutt’altro che finito.
Si stavano avvicinando in volo alla Salazar Tower, trasportati dai Golem, e ai suoi occhi si presentava il seguente spettacolo: un albero gigantesco si ergeva al posto della Torre mentre una cosa enorme e orribile seminava il panico nelle strade. Qualcuno le volava attorno cercando di colpirla con fasci di energia. Musashi riconobbe Uranium.
«Dobbiamo cercare di aiutarlo», disse il samurai.
«Non devi ripetermelo due volte, Stakanov è sempre pronto!», disse il russo e sganciatosi dal Golem si preparò ad atterrare sul campo di battaglia.
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Scarica Due minuti a Mezzanotte in formato ePub o in formato Mobi aggiornato di settimana in settimana! (Impaginato da Matteo Poropat)

martedì 27 novembre 2012

Capitolo 32 (di Smiley)



Admiral City
Nei pressi della sede dello START.
22 Aprile 2013
Ore 07.45 A.M.

La mano di Magmarus fu l’ultima parte del corpo maciullato dai proiettili di Heavy a tramutarsi in cenere.
Alexej la pestò con un piede, sgretolandola sull’asfalto.
Musashi sospirò, mentre polvere nera si disperdeva nell’aria..
Alexej sorrise. «Simpatico, il tipaccio…»
«Stiamo perdendo troppo tempo, dobbiamo raggiungere la sede dello START», puntualizzò Musashi.
«Mister Samurai, se non te ne sei accorto, siamo in mezzo ad una guerra…»
Kensei scosse la testa. «Una guerra che non possiamo vincere.» Magmarus era stato sconfitto, ma i Triari che erano battuti in ritirata erano ricomparsi e li avevano subito circondati.
Erano dodici in tutto.
«Munizioni al 2%», gracchiò la voce robotica di Sniper.
«Munizioni allo 0%», gli fece eco quella di Heavy.
«Munizioni al 100%!», esclamò Alexej, scrocchiandosi le dita.
Musashi sorrise.
Arretrò di un passò, si trovò schiena a schiena con Alexej e con Sniper.
Sfoderò la katana.
Chiuse un istante le palpebre.
Inspirò.
Riaprì gli occhi.
I triari gli furono addosso.

******

Admiral City
Periferia
23 Aprile 2013
Ore 00.01 A.M.

«Maledizione!»
Yell era adirato.
Avrebbe dovuto aspettarsi una cosa del genere. Avrebbe dovuto prevenirla.
Non c’era riuscito.
Isabelle era fuggita via. Probabilmente in cerca di cibo. Sicuramente in cerca di Teleforce.
Affondò la mano nella tasca destra del cappotto grigio. Prese di nuovo il cellulare. Non finì di digitare il numero.
La figura emersa dall’oscurità lo paralizzò.  Yell avrebbe dovuto aspettarsi e prevenire anche quello.
Non l’aveva fatto. Non era da lui.
Sono diventato vecchio…
Increspò le labbra in un sorriso sardonico. «Quanto tempo è che non ci vediamo?»

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Nei pressi della sede START.
22 Aprile 2013
Ore 08.15 A.M.

Il combattimento era estenuante.
Stakanov accusava la fatica, benché la danza lo inebriasse e lo facesse sentire vivo.
Heavy, privato delle sue munizioni e della sua capacità di movimento era stato fatto subito a pezzi dai Triari, che l’avevano massacrato di pugni, e ridotto in un ammasso di ingranaggi calcificati.
Sniper resisteva agli esoscheletri di Mezzanotte opponendo la sua forza e la sua prestanza robotica contro il loro slancio. Ribatteva colpo su colpo, e nonostante fosse rimasto a secco di proiettili, piazzava pugni e calci precisissimi, colpendo i Triarii al petto, allo stomaco, alla testa.
Musashi si era come trasfigurato. Con la coda dell’occhio, nel tumulto della battaglia, Alexej notava solo la scia violacea del suo acciaio vorticare di qua e di là, eseguire fendenti, diritti, rovesci e affondi in una sorta di danza orientale che solo il samurai pareva conoscere. In tutto quel tempo però era riuscito ad abbattere solamente un nemico.
Stakanov non poteva essere da meno. Il Triario che gli piombò addosso ruotò l’anca e sferrò un gancio col destro. Lui fu lesto a rannicchiarsi su sé stesso e contrattaccare a sua volta. Strinse il pugno, fece partire un montante e colpì alla mascella l’avversario.
Il Triario sembrò accusare il colpo, arretrò di un passo. Stakanov però non ebbe il tempo di rifiatare: altri due Triarii lo attaccarono ai fianchi.
Il Red Skeleton non si perse d’animo. Esultò. «Danziamo fino alla morte!»

*****

Periferia
23 Aprile 2013
Ore 00.02 A.M.

Wael Ghaly, il Grande Toth, sorrise a sua volta. «Un anno e mezzo. Dagli scontri in piazza, al Cairo.»
Yell sollevò la tesa floscia del cappello. Gli puntò addosso uno sguardo carico di rabbia. «Come mi hai trovato?»
«Yell il Ribelle che rimane allo scoperto per tutto questo tempo…Non è invisibile ai nostri satelliti. Soprattutto se i loro occhi sono puntati tutti qui.»
«Tutto questo è colpa tua. Quello che è accaduto a Isabelle è colpa tua. Potevamo gestire la situazione…Se non ti fossi immischiato, non sarebbe accaduto nulla. Non le sarebbe accaduto nulla.»
Il Grande Toth si concesse una sonora risata. «Non siete mai riusciti a gestire nulla.»
Yell impugnò la colt, stese il braccio, mirò alla fronte di Ghaly. «Questa faccenda invece la gestirò a modo mio…» Premette il grilletto.

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Nei pressi della sede START.
22 Aprile 2013
Ore 08.30 A.M.

Il sole compì il suo arco in un secondo, la notte prese il sopravvento.
Alexej era a terra, il piede di un Triario sul suo sterno. Lo stava schiacciando.
La musica della battaglia era finita, la danza era conclusa. Che peccato…Proprio adesso che è diventato…Notte?
Anche Musashi e Sniper erano al tappeto, alla mercè dei Triari. Se combattere in quattro era un’impresa disperata, in tre si era trasformato in un lento suicidio.
«È stato un onore essere al tuo fianco oggi», disse Musashi.
«Il piacere è stato mio», replicò Alexej.
Il rombo di un motore squassò la notte, una scia di fuoco la illuminò, una sagoma volò sopra di loro e qualcosa piovve giù dal cielo. Le teste dei triari esplosero tutte nello stesso momento, i loro esoscheletri crollarono sull’asfalto.
Sniper sembrò esultare. «Micromissili di precisione…Brawler!»
Alexej si rialzò, malconcio e un po’ stordito. Anche Musashi sembrava scosso.
Il golem che li aveva salvati atterrò in mezzo a loro. Assomigliava a Sniper e agli altri che avevano incontrato, con l’unica differenza che era grande il triplo. «Lieto di vedere che non siete ancora da rottamare», disse. Posò l’occhio sui rottami di Heavy. «Quasi…»
«Non dovevi essere alla sede dello START?», domandò Sniper.
Brawler annuì. «L’ho fatto. Ma quando sono arrivato, a parte alcuni soldati addetti alla guardia, era deserta. Ho decriptato tutti i canali di comunicazione presenti in un raggio di 20 km e l’informazione più interessante che ho trovato è stata questa telefonata.» Lasciò la bocca aperta. Fuoriuscì un’altra voce. «Rushmore,mi senti? Sono Ross. La situazione è critica. Siamo al collasso. La cassa di Whely era vuota, lui si è dato alla fuga e la Salazar Tower ormai è un campo di battaglia. Ci stiamo dirigendo tutti là, c’è qualcosa che non quadra. Ci spostiamo in elicottero, partiamo tra cinque minuti!» 
«Quindi adesso che facciamo?», chiese Alexej.
«Dobbiamo andare anche noi alla Salazar Tower. Se lo stato maggiore dello START si trova là, dobbiamo raggiungerlo. Yell sospettava che ci fosse un traditore, se è vero dobbiamo assolutamente smascherarlo. Solo qualcuno dello START poteva avere il potere o le autorizzazioni necessarie per richiamare tutti i mezzi corazzati che abbiamo incontrato…O sabotare tutto, facendo partire le varie operazioni con molto ritardo.»
«E come ci arriviamo senza perdere altri 50 anni a fare su e giù per le strade di Admiral City?», domandò Alexej.
«Lasciate fare a noi», disse Sniper. «Brawler, protocollo Bravo-Upsilon-Tau-Alfa!»
Brawler annuì. «Roger!» Dalle sue spalle, e da quelle di Sniper, spuntarono due ali metalliche, simili a quelle di un aeroplano.
Stakanov diede un pugno sulla spalla di Sniper. «E solo adesso ci fai vedere…» Indicò le ali. «…quelle? Siamo andati in giro con quel dannato catorcio, e tu avevi quelle!»
«La prego, non mi tocchi!», disse Sniper. «Il protocollo è solo per i casi di emergenza. Brawler riuscirà a trasportarvi entrambi. Arriveremo alla Salazar Tower in pochi minuti.»
Alexej e Musashi si scambiarono uno sguardo d’intesa.
Brawler cinse il braccio destro attorno al busto di Musashi, e quello sinistro attorno a quello di Alexej. «Pronti!»
«Roger!», rispose Sniper.
Volarono via in un istante, in direzione della Salazar Tower.

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Periferia
23 Aprile 2013
Ore 00.02 A.M.

Il proiettile si era portato via una porzione intera della testa del Grande Toth. Sangue, materia grigia e pezzi di scatola cranica erano sparsi attorno al suo corpo immobile.
«Questo è per ciò che hai fatto ad Isabelle…», mormorò Yell. Inserì la colt nella fondina,  si voltò.
«Dove credi di andare?»
Yell si girò e spalancò gli occhi. Non è possibile!
Ghaly era in piedi. Il buco che la pallottola gli aveva aperto in testa si stava richiudendo. Cervella, cranio e pelle si riformavano ad una velocità stratosferica.
Dev’essere merito del Flare, pensò Yell. Sfoderò entrambe le Colt, puntò al petto, al cuore, ai polmoni del Grande Toth.
Lui piombò a terra, si rialzò di nuovo, rimarginò le ferite in un batter d’occhio.
Yell ridacchiò tra sé e sé. Sembra proprio che oggi nessuno voglia morire. Poi li vide. Le ossa del cranio, il sangue e la materia grigia saltate in aria sfrigolavano sull’asfalto. Ammassi grumosi e sanguinolenti si ingrandivano, si autoplasmavano. Ossa, nervi, tendini, e organi presero forma, mutarono in quattro copie esatte del Grande Toth.
Yell osservò attentamente Ghaly. «Chi sei tu?»
«Mi conosci», rispose Ghaly.
Yell socchiuse gli occhi, mise bene a fuoco la figura che aveva davanti, ignorando le quattro identiche che adesso lo scortavano ai lati, due a destra, due a sinistra. «No, non ti conosco. Chi sei?»
Il Grande Toth rise. «Ora sono lui, ho i suoi ricordi, provo le sue stesse sensazioni. E lui lo sa. Siamo la stessa persona. È in contatto con me, e io lo sono con lui. Qui dentro.» Si picchiettò la fronte con le dita. «Fino a prima che tornasse la notte, ero uno dei suoi canopi. Uno dei suoi surrogati. Gli serviva per far credere a tutti che fosse qui per tener fede alla trattativa che lui, attraverso di me, ha condotto con quelli dello START.»
«E lui dov’è? Il vostro aereo è stato abbattuto!»
«Era il mio aereo, quello che trasportava Ammit. Quello con l’altro me stesso è partito un paio d’ore dopo l’inizio della crisi, molto prima della trattativa, e ormai sarà già sulla via del ritorno. Wael mi ha detto che l’operazione che ha condotto a Savannah è andata a buon termine. Adesso abbiamo tutti i dati e tutte le ricerche che ci servono…»
Yell sgranò gli occhi. «Savannah? Il laboratorio di Angela Solheim? A cosa puntavate?»
Il Grande Toth sorrise ancora. «Non ti riguarda. Pensa piuttosto a te stesso. Sei da solo…In balia di noi cinque.»
Yell increspò le labbra in un ghigno. «Io non sono mai da solo…»
Un elicottero Cobra si materializzò dal nulla sopra le loro teste.
«Tecnologia stealth. Affascinante…», disse Ghaly.
Sui pattini del Cobra erano aggrappate tre figure. Si calarono a terra con una corda, si piazzarono di fianco a Yell.
Il Grande Toth annuì. «Shock, Sweet Sixteen, Eyes whitout a face. Ho letto i dossier su voi leggende, su voi Old Timers. Che onore…»
Yell scambiò un’occhiata con i suoi tre compagni. «Facciamo in fretta. Non abbiamo molto tempo…»
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martedì 20 novembre 2012

Capitolo 31 (di Giordano Efrodini)



Admiral City,
Periferia
Mezzanotte

Ovunque guardasse era un Natale di Cenere, ogni cosa era coperta di polvere bianca, lei inclusa. Gli abiti a brandelli, la pelle e i capelli, si posava ovunque impastandosi come pittura sul suo corpo, mescolandosi al sangue, al sudore e alla saliva.
Leccò e divorò e leccò ancora, mai sazia di quella manna dopo il lungo digiuno. Poi la polvere iniziò a parlare. Isabelle. Il retrogusto della Teleforce le sfiorò la mente. Isabelle. Ammit scosse il capo allontanando l’eco fastidiosa. Isabelle, ripeteva quel ronzio, e ogni boccone aveva il sapore insistente di una debole lucidità.

A distanza di sicurezza, Reb teneva sotto tiro la first lady impegnata a consumare il suo pasto a quattro zampe, lappando il terreno come una cagna affamata. Tutti i suoi colpi erano andati a segno ma le pallottole erano state espulse dal corpo, e quando uscirono Isabelle leccò pure quelle per non sprecare nulla. Stava riacquistando le forze a vista d’occhio. I segni delle costole svanivano, le membra di rafforzavano.
«Ragazza mia, sembri uscita da un’edizione da incubo del National Geographic», mormorò fra sé.
L’aspetto di Isabelle Ghaly era selvaggio e ben lungi dall’essere di qualche attrattiva per chiunque non bazzicasse le soglie della depravazione, ma il veterano non ne stava valutando l’avvenenza. Massa corporea, tono muscolare, tensione nervosa e movimenti sempre più sicuri. Questo lo preoccupava, specie dopo averla vista sopravvivere a tutti quei proiettili. Prese il cellulare, serviva aiuto.

In fine riconobbe i suoi nomi, li ricordò entrambi. Isabelle, Ammit. Prima quello che le sussurrava la memoria, il nome della donna, poi quello della bestia. Il nome che li faceva puzzare di paura tutti quanti, rendendo acre il loro sudore, alimentando la sua fame. Qualcosa in quell’ancora torbida lucidità gliene portò un terzo, uno che non usava da molto, molto tempo. Belle. Lui la chiamava Belle nei momenti di tenerezza, prima di farne la sua schiava. Wael. Suo marito doveva morire. Lo giurò a se stessa, alzandosi tra la polvere. Prima però doveva nutrirsi, così Ammit espanse i suoi sensi da predatrice, cercò la Teleforce nell’aria chiamandola a sé, sentì l’energia accarezzarle la pelle e venirne assorbita come non era mai successo prima, riuscì a evocarla persino dal terreno diventando più forte a ogni passo. Ne avvertì il flusso come se fosse immersa in una corrente, vedendola come una mappa, percependo punti di potere che erano altri simili a lei, e agitandola scoprì di poterla manipolare fino a individuarne la fonte. Sorrise.

Reb finì di dettare istruzioni al telefono, poi sudò freddo. L’aria intorno a Isabelle si comportava in modo strano, come un miraggio su strade troppo assolate. Una corrente statica gli sollevò i peli sulle braccia e sentì pizzicare i capelli sulla nuca. La comunicazione si interruppe, poi la vide. L’aria che ribolliva intorno al corpo di Ammit formò una sagoma enorme e accucciata, pronta al balzo. L’ombra della sua omonima dietro la bilancia di Anubis non poteva essere meno spaventosa quando scattò.

Tetti di Admiral City,
23 aprile 2013
Ore 00.05 A.M.

La Teleforce si disperdeva nell’aria da una fonte sempre più vicina, ormai era ovunque, persino nell’aria che stava cavalcando, balzando da un tetto all’altro come il nucleo di una cellula mostruosa. Seguì l’usta della preda che porta con sé il sapore della carne e del sangue. Ammit procedeva nutrendosene nella sua avanzata, come una balena che attraversa il plancton.
Qualcosa aveva sconvolto i cieli di quel luogo permettendole di percepire tutti i Super, consentendo al suo potere di crescere e chiamandola a sé come un faro. Era l’energia stessa a venirle incontro promanando dall’occhio del ciclone. Prima debole, poi sempre più forte, la chiamava a sé come le acque che insegnano ai salmoni il ritorno a casa. Ammit la percepiva e desiderava. La fame stessa aveva permesso quel balzo, acquistando una forma e ghermendo il centro di quel potere per scagliarla verso la meta con un effetto fionda. Il suo corpo era dentro e fuori di lei, controllava quell’energia come un’aura, un arto fantasma, il corpo fantasma della Divoratrice.

Admiral City
Attico del Crowne Plaza
23 aprile 2013
Ore 00.07 A.M.

Finalmente Tito Salazar era un Dio.
Suo padre, quel bastardo arrogante, un insetto.
Tutti erano insetti.
In sé aveva tanta Teleforce da fare di tutti loro quel che avrebbe voluto, e pigramente si domandò la portata di quei poteri che si sarebbe divertito a scoprire uno a uno. Cullando quel pensiero si concesse una gran risata malevola pur riconoscendone il cliché, ma dopotutto non c’era nessuno a guardarlo e fare la spia. Tuttavia l’istante in cui lo formulò, quello stesso pensiero gli diede torto.
La parete a vetri dell’attico esplose e una donna dall’aspetto selvaggio si posò davanti a lui con la grazia di un uccello. I capelli ondeggiarono come se galleggiasse all’interno di un acquario. No, e la forma di una creatura mostruosa e gigantesca, dalla pelle cangiante. La luce del Flare si rifletteva sulla superficie di quel… – Cosa? Un campo di forza, probabilmente – rivelando l’aspetto composito della bestia dalla quale Isabelle Ghaly, irriconoscibile, aveva preso
il suo nome di battaglia.

Isabelle sgranò gli occhi e sorrise fino al deformarsi dei lineamenti.
Se fosse stata una bambina in pasticceria avrebbe battuto le mani saltellato in preda all’eccitazione, ma era una forza della natura affamata, e così non fece complimenti. Spalancò le braccia attirando a sé l’energia, ma Tito la teneva ben salda sebbene gli sembrasse di lottare contro un Buco Nero. Ecco, questo – intuì Tito – era il vero potere di Ammit, era una sorta di Buco Nero affamato di Teleforce, lo era sempre stata.
Frustrata dalla resistenza dell’avversario, Isabelle lanciò un grido, quindi alzò una mano con grazia per poi calarla con forza. In risposta al suo gesto l’aura di Ammit inchiodò Tito Salazar al suolo con una zampata, ma il potere accumulato dall’uomo gli permise di respingerla, o per lo meno di resistere.
In quelle condizioni Salazar aveva tutta l’aria di uno scarafaggio molto cocciuto sotto uno stivale determinato a schiacciarlo, così rimasero intrappolati nel frustrante braccio di ferro opponendo potere a potere, la pressione esercitata da Ammit da una parte e l’energia del Flare dall’altra. Fu solo nel momento in cui vide Isabelle avanzare attraverso l’aura di Ammit, come un pesce intento a raggiunge l’orlo dello stagno, che capì. Non c’era nessuno stallo. I suoi movimenti erano fluidi, morbidi. Tenerlo inchiodato non le costava nessuno sforzo. Il suo potere stava già passando in lei attraverso la pelle del mostro, e il mostro aveva giocato al gatto col topo fin dal
principio.
Quando Isabelle gli fu sopra a cavalcioni, scrutandolo a un palmo dal viso, anche il muso della bestia lo fissò. Allora Tito chiuse gli occhi stretti stretti, come non faceva più da molto tempo, quando era un bambino e temeva i mostri nel buio.
L’istante in cui iniziò a divorarlo le grida presero il posto di singhiozzi infantili, poi si fece via via silenzio e il Flare passò nel suo corpo, dolce come manna nel deserto.
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sabato 17 novembre 2012

And the winner is...



Ottimi riscontri, soprattutto in termini di lettori e di visite, per il mini-contest lanciato questa settimana qui, sul sito ufficiale di Due Minuti a Mezzanotte.
Letti tutti i contributi pubblicati, come da regolarmento, nel bando proposto martedì, il Gran Consiglio dei Dieci Assenti ha decretato il vincitore: Massimo Bencivenga, autore della scena tagliata del capitolo 24.
A lui va il buono Amazon da 5 euro e il plauso convinto della giuria.
Riportiamo qui sotto il contributo che ha trionfato nel contest, promettendovi che, visto il successo di questo primo piccolo concorso, torneremo presto a proporvene altri.

SCENA TAGLIATA DEL CAPITOLO 24
di Massimo Bencivenga

22 Aprile 2013
Periferia di Il Cairo, 13.10 ora locale

Il vento caldo che le alitava in faccia non rendeva meno scomposto l’incedere eretto, sicuro e calmo del Lieutenant commander dell’USN Melissa J. Laveau. Fendeva lo spazio tra sé e il magazzino scelto per il rendez-vous con la postura che le avevano inculcato in Marina e con il sangue freddo di chi ha portato a termine troppo operazioni bagnate. Era seguita da quattro Seal e da un telepate, gli occhi guizzavano alla ricerca di qualche elemento fuori posto, ma vedeva solo quattro uomini e un sarcofago. In attesa.
«E’ lì?» disse Laveau in un russo quasi perfetto.
«Sì», rispose sorpreso l’uomo che il rapporto fornito a Melissa identificava come Ivan Arkadyevich Suvorov, uomo del SVR (Služba Vnešnej Razvedki) russo.
«Possiamo andare? Non è salutare restare a lungo qui» disse in inglese Ayman Soliman, padrone di casa e agente Cia in Egitto.
Laveau fece un cenno ai Seal. I militari, aiutati nell’operazione dagli uomini di Soliman, sollevarono il sarcofago in titanio, impreziosito da scritte in arabo e dalla raffigurazione stilizzata di un rapace, e fecero dietrofront verso la sagoma controluce del velocissimo bombardiere stealth di ultima generazione. Melissa, Ivan e Ayman li seguirono.
«Ma lo sa che somiglia a quell’attrice…» disse Ivan
«Se si riferisce a Catherine Zeta-Jones si metta in fila, me lo dicono tutti. Anche Anja è molto bella.» Il riferimento alla sua amante abituale fece aggrottare le ciglia a Ivan. La Cia è sempre brava con i segreti si disse.
«Non è curiosa di sapere come ho fatto a operare lo scambio sotto il naso dei Canopi di Ghaly?»
Silenzio.
«Mi sa che Ghaly non potrà godersi appieno la sorpresa.»
Le ultime parole incuriosirono Laveau.
«Cosa intende dire?»
«Che non gli ho sottratto solo l’arma non convenzionale; gli ho lasciato anche un ricordino.» Ivan tirò dalla tasca un panetto. Plastico.
«Sono un uomo dai molti talenti.»
Il sarcofago fu inghiottito dal bombardiere, il penultimo a entrare fu Soliman, che si girò un’ultima volta a guardare il suo Egitto.

Mezz’ora dopo, Laveau si avvicinò al sarcofago. Il telepate era lì, con la fronte imperlata dal sudore.
«Vuole vederla?»
«Sì.»
L’uomo compose un numero sul tastierino, la parte superiore del sarcofago divenne trasparente e Melissa si trovò di fronte a un odio ancestrale.
«Chiuda.»
«Faccio fatica a controllarla.»
«E’ ora di far rapporto. » Non chiamò un superiore, ma un Super.
«Yell, tutto ok. La scarico dove convenuto.»
«Non avrai rogne?»
«Mi hanno detto la periferia di Admiral City, senza specificare dove. Isabelle è un po’ cambiata. Yell, fammi un favore: ammazza anche Romney.»
«Contaci.»
Se Rebel Yell sapesse il ruolo che ho svolto all’interno dell’imbroglio ordito per scalzare Obama…

martedì 13 novembre 2012

La Scena Cancellata



Prima le brutte notizie: il capitolo di Due Minuti a Mezzanotte previsto per oggi verrà posticipato di sette giorni (ossia a martedì prossimo), per causa di forza maggiore. In pratica il computer del partecipante chiamato in causa ha avuto un... brutto incidente al computer, e solo da oggi potrà dedicarsi alla stesura del capitolo numero 31.
Pare però brutto lasciare totalmente scoperta questa settimana, dico bene? Abbassare la tensione è deleterio, perciò vediamo di mettere comunque un po' di pepe e di stimolare la vostra fantasia.
Si è già accennato ad alcuni "contenuti speciali" da proporre alla fine della Round Robin, nell'intervallo tra la Stagione Uno e la Stagione Due. Intervallo che corrisponderà più o meno alle vacanze natalizie.
Ecco, oggi vi do un assaggio di come potrebbero essere questi contenuti speciali.
Cominciamo, per esempio, con un microconcorso intitolato...

martedì 6 novembre 2012

Capitolo 30 (di Miss Marvel)



Admiral City
Cielo sopra la Salazar Tower
22 aprile 2013
11.59 PM
Cielo sopra la Salazar Tower

Hal Salazar strinse i denti, cercando di vincere il senso di vertigine. Il campo magnetico in cui era chiuso insieme a Maxwell – Mezzanotte – era invisibile. Sotto di esso osservava il grattacielo che si era spezzato a metà, lasciando cadere tonnellate di detriti sulla città. Era uno spettacolo al contempo affascinante e orribile. Un enorme, innaturale albero era la causa del crollo. Il tronco abnorme aveva sventrato la Salazar Tower, spaccando cemento, acciaio, vetro, titanio.
Una serie di anelli concentrici di energia bluastra avvolgevano la colossale pianta. L'antenna funziona ugualmente, fu il primo pensiero di Hal. Poi provò un dolore profondo, lacerante, per ciò che era successo al suo grattacielo. Alla mia città.
«Manca un minuto», sentenziò Mezzanotte, serafico. «Il ricevitore reggerà?»
Salazar guardò il compare, cercando di scuotersi. «Reggerà. Ma tutto questo...»
«Soltanto un piccolo sacrificio in più, per cambiare il mondo. Devi essere forte.»
Un ragazzo dai vestiti lacerati levitava verso la sommità dell'albero, in una posa che ricordava in un qualche modo il defunto American Dream.
Eddie.

* * *

Admiral City
Poco sopra le macerie della Salazar Tower
22 aprile 2013
11.59 PM

Libby era incredula. Il grattacielo si era spezzato sopra le loro teste, mentre salivano lungo le scale. L'edificio aveva tremato, scaraventando le tre donne a terra. Stray, la telecineta di Fortress Europe, era stata rapida e istintiva. Utilizzando il suo potere aveva sollevato in volo se stessa e le compagne. Insieme erano uscite dalla finestra più vicina. Non contenta era riuscita a schermarle dalla pioggia di detriti e calcinacci, portandole più su, fin dove si vedeva la linea di frattura della Salazar Tower, spezzata in due da un albero di dimensioni titaniche che cresceva dentro la torre.
Libby notò quattro figure sospese in volo, un centinaio di metri sopra le loro teste. Con mano tremante accese la modalità zoom dei suoi occhialini da runner. Il vecchio Hal Salazar e un uomo sconosciuto, l'aspetto vagamente da santone, levitavano uno accanto all'altro. Un terzo Super, molto più giovane, stava raggiungendo la sommità dell'albero. A centoventi metri in linea d'aria dai tre c'era infine Uranium, sospeso in volo nella sua tuta ipertecnologica.
«Che cosa cazzo...»
Dehydra non riuscì a concludere la domanda. Una voce riecheggiò nella testa delle tre Super.
«Ascoltatemi! Sono Scanner.»
«Si è ripreso, professore?», replicò Libby, pur rendendosi conto dell'inutilità di farlo ad alta voce. Gli psionici la irritavano da sempre.
«Non c'è tempo per questo. Dovete fermare Salazar e Mezzanotte. Avete tredici minuti per farlo.»
Stray e Dehydra scambiarono sguardi preoccupati con la Super dello START, che fece loro cenno di attendere. «Professore, si spieghi meglio.»
«Nessuna spiegazione, vi invio tutto ciò che ho scoperto in forma di input mnemonico.» Non fece in tempo a concludere la frase-pensiero che la testa di Libby si riempì di una ridda di immagini, parole e dati.

E Libby vide tutto.
Il governo lo chiamava Evento Mezzanotte, gli scienziati Tempesta Elettromagnetica Anomala. Hal Salazar, che la ragazza scoprì essere a sua volta un Super, lo aveva battezzato Flare di Teleforce. Fonte e origine ignota, generato nello spazio, il Flare avrebbe investito la Terra alla mezzanotte del 22 aprile 2013, attraversandola, invisibile, in dodici minuti esatti. Per quel poco tempo tutti i Super del pianeta avrebbero goduto di un ampliamento dei loro poteri. Molti non se ne sarebbero nemmeno accorti.
Salazar aveva interpretato quell'evento come un segno del destino. L'umanità doveva mutare, evolversi. Con un mondo di Super, nessuno avrebbe patito più miseria e dolore. Imbrigliare il Flare di Teleforce e usarlo per distribuire la sua potenza su tutto il pianeta: solo lui, tramite il suo sapere e le sue industrie, poteva farlo. Aveva costruito un'antenna ricevente all'interno della Salazar Tower: dai piani segreti del grattacielo fin su, alla sommità.
Una volta raccolta l'energia proveniente dallo spazio aveva però bisogno di qualcuno in grado di diffonderla ovunque. L'unico a poterlo fare era un suo vecchio amico Super, di nome Maxwell, ora noto come Mezzanotte. Ignoto ai più, ma dotato di poteri eccezionali. Ucciso nel 2002 da un virus genetico programmato da un gruppo di potere occulto, interno all'ONU. Resuscitato in quelle ultime ore grazie a uno Super sconosciuto, Eddie, dotato di incredibili talenti latenti. Che era poi il ragazzo in cima all'albero gigante.
I principali governi mondiali sapevano del Flare ma non avevano la tecnologia e le capacità per sfruttarlo. Molti, tra cui il presidente Romney, temevano che Hal Salazar, il miliardario visionario, avrebbe tentato di sfruttarlo per creare una nuova generazione di sovrumani. Pur non conoscendo la reale portata dei progetti del vecchio, non potevano lasciargli via libera. Hanno elaborato piani di contenimento, piani di sterminio dei Super. Qualcuno considerava l'Evento Mezzanotte come un'occasione per porre fine a quelle anomalie che camminavano tra i normali esseri umani.
Salazar sapeva che avrebbero cercato di fermarlo. Studiò contromosse. I Triari, il finto attacco ad Admiral City, e infine il balzo temporale in avanti, che era costato metà del potere del resuscitato Maxwell, nonché parte dell'energia rubata a Uranium, l'uomo atomico, attirato sul grattacielo. Era il trucco che lo avrebbe portato alla vittoria, spiazzando gli avversari che non si aspettavano nulla del genere.

Libby scosse la testa, frastornata. Stray le appoggiò una mano sulla spalla. Si guardarono negli occhi. Quelli della velocista erano colmi di lacrime. Avevano visto anche altro. Matt, American Dream, era morto. Ucciso dopo essere stato utilizzato da Salazar e Mezzanotte come ulteriore pedina, come fumo negli occhi dei potenti mondiali.
Tutti erano colpevoli. Tutti.
«Mi spiace moltissimo», mormorò la telecineta tedesca.
Poi gli strati di energia bluastra che avvolgevano i resti della torre e l'albero che l'aveva distrutta si gonfiarono a dismisura, pulsando e salendo verso il cielo. Verso Salazar e Maxwell.
Era scoccata la mezzanotte.

* * *

Admiral City
22 aprile 2013
Mezzanotte

«Uranium, Lady Liberty, Stray, Dehydra, ascoltate.» La voce psichica di Scanner era ancora più intensa. «Vi porto gli ordini del tenente colonnello Ross: dovete fermare quei due. I conti con gli altri colpevoli di tutto ciò li faremo più tardi. Ora dobbiamo impedire che Mezzanotte compia qualcosa che potrebbe avere esiti catastrofici. Nessuno conosce le possibili conseguenze
Libby ascoltava e osservava. Maxwell assorbiva l'energia blu, le braccia aperte come un Cristo redentore. Anche la ragazza sentiva gli effetti del Flare, di cui in precedenza aveva percepito solo le avvisaglie. Il corpo le pulsava di potere, di vitalità. Anche le sue compagne parevano godere dello stesso miracolo.
«Uranium, tu pensa a Mezzanotte», proseguì Scanner. «Distruggilo, non c'è altro modo. Voi, ragazze, bloccate Salazar. Fatelo prig...»
«No», urlò Libby. «Mezzanotte è mio.»
«Non hai le capacità per...»
«Stai zitto.» Ignorando le proteste del telepate si rivolse a Stray. «Così potenziata puoi farmi volare fino a quel bastardo?»
La tedesca ci pensò un attimo, poi annuì. Senza attendere altro tese le mani psichiche e agganciò Libby, scagliandola come un proiettile verso il cielo buio. Lady Liberty assunse la posizione di volo tipica di Matt. Si accorse di poter accelerare i suoi movimenti col solo pensiero, anche senza una base d'appoggio su cui darsi la spinta. Piombò addosso a Mezzanotte a Mach 2.5, disperdendo il campo di forza invisibile che teneva in salvo Hal Salazar. Non badò al vecchio che precipitava. Colpì Maxwell a pugni uniti, spingendolo via dalla colonna di energia blu, che però lo seguì, unito come un cordone ombelicale.
Il Super accusò il colpo. Sputò sangue, ma poi sorrise. «Non dovresti combattermi, bensì unirti a me», affermò, mentre frenando incendiava l'aria attorno a sé.
«Maledetto!» Come una furia, Libby gli sferrò un pugno a velocità supersonica. Mezzanotte schivò, veloce quasi quanto lei. Quasi: il colpo gli tranciò di netto l'orecchio destro.
Maxwell socchiuse gli occhi, da cui scaturirono due fulmini che investirono la ragazza. Le strapparono i vestiti, causandole ustioni diffuse. In circostanze normali Lady Liberty sarebbe morta. Si limitò invece a stringere i denti, potenziata dal Flare a cui era esposta. Tempestò l'avversario di colpi di Krav Maga sferrati in ipervelocità. Riuscì a piazzargli una ginocchiata al fianco destro, sbriciolandogli un paio di costole. Per tutta risposta Mezzanotte amplificò il suo campo energetico, torcendo i muscoli della ragazza con un elettroshock intensissimo. Se in quel momento lei era forte quanto il povero Matt, Maxwell era paragonabile a Dio.
«I prescelti di Salazar, Eddie e Bonnie, saranno araldi migliori di voi», affermò, tendendo la mano destra per bruciarla come un fiammifero.
All'improvviso il Flare lo abbandonò, deviando verso un punto a nord-ovest, giù in città, attirato da chissà cosa.
Mezzanotte spalancò gli occhi, incredulo. Libby non gli lasciò il tempo per riprendersi dallo stupore. Lo afferrò per le spalle e schizzò orizzontalmente verso sud-est. Si accorse che oramai volava autonomamente. Aumentò la velocità fino a raggiunge Mach 7. Accelerò ancora, passando oltre lo skyline di Admiral City. Tra le sue mani il corpo di Maxwell si contorceva, sottoposto a pressioni che la ragazza poteva reggere, ma lui no. Fu a Mach 10, in volo sopra la Martinica, che l'uomo si disarticolò, le ossa frantumate, gli organi interni collassati, gli occhi esplosi. Libby decelerò fino a rimanere sospesa sopra le acque buie del Mar dei Caraibi.
Lasciò cadere il cadavere di Mezzanotte, quindi planò, semicosciente, verso l'ignoto.

* * *

Admiral City
Attico del Crowne Plaza
23 aprile 2013
Ore 00.05 AM

Il Flare di Teleforce investì Tito Salazar, inginocchiato al centro della sala, gli occhi chiusi, i muscoli tesi. Era vestito con la speciale tuta color antracite, in nano-network, che lo aiutava a distribuire l'energia assorbita al suo organismo. Nella mano destra stringeva i due telecomandi, il suo e quello del defunto fratello Theodor. Non li aveva più lasciati, per scaramanzia, anche dopo aver attivato il deviatore innestato in tempi non sospetti su quello che fino a poche ore prima era lo scheletro inanimato del vecchio Maxwell.
Oh sì, pensò Tito, sarebbe stato uno spreco dividere tutto questo potere con gli insetti là fuori, caro vecchio e stronzo padre mio.
- - -
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martedì 30 ottobre 2012

Capitolo 29 (di Fräulein R.)



Admiral City.
Salazar Tower.
Ore 11.48 P.M.

La vera umiliazione, per Stray, non era che senza Dehydra sarebbe stata ancora raggomitolata a lottare per non annegare nel liquido che le stava riempiendo i polmoni. La vera umiliazione era essersi fatta fregare dal texano e aver pure pensato che, non uccidendola, lui la stesse risparmiando. Cazzate.
Lei, Libby e Dehydra erano risalite dal livello S-13 fino al quinto piano, lentamente, accompagnate dai rumori provocati da chissà cosa ai piani superiori. La torre aveva pure vibrato come un fottuto diapason. Per fortuna era durato pochi istanti, altrimenti Stray avrebbe perso la presa e sarebbe caduta a terra.
Libby, in testa al gruppetto, stava mettendo piede sul pianerottolo del quinto piano quando il brusio di voci le fece fermare. Qualcuno parlottava, da qualche parte oltre la porta antincendio deformata.
Libby e Dehydra la guardarono, le fecero spazio.
Stray afferrò la porta con le mani, trovò un punto d’ancoraggio per sé e tirò. I cardini si sbriciolarono come fossero wafer. Mai fatto così poca fatica. Posò il battente contro il muro e levitò dietro a Dehydra e Libby. Avanzarono caute lungo il corridoio cosparso di detriti, scavalcarono un pezzo di controsoffitto e raggiunsero un’intersezione a T. Le voci venivano da sinistra, più chiare: una donna e un uomo che rideva spesso, dandole i brividi.
Stray sfiorò i muri del corridoio con la telecinesi, scelse un punto stabile, vi si ancorò e si spinse avanti. Respirare era un’agonia, ma usare la telecinesi… Cazzo, mai stato così facile! In un giorno normale lo sforzo avrebbe cominciato a farsi sentire con quel fastidioso formicolio alla nuca. Sembrava evidente che questo giorno non avesse nulla di normale.
Il corridoio terminava sulla porta spalancata di un open space in ristrutturazione. C’erano teli protettivi, calcinacci e una cosa informe coperta di fiori viola stesa sul pavimento. E il tronco di un albero. La chioma sconfinava al piano superiore. Qualche metro più in là un groviglio di radici spesse come rottweiler scendeva dal soffitto.
«Cosa ci fa un albero qui?» sibilò Libby.
«A Prezzemolino devono essere girate le palle di brutto, se quella è una pianta di basilico!»
«Dehydra?» chiamò la voce femminile, dalla stanza.
«Bonnie?»
Raggiunsero l’albero. Questa “Bonnie” era seduta tra le radici, insanguinata.
«Ehi, che è successo?» domandò Dehydra.
«Sono impazziti tutti! Salazar, Eddie, American Dream…» singhiozzò.
Stray tastò attorno, cercò dove si fosse nascosto il tizio con la ridarola.
Rabbrividì.
Niente tizio con la ridarola. In compenso, American Dream, impettito, stava scendendo lungo il buco creato nel soffitto dall’albero.
Sì, vieni qui!
Stray concentrò il proprio potere in alto. Afferrò American Dream per le caviglie e tirò. Lo sentì scivolare giù di un paio di metri, poi scalciare per liberarsi.
Oh, no, figlio d'un cane, questa volta non mi scappi, fosse l'ultima cosa che faccio!
Le parve di sentire le mani di qualcuno che la sorreggevano quando smise di levitare, ma non le importava. L’unica cosa importante era convogliare tutto il potere sull’afferrare e tenere fermo quel grandissimo stronzo.
Mani lo spinsero in giù a partire dalle spalle, altre gli strinsero braccia e gambe in una morsa. Quando lo sentì cercare di girare il capo, gli bloccò la testa e compresse il torace.
Dove pensi di andare? Vuoi sgusciare via? Scordatelo!
«Non fartelo scappare, Stray!»
«No, ferma! Dehydra! no!»
«Non è American Dream! Non è lui!»
Iniziò a premere sulla gola dell’uomo.
«Matt! No, ferme!»
Uno schiaffo le bruciò la guancia, un secondo.
Non si fermò. Ora la sentiva: la torre stava ancora vibrando come un fottuto diapason, solo in modo diverso. Vibrava a tempo con lei, la rafforzava, le dava più mani con cui imprigionare il texano, più forza in ciascuna mano per non farselo scappare, per fargli male come lui ne aveva fatto a lei.
AD si contorse, sembrò allungarsi, sfaldarsi, dimenarsi in preda a spasmi. Le ossa si protesero per fuoriuscire dalla carne, e la carne sembrava indecisa tra squarciarsi e ribollire via.
Stray si sentì ridere, qualcuno urlò.
Un nuovo trucco, eh? Non importa, ti terrò qui, fosse l’ultima cosa che faccio in vita mia.
Gli zigomi esplosero fuori dalle guance di American Dream, spuntoni perforarono il torso, si ripiegarono all’indietro, li sentì esplodere dalla schiena. Sempre più inumano e contorto, sempre più debole nel tentare di resisterle.
Gli strinse il collo con decisione. Qualcosa si ruppe, la massa che tratteneva con la telecinesi all’improvviso evaporò, lasciandola a mani vuote.
Stray era scossa dai conati di vomito e piangeva, accasciata a terra.
«Mi è scappato.» riuscì a gorgogliare.
La torre vibrò piano, come in risposta alle sue parole.
«Ehi, tranquilla, tesoro! Il tizio è morto», la rassicurò Dehydra. Le diede pure una pacca sulle spalle.
«Cosa avete fatto a Matt?»
Stray guardò Libby. La velocista era imbambolata, sconvolta. Sembrava che l’accaduto le avesse tolto tutto l’argento vivo di dosso.
«Non era il tuo Matt. Era Nightshifter.» sputò Bonnie, col naso arricciato.
«Qualunque cosa fosse, ora è a secco come uva sultanina nel Sahara. Cazzo, facciamo una bella squadra!»

* * *

Admiral City.
Attico del Crowne Plaza.
Ore 11.57 P.M.

Tito afferrò il fratello prima che cadesse, lo scosse. Gli occhi di Theo erano fissi sul soffitto, sgranati e acquosi. Annaspava per respirare.
Tito gli slacciò la cravatta e la camicia, lo chiamò per nome.
Gli tastò la gola: battito frenetico, pelle secca. Fumo nero sgusciò dalle labbra screpolate, aleggilò per un istante, venne risucchiato quando Theo inspirò con un singulto.
Tito arretrò di un passo, capì di non poter far nulla quando iniziarono le convulsioni.
Guardò le ossa di Theodor allungarsi, squarciare carne e abiti e trasformarlo in una caricatura umana irta di spuntoni. Il volto era irriconoscibile. Non una sola goccia di sangue era uscita dalle ferite, la carne era secca come cuoio.
Tito sorrise mentre iniziava a svuotargli le tasche.
«Mi spiace, hermano, ma consolati: farò buon uso del tuo cadavere.»

* * *

Admiral City.
Salazar Tower.
Ore 11.58 P.M.
La torre vibrava di nuovo. Polvere e calcinacci scendevano dal soffitto.
Stray guardò in alto. Scricchiolii continui, le crepe attorno alle radici si allargavano a vista d’occhio, serpeggiavano fino ai muri.
«Oddio, quanto è grande quell’albero?» sussurrò con un brivido.

* * *

Admiral City.
Periferia.
Ore 11.56 P.M.
Ammit ha fame. La gente che si è riversata per le strade fugge quando la vede, ma non è cibo, non vale la pena inseguirli.
Annusa l’aria. Vento umido che odora di mare e di cibo, dalla sua destra. Un bambino malaticcio dagli occhi scuri la guarda da sotto il porticato di una villetta, immobile. Lui la sfamerà, almeno un pochetto. Carne giovane. Carne tenera. Saliva le cola dall’angolo della bocca.
A quattro zampe, corre verso il bambino. Non riesce a pensare ad altro che a quelle gambette magre, a quanto cibo devono contenere. Poco, ma tutto per lei, da strappare, gustare, leccare via, rosicchiare. Un frammento alla volta. E lei ha così tanta fame!
Un colpo, come un pugno, nell’incavo del ginocchio. Un secondo sulla spalla, un terzo sulle reni.
Ammit scarta verso un’auto parcheggiata, ci si lancia contro e la usa per rimbalzare indietro e fronteggiare chi l’ha attaccata.
Uomo con cappello e impermeabile. È sicura che le stia mostrando i denti.
Gli ringhia contro e l’uomo spara, immobile in mezzo alla strada, ma lei scarta di lato e viene solo sfiorata dai frammenti di vetro dell’auto.
È indecisa. Cibo o pericolo? Si piega su ginocchia e gomiti. Un altro pugno caldo, al braccio sinistro.
Prima il pericolo, poi il cibo.
Il vento gira. Ammit sorride. Pericolo e cibo assieme. Perfetto.
Scatta di nuovo. L’asfalto sotto la pelle è caldo, si scuote, la fa inciampare. Il rombo arriva un istante dopo, insieme all’urlo assordante dell’uomo. Si ferma, stordita e con la bocca secca. Ha paura, paura folle di qualcosa che non sa definire. E l’uomo… l’uomo ha qualcosa di sbagliato, anche se Ammit non ricorda cosa.
L’uomo guarda lontano. Ne segue lo sguardo, senza sapere perché.
Un frammento del suo cervello ricorda il profilo, il nome della cosa visibile in lontananza: Salazar Tower.
Tutte le finestre illuminate, la torre barcolla come ubriaca, si spezza in due in verticale. Emette un lampo, come una serie di anelli concentrici, poi tutte le luci si spengono mentre una metà si accascia di lato.
La fame chiama.
Ammit corre verso l’uomo, che sta ancora guardando affascinato il crollo. È a due balzi di distanza quando il cibo solleva il braccio e le spara al polso, senza nemmeno girarsi.
Ammit sgambetta via, ringhiante. Si porta la mano alla bocca. Il sangue sa di buono, ma non come quello del cibo.
Si getta di nuovo all’attacco.
È il vento a fermarla. È secco, lo cavalca il boato del crollo e una nube di polvere finissima che le si deposita addosso e le imbianca la pelle.
Ammit respira a pieni polmoni, si lecca le labbra.
Cibo. Cibo in polvere.
Si lecca le mani e le braccia. Si getta a terra e inizia a lappare la polvere dall’asfalto.
Cibo, ed è tutto suo.
- - -
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martedì 23 ottobre 2012

Capitolo 28 (di Nicola Parisi)

Admiral City.
Salazar Tower.
Ore 08. 30 A.M.

A Eddie pareva che il tempo impiegato per scendere dalla sequoia fosse stato eterno, adesso che finalmente avevano raggiunto il pavimento Bonnie si era appoggiata a lui.
Nonostante avesse smesso di sanguinare la ragazza le sembrava fin troppo pallida.
«Sei sicura di stare bene?»
«Sì certo, non preoccuparti. Dobbiamo raggiungere mio padre.»
Fugacemente Eddie scrutò la Super, le vesti lacerate dallo scontro con American Dream gli dimostrarono che Bonnie stesse mentendo, il volto, specialmente vicino all'orecchio strappato era una unica, intera, maschera di sangue.
Nonostante tutto lei gli sembrava ancora bellissima.
«Non puoi muoverti in queste condizioni. Il colpo che American Dream ti ha dato è stato troppo forte perfino per te, dobbiamo trovare il modo di medicarti.»
«Lo hai visto anche tu quello non era American Dream. Non più perlomeno».
«Non m'interessa, poteva essere perfino lo spirito dei natali passati strafatto di acidi, ma tu non vai da nessuna parte se prima non ti medichiamo. Adesso prendiamo il primo ascensore che troviamo e ce la svignamo da qui.»
Incurante delle proteste di lei, Eddie la trascinò lungo i corridoi. Solo dopo notò il particolare che non stesse compiendo sforzi nel portare una Super infinitamente più forte di lui.
Era il fatto che stesse calpestando in continuazione i frammenti di vetro delle finestre distrutte praticamente a piedi nudi senza tagliarsi minimamente che lo preoccupò. E molto anche.
«Bonnie, forse non è ancora finita, forse il mio potere sta ancora cambiando».
La ragazza gli sembrava se possibile ancora più pallida ed emaciata di prima, anche solo aprire la bocca pareva gli procurasse sforzi indicibili.
Solo che se anche Bonnie rispose qualcosa il ragazzo non fece in tempo a sentire.
Perché quello fu il momento in cui giunse il lampo.
Istintivamente il giovane Super chiuse gli occhi, ancora più istintivamente strinse a sé la ragazza come per proteggerla dalla luce improvvisa.
Quando i due Super si decisero a riaprire gli occhi trovarono il buio della notte ad attenderli.
«Guarda guarda chi abbiamo qui».
Starcrusher fece un passo in avanti.
Lanciando la prima scarica.

* * *

Tetto della Salazar Tower.
Ore 11.45 P.M

Nightshifter osservava estasiato il panorama davanti a lui, totalmente dimentico della presenza di Salazar. Da Admiral City giungevano in continuazione voci, urla di spavento, rumori causati da incidenti di macchina, sirene di allarmi improvvisi. La maggior parte della città era ancora al buio, i suoi abitanti sorpresi dal cambio temporale si riversavano per le strade come formiche a cui qualcuno avesse appena distrutto il formicaio.
E quelle formiche non avevano ancora capito che quello era solo l'inizio, pensava divertito.
«Non siamo ancora al completo, manca mia figlia. Portami Bonnie».
«Certo che te la porterò», rise Nightshifter giocando ancora con la voce e col corpo di Scarlett Johansson. «Abbiamo una questione in sospeso con la ragazzina.»
C'era però un altra questione da chiudere. E anche in fretta.
L'uomo Atomico si stava avvicinando.
«Noi due dobbiamo parlare.»
No, decisamente quelle formiche laggiù non sapevano ancora quello che li aspettava.
La creatura dai molti corpi assaporò il momento. Presto, molto presto la caccia si sarebbe conclusa.
Un urlo bestiale partì dal profondo del suo essere.
Ogni singolo frammento di sé stesso gli rispose.

* * *

Periferia di Admiral City.
Ore 11.46 P.M

Ammit urlò in preda al dolore. Il cambio temporale aveva finito di sconvolgere il suo già precario equilibrio. Alle orecchie dell'essere risuonavano ovunque urla angosciate di gente spaventata.
Non che questo importasse. Ad Ammit non interessava nulla del cielo, nulla nemmeno della terra che calpestava.
Che fosse libera o prigioniera gli occhi di Ammit vedevano sempre solo in due sfumature: il rosso della rabbia e il buio della sua fame.
Arrivavano odori da lontano, odori di vite rinchiuse in quella torre di debole cemento si staglia sullo sfondo , vite che Ammit era disposta a prendere tutte pur di saziare la sua brama.
Mentre la osservava Rebel Yell non poteva fare a meno di sorprendersi. La cosa dalle forme cangianti sotto di lui non ha più niente dell'essere umano.
«Una volta eri così bella Isabelle, la donna più bella che avessi mai visto.»
Cancellando i ricordi e anche il dolore Rebel estrasse entrambe le pistole e si preparò per andare incontro alla creatura.

* * *

Il mondo attorno a Eddie sembrò esplodere, il colpo aveva scaraventato Bonnie lontano da lui; la ragazza boccheggiava, pareva perfino che avesse perso completamente i suoi poteri. Starcrusher non pago di averla colpita con la scarica uno dopo l'altro le assestava calci sullo stomaco sempre più forti.
«Mi ricordo di te! Tu eri una di quelle puttanelle che stava sempre al seguito di American Dream. Bene, che che effetto fa essere adesso dalla parte dei perdenti?»
Ignorando le fitte di dolore che gli esplodevano da ogni parte del corpo, Eddie trovò la forza di rialzarsi.
«Lasciala stare verme!»
«Ma guarda lo schiavetto si è risvegliato, cosa pensi di farmi? Insegnarmi a far crescere le petunie? C'è qualcosa di più grande che è dalla mia parte.»
Bagliori violacei fuoriuscirono minacciosi dal corpo del criminale.
La prima scarica sfiorò appena la tempia sinistra di Eddie, mentre la seconda parve conficcare Eddie nel muro.
Puntellandosi sulle gambe, il ragazzo riuscì appena a mantenersi in piedi, il dolore della spalla gli risultava insopportabile, le tempie gli martellavano cantiche di derisione.
Costretto ad appoggiarsi al muro per sorreggersi, un detrito appuntito stretto nella mano, Eddie subì un ulteriore colpo dal gigantesco evaso.
«Cosa conti di fare adesso? Prova a venirmi a prendere, sfigato. Siamo solo tu ed io.»
Starcrusher rise ancora una volta, un globo di luce violaceo gli si stava formando rapidamente nella mano, mentre si avvicinava verso il Super.
«Vedi sfigato, ci sono cose che non concepiresti nemmeno che stanno giocando a fare gli dei in giro là fuori, cose che mi hanno lasciato ammazzare American Dream. Cose che vi schiacceranno tutti quanti sempre e comunque. Adesso te lo richiedo, come pensi di fermarmi?»
Eddie spalle al muro si stava preparando a lanciare il detrito, silenziosamente salutò Bonnie che cercava ancora di rialzarsi; rimpianse anche di non averla potuta salutare per bene.
Rimpianse anche di non averla mai nemmeno baciata.
E poi inspiegabilmente rise in faccia al suo avversario
«Ma certo che ti fermerò io», facendo una linguaccia.
E spaccò il detrito sulla fronte di Starcrusher.
«Ma che cazzo credi di fare? Credi che basti questo per farmi male?»
«Credo di averti appena ammazzato. Non con la pietra,no. Quella è stata solo una divertente aggiunta, vedi ho appena scoperto che mi basta toccare le cose per trasformarle, e si dà il caso che ti abbia appena toccato.»
Eddie alzò la mano mimando un saluto ironico, Starcrusher vacillò, per un attimo sembrò gonfiarsi, gli occhi esplosero mentre radici di quercia fuoriuscivano dalle orbite vuote, le dita si deformarono tramutandosi in fiori violacei, dalla gigantesca bocca i denti vennero sfrattati da talee grigiastre.
Con un ultimo gorgoglio l'informe ammasso che una volta era Starcrusher si accasciò definitivamente a terra. Eddie rimase in piedi, in silenzio, tutto l'accaduto gli sembrava un unico immenso incubo nemmeno sognato da lui ma da un estraneo.
Fu Bonnie ad infrangere la pesante cappa di silenzio.
«Eddie, ma come hai fatto?»
La figlia di Salazar lentamente era riuscita a rialzarsi e cercò di stringere a sé il giovane Super dai cui occhi riteneva di aver carpito una profonda tristezza, ma l'altro l'allontanò da lui.
«No Bonnie non mi toccare. Stammi lontana!»
«Ma, Eddie, perché?»
«Ho capito cosa mi sta succedendo, ho capito anche perché non riuscivi a riprendere le forze dopo lo scontro con American Dream e perché le ossa non ti si calcificavano più: sono io! E' colpa mia! Sto cambiando e anche il mio potere lo sta facendo. Non so se è una cosa che ho sempre avuto latente o se è stato causato da tuo padre quando ha pasticciato col mio cervello. Ma adesso ho capito che riesco a trasformare gli oggetti e le persone in altri organismi solo perché prosciugo la forza vitale di chi mi sta vicino. Non ti avvicinare Bonnie perché ero io che ti stavo ammazzando!»

* * *

Salazar Tower.
Ore. 11.55 P.M

Teddy Mercury era convinto ormai di averle ormai viste tutte nel corso della folle giornata trascorsa ad Admiral City. Quando si materializzò nell'ultimo corridoio scoprì di essersi sbagliato: tra le macerie e le scene di distruzione, il Super chiamato Jolly quasi inciampò in una Bonnie rannicchiata in posizione fetale. Nel momento in cui le poggiò una mano sulla spalla si rese conto che la ragazza stava piangendo
«E' opera tua ?» le chiese mentre indicava il maleodorante ammasso di rami, ossa e da cui facevano capolino frammenti insanguinati della tuta di Starcrusher.
«No. E' stato Eddie.»
«E lui dov'è adesso?»
«E' andato a cercare Salazar e Mezzanotte, ha detto che vuole ammazzare mio padre. Si è convinto che per colpa loro lui sta diventando un mostro come Mezzanotte».
«Perfetto,» mormorò tra sé e sé il Jolly «Proprio quello di cui avevamo bisogno in questo momento: un altro Super impazzito e incontrollabile a spasso dentro questa maledetta Torre».
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lunedì 22 ottobre 2012

Promemoria



Un promemoria velocissimo prima di lasciarvi all'attesa per il capitolo 28, di Nicola Parisi, che andrà in onda domani a mezzogiorno, come sempre.
In realtà ho già detto tutto sul mio blog, Plutonia Experiment, quindi vi lascio semplicemente il link a cui far riferimento, ossia questo: Verso il gran finale.
Come vedrete, si fanno alcune riflessioni sull'imminente finale di 2MM e si parla della probabilissima season two della Round Robin, che dovrebbe vedere la luce a inizio 2013. E' presto per rivelare altro, ma confermo che varerò un format leggermente diverso, più selettivo, in favore di un ulteriore aumento di qualità.
Di tutto il resto riparleremo quando la season one si sarà conclusa. Da lì in poi conto di regalarvi qualche post di hype (diciamo in periodo natalizio), portandovi per mano fino alla riapertura dei giochi.
Per il momento è tutto. Chiudo ricordandovi che - al momento - questo è l'unico progetto collettivo ufficiale riguardante 2MM.
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(A.G. – Follow me on Twitter)

martedì 16 ottobre 2012

Capitolo 27 (di Gianluca Santini)



Admiral City
Nei pressi della Salazar Tower
07:25 A.M.

Il suo avversario attaccò nuovamente. Il primo pugno venne schivato, mentre il secondo lo colpì in pieno, sbalzandolo all’indietro. American Way impattò contro il muro di un edificio e affondò dentro la struttura. Rockster, fermo in mezzo alla strada, era ormai enorme, i suoi pugni travolgenti. Lo scontro andava avanti da più di un’ora, il supereroe più amato dagli americani non si stupì nel vedere il Super di Fortress Europe con il fiatone. American Way sorrise da sotto le macerie, ignorando la sensazione che gli si era insinuata dentro.
Quando aveva abbandonato i sotterranei della torre era stato intercettato da Nightshifter. L’essere fatto d’ombra lo aveva attirato a sé e aveva sentito il freddo avvolgerglisi attorno. Una sensazione di violazione che ancora non lo aveva abbandonato del tutto. L’abbraccio di Nightshifter lo aveva portato in un mondo d’oscurità, dal quale era riemerso solo in cima alla torre, ritrovandosi di fronte al suo amico, Dave, Mezzanotte. Appena lasciata la torre era stato bloccato da Rockster. Aveva pensato di risolvere la questione in poco tempo, invece Rockster era ancora lì, a menare pugni e a ruggire infuriato.
American Way si alzò in volo, scartò un attacco dell’europeo e si librò verso l’alto. Dopo qualche istante sentì l’urlo di Rockster e il rumore dell’asfalto che si spaccava. Guardò dietro di sé, Rockster aveva spiccato un salto nel tentativo di intercettarlo. Si arrestò all’improvviso, si volse verso l’avversario e caricò la sua potenza. Tutta, senza più freni. Sorrise di nuovo, poi scattò in avanti, annullando la distanza che lo separava dall’avversario. Lo colpì in mezzo al volto. L’impatto fu devastante, il rumore come quello di un terremoto, le finestre di alcuni edifici vicini esplosero in mille pezzi, gli antifurti delle automobili iniziarono a lamentarsi.
Osservò il corpo di Rockster precipitare verso il basso, atterrare aprendo una spaccatura sull’asfalto. Il Super americano sfrecciò verso di lui, caricando un secondo pugno. Rallentò poco prima di arrivare a livello del terreno, rimase sospeso in aria, a pochi centimetri dal muso dell’europeo. Infine lasciò andare il braccio e il pugno si riversò con tutta la sua forza sul petto di Rockster. Sentì qualcosa rompersi. La spaccatura nel terreno si allargò.
American Way appoggiò i piedi sulla strada e osservò il corpo del suo avversario. Il suo sorriso si aprì, constatando la morte di Rockster.


***

Admiral City
Salazar Tower
08:25 A.M.

Quando si trovò all’altezza del quindicesimo piano, decise di entrare nella torre. Sfondò una finestra e si ritrovò in un grande salone. Uranium si guardò intorno, notando il tronco di una quercia che dal piano inferiore arrivava fino a quello superiore. L’Uomo Atomico corrugò la fronte, poi il pavimento vicino all’albero si frantumò e apparve American Dream.
«Matt!» urlò.
Ma quello davanti a lui non era American Dream. Sbuffi di fumo nero gli uscivano dalla bocca a ogni respiro e il volto era distorto in una smorfia crudele.
«No, non sei lui…»
Le fattezze di American Dream iniziarono a dissolversi, rivelando un essere sfuggente, un’ombra oscura che non sembrava possedere una fisionomia propria. Uranium avvertì la sua risata rimbombare nell’ambiente.
«Non sono American Dream più di quanto non sia tante altre persone. Mi chiamano Nightshifter.»
«Sei un essere fatto d’ombra?»
«Sì, possiamo metterla così, Uomo Atomico. Io sono ombre, copie di fattezze e poteri.»
«Rubi fattezze e poteri?»
«Li copio, li rubo, usa la parola che preferisci. Come ogni ladro ho diversi metodi, ma il risultato è sempre lo stesso.»
Uranium si mosse, alzò il braccio verso Nightshifter.
«Cosa hai fatto a Matt?»
«Io? Dovresti chiedere cosa gli ha fatto il padrone di questa torre, semmai. Inoltre, davvero vorresti usare i tuoi poteri qui dentro? Ti facevo più prudente.»
Uranium dovette riconoscere che l’essere aveva ragione. Sprigionando i suoi poteri lì dentro avrebbe potuto causare danni irreparabili. Frustrato fece ricadere il braccio. Vide l’essere assumere di nuovo le sembianze del suo amico e collega. Il falso American Dream gli sfilò affianco e si fermò un attimo alla finestra da cui Uranium era entrato. L’essere indicava verso l’alto, un gesto inequivocabile. Lo vide volare via, diretto verso il tetto della torre. L’Uomo Atomico si lanciò al suo inseguimento.


***

Admiral City
Attico del Crowne Plaza
08:26 A.M.

Theodor decise di chiudere il dialogo che si stava svolgendo al quindicesimo piano della torre. Le sue labbra si mossero, ma il suono venne udito solo laggiù, da Uranium.
Tito gli si avvicinò, domandandogli se stesse andando tutto per il meglio.
Theodor tornò per un attimo in sé, controllando la sua essenza d’ombra in modo automatico, senza concentrarsi. Si rivolse al fratello e gli poggiò una mano sulla spalla.
«Sì, il rendez-vous in cima alla torre è quasi completo, ora che Uranium ci degnerà della sua presenza.»

***

Admiral City
Nei pressi della Salazar Tower
07:35 A.M.

American Way fece qualche passo, lasciandosi il cadavere di Rockster alle spalle. Subito dopo sentì che qualcosa era appena atterrato dietro di lui. Qualcosa di grosso. Si girò e vide Starcrusher, avvolto da scariche purpuree, fermo con i piedi piantati sul corpo dell’europeo, ormai tornato alle sue dimensioni normali.
«American Dream!» urlò.
«Way, mi chiamo American Way, stupido bestione.»
Starcrusher non replicò e lanciò una scarica viola verso il suo avversario. American Way la deviò con il braccio, un edificio lì affianco esplose.
Si avventò contro il nuovo avversario, accusandolo di non avergli fatto riprendere il fiato dopo aver steso Rockster. Starcrusher non rispose, attese di essere a distanza sufficiente e lanciò nuove scariche, tutte prontamente deviate dal Super americano.
«Tutto qui quello che sai fare, Starcrusher?»
«No.»
Starcrusher gli si avvicinò e iniziarono a combattere per lungo tempo corpo a corpo. American Way accusò e diede colpi, dovette riconoscere che il supercriminale era un avversario decisamente più ostico di quell’europeo che giaceva ai loro piedi. Starcrusher pareva instancabile, per quanto American Way sferrasse i suoi colpi, il criminale riusciva a schivarli, oppure ad accusarli senza mostrare troppi danni.
A un certo punto, stanco della durata della battaglia, American Way si fiondò dentro un edificio, seguito dall’avversario. Doveva trovare un modo per abbatterlo una volta per tutte, se non voleva sprecare altro tempo prezioso. Pensò di riutilizzare il trucchetto usato con Rockster, quindi caricò tutta la sua potenza e si fermò all’improvviso, girandosi verso Starcrusher. Tuttavia il criminale era troppo vicino e, anziché muoversi verso di lui per attaccarlo, American Way si ritrovò stretto tra le sue possenti braccia, immobilizzato dalla forza del criminale.
«Ora vedrai cosa so fare, American Dream.»
Il corpo di Starcrusher venne avvolto di nuovo da scariche purpuree. American Way iniziò ad avvertire un’intensa sensazione di calore provenire dal suo avversario. L’energia misteriosa che lui riusciva a governare si stava concentrando dentro il suo corpo, era avvolto da una luce viola intermittente.
Starcrusher sorrise, l’energia esplose. L’edificio venne distrutto completamente, i detriti si sparsero per decine di chilometri attorno all’esplosione. Crollarono altri palazzi, le automobili parcheggiate lì vicino volarono via a grande distanza. Il rimbombo si attenuò solo dopo qualche minuto.
Starcrusher si accorse che il corpo di American Dream era leggero come un fuscello. Lo lasciò andare e lui si accasciò al suolo. Il supercriminale lo guardò attentamente e poi esultò lanciando scariche viola verso il cielo. American Dream era morto.

***

Admiral City
Centro S.T.A.R.T.
08:30 A.M.

«Non sento più i suoi pensieri» affermò Scanner.
Rushmore lo guardò, incitandolo a esprimersi meglio.
«Il sogno americano è morto. Ed è morto proprio da American Dream. Negli ultimi istanti di vita gli inganni di Salazar sono sfumati, Matt si è reso conto delle menzogne su Dave, delle illusioni su Mezzanotte in cima alla torre, del male che ha fatto agli europei. Ha pensato a Libby.»
«Non sarà facile spiegarle tutto quello che è accaduto a Matt…» sussurrò Rushmore.
«La sento di nuovo, proprio ora. La nostra Lady Liberty finalmente si sta svegliando.»
Rushmore tirò un rumoroso sospiro di sollievo.

***

Admiral City
Tetto della Salazar Tower
08:30 A.M.

Nightshifter raggiunse il tetto della torre. Vide Salazar e Mezzanotte avvicinarglisi, gli sguardi determinati.
«Grazie per aver fatto le mie veci in mia assenza…» cominciò Mezzanotte.
Il falso American Dream fece un gesto rapido con le mani per minimizzare, e poi si rivolse verso il ciglio del tetto.
«Sta per arrivare» disse.
In quel momento Uranium apparve in volo e andò ad atterrare a qualche metro di distanza dai tre.
«Eccolo arrivato, finalmente! Il Super che fa al caso nostro, per aprire le danze» commentò Salazar.
«È ora di accelerare i tempi, di mandare avanti l’orologio del mondo» aggiunse Nightshifter.
Salazar e Mezzanotte annuirono insieme, mentre le fattezze di American Dream iniziarono a cambiare. Al posto dell’aspetto del Super più famoso d’America apparve il corpo snello e affascinante di una delle attrici più desiderate del globo, Scarlett Johansson. Un filo di fumo nero galleggiò davanti alle labbra carnose. I tre risero di fronte all’espressione incredula dell’Uomo Atomico.
«Nessuno immaginava cosa si celasse dentro di lei. Nemmeno lei lo sapeva» commentò Nightshifter.
Gli occhi della Johansson si illuminarono di una luce rossa e il sole accelerò il suo cammino lungo il cielo. Nightshifter osservò lo stupore nel volto di Uranium, mentre l’Uomo Atomico era bloccato a guardare il cambiamento temporale di fronte ai suoi occhi. Il sole tramontò, la notte prese di nuovo il sopravvento sul giorno.

***

Admiral City
Tetto della Salazar Tower
11:45 P.M.

Alla fine la luce rossa scomparve dagli occhi della donna. Uranium riuscì di nuovo a muoversi, mentre Nightshifter riassunse le sue sembianze e allargò le braccia.
«Il tempo è vicino, ora mancano solo quindici minuti a mezzanotte.»
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