martedì 31 luglio 2012

Capitolo 17 (di Ariano Geta)




ADMIRAL CITY
22 aprile 2013
Salazar Tower
Ore 6.20 a.m.

«Tu sai chi è Mezzanotte, non è vero?» domandò Bonnie. Si era appena risvegliata dallo shock della luce bianca, e la sua testa era piena di informazioni nuove, come se gliele avessero iniettate nel cervello.
Sulle labbra di Salazar si disegnò un sorriso malinconico.
«Io sono un uomo del XVI secolo, cresciuto in un’epoca in cui esisteva solo la fede in Dio. Per me era quella l’unica spiegazione possibile per la pietra lucente che rinvenni a Tenochtitlan. Ero un medico al seguito di Cortés, lo sai, uno dei conquistatori dell’impero azteco. Credevo fosse una pietra preziosa particolarmente luminosa, e cominciai a capire il suo vero valore solo molti decenni dopo, man mano che compagni e famigliari invecchiavano mentre io rimanevo sempre giovane».
Lei lo fissò incuriosita. Questa storia gliela aveva raccontata già altre volte, ma probabilmente stavolta avrebbe aggiunto particolari inediti.
«Il primo uomo al quale rivelai il mio segreto fu un sacerdote, ma ebbe una reazione inattesa. Gli avevo mostrato ciò che ai miei occhi era un miracolo divino, e lui disse di fare molta attenzione poiché spesso dietro certi apparenti prodigi si nasconde il diavolo…»
«Intendi dire che Mezzanotte in realtà è Satana?»
Salazar si concesse una risata, contenuta ma assai divertita. «No, ovviamente no. Ti ho riferito le parole del sacerdote solo perché tu capissi il mio rapporto con la pietra lucente. Da uomo di fede la percepivo come un dono di Dio, ma nel contempo cominciai a essere terrorizzato all’idea che fosse uno strumento del demonio».
L’espressione divertita del viso tornò seria.
«Io ho letto quasi in diretta i primi trattati filosofici improntati allo scetticismo e alla negazione di Dio, e li irridevo. La luce al mio fianco era una prova inconfutabile che contraddiceva le loro deduzioni logiche. Però mi chiedevo che senso avesse possedere quel miracolo senza sfruttarlo per lenire le sofferenze del mondo. Nelle mie piantagioni non esistevano schiavi, tutti erano rispettati, e inoltre usavo gran parte dei miei profitti per fare opere di bene, però restava una goccia nell’oceano. Ma ti sto annoiando, vero?»
«Capisco la necessità di fare qualche premessa, ma…»
«Beh, in effetti anche se parlassi per ore e ore non riusciresti a capire. Nella mia mente di uomo del XVI secolo Dio è imprescindibile, questo è ciò che volevo farti capire. Quando gli americani invasero Cuba per sostenere la lotta degli indipendentisti contro gli spagnoli, io ero abbastanza conosciuto, ma solo di nome visto che – per ovvi motivi – non partecipavo alla vita pubblica. Tuttavia il console americano Maxwell volle conoscermi di persona, così come aveva già fatto con altri maggiorenti cubani».
L’attenzione di lei ebbe un sussulto. Era la prima volta che lui pronunciava questo nome.
«Era un uomo di fede come me, anche se tramite canali diversi», ironizzò Salazar riferendosi al credo metodista di Maxwell. «In breve diventammo amici. Lui sosteneva fermamente la vocazione americana di costruire una società e un mondo migliore, e in effetti nei decenni appena trascorsi la sua nazione aveva affrontato una dolorosa guerra civile pur di abolire la schiavitù. Insomma, sembrava davvero che gli Stati Uniti potessero creare un luminoso futuro per l’intera umanità… e se era tanto luminoso, potevo pur aggiungervi un po’ della mia luce, no?»
«Cosa accadde?» chiese lei con impazienza.
«Gli diedi un piccolissimo frammento della pietra lucente. Con l’aiuto di alcuni studiosi iniziammo ad analizzarlo, convinti entrambi di poterne dimostrare l’origine divina. Uno degli studiosi era un giovane di nome Tesla…» Sorrise. «Dopo pochi mesi ci disse che la pietra nascondeva qualcosa di straordinario, parlando però da scienziato e non da uomo di fede. Secondo lui l’energia che emanava quel frammento – non appena fosse stata opportunamente depurata – era in grado di donare all’uomo una salute e una vita lunghissima, e dei talenti straordinari. Poteva persino rendere più rigogliosi i raccolti facendo scomparire la fame. Io e Maxwell eravamo entusiasti della cosa, ma a quel punto avvenne il primo imprevisto».
«Ovvero?»
«Durante un esperimento, un raggio di energia ottenuto della pietra essiccò tutte le piante e le forme di vita vegetali nel raggio di miglia e miglia. Cuba fu colpita da una gravissima carestia per colpa nostra. Tesla ne rimase sconvolto e decise di abbandonare tutto e ritornare negli Stati Uniti. D’altro canto Maxwell fu costretto a rivelare al consigliere militare americano il nostro segreto. Era impossibile nascondere l’origine innaturale di quel disastro. Inoltre, seguendo la nostra logica di credenti, pensavamo che fosse giusto assumersi le nostre colpe…»
Boner osservava suo padre con crescente sorpresa.
«Io ero demoralizzato: volevo fare del bene e invece avevo causato una calamità naturale. Maxwell era più tranquillo: sosteneva che qualche piccolo incidente di percorso può capitare. Comunque, gli studi su quell’energia - la teleforce ovviamente - vennero messi sotto controllo dai militari americani. Ci obbligarono a trasferirci a Portorico affinché altri eventuali effetti collaterali imprevisti fossero circoscritti a quella piccola isola, e inoltre divisero in due il frammento e ne portarono una parte a Washington per fare degli studi separati. Ignoravano che tale frammento era solo una piccolissima parte della pietra lucente ancora nelle mie mani».
«Quindi il governo americano ha avuto la teleforce nelle sue mani già dagli inizi del 1900?»
«Sì, ma come ti dicevo il frammento che hanno a disposizione è minuscolo. Inoltre hanno causato più danni che progressi. Tipo Rebel Yell…»
Respirò lentamente prima di ricominciare a parlare. «Io e Maxwell eravamo d’accordo su una cosa: l’intera umanità doveva beneficiare della teleforce. Lunga vita, salute e biblici talenti distribuiti ad ogni uomo sulla terra: questo era lo scopo che ci guidava come uomini di fede. Ma Maxwell stava invecchiando, e non avrebbe più potuto starmi accanto per l’esecuzione del progetto. Necessitavamo ancora di decenni di studio, così gli proposi di esporsi all’energia della pietra – non quella del frammento, ma l’intera pietra, capisci! – per aumentare la durata della sua vita».
Lei comprese immediatamente. «Quindi Maxwell è… Mezzanotte?»
«Sì. Siamo sempre stati in buoni rapporti, fino all’incidente del 1974. Le conseguenze sulle persone colpite ci causarono dei dubbi. Una teleforce accuratamente depurata, come diceva Tesla, avrebbe aumentato la durata della vita dell’uomo e gli avrebbe fornito dei talenti. Ma noi immaginavamo una maggiore intelligenza, o un super pollice verde come è capitato a Eddie. Non volevamo che gli uomini avessero il potere di distruggere altri uomini. È stato a quel punto che le nostre strade si sono separate per… divergenze d’opinioni sull’uso della teleforce. Ma sono certo che lui, esattamente come me, vuole solo che la teleforce rappresenti la luce di Dio, non l’ombra del demonio».
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martedì 24 luglio 2012

Capitolo 16 (di Salomon Xeno)




Admiral City 
Independence Boulevard 
22 Aprile 2013 
Ore 6.31 AM 

Alexsej iniziava a recuperare le forze. E ad annoiarsi. 
«Vecchio mio, ti va una corsetta?» 
I gommosi sembravano scomparsi. Il nuovo amico si era rivelato un pessimo interlocutore, persino peggio degli sgherri di Mezzanotte. Perlomeno, non mancavano più di venti o trenta minuti alla Salazar Tower, dove si sarebbe finalmente risolta la sciarada di quella notte. 
«Blaster è a terra!» esclamò Sniper, affrettando il passo. Stakanov gli tenne dietro. 
Quando furono vicini all'incrocio con la Lexington Avenue, si aprì uno scenario bellico: auto capovolte, vetri infranti e un modesto cratere, ancora fumante, vicino al marciapiede. In mezzo alla carreggiata giaceva una massa metallica parzialmente fusa, che poteva benissimo essere il gemello di Sniper ridotto in pessime condizioni. Vicino a lui c'era un uomo accovacciato. 
«E tu chi saresti? Che cazzo fai?» 
Lo sconosciuto si alzò. Vestiva un kimono blu scuro e una di quelle ridicole gonne da samurai, tutta bruciacchiata. Al fianco portava un fodero nero da cui spuntava l'impugnatura di una katana. Aveva occhi a mandorla e capelli corvini. Era un giappo sulla trentina, dall'aspetto insignificante. Uno di quelli che ti offrono salsa di soia. 
Alexsej avvertì su di lui un residuo di Teleforce. 
«Mi chiamo Musashi» disse. «Sono qui per controllare che non ci siano interferenze.» 
«Nome in codice: Musashi» aggiunse Sniper con solerzia. «Livello Teleforce: non pervenuto. Stato: disperso.» 
Il samurai abbozzò un sorriso. Poi, senza aggiungere altro, si avviò verso la Lexington. 
Uno strano silenzio regnava in città. Quella mattina nessuno dei mattinieri abitanti di Admiral City osava avventurarsi in strada. Molto probabilmente erano tutti incollati al televisore, salvo i militari e qualche decina di Super. 
Alexsej decise di inseguire lo sconosciuto. 
«Senti, gonnellino! Non l'avrai ucciso tu, quel golem? Io sono Stakanov, giusto perché tu sappia chi ti romperà il grugno se non mi rispondi.» 
Musashi si accovacciò nuovamente sull'asfalto. Aveva una mano sull'impugnatura della katana. 
«Sprecheresti il tuo tempo, Stakanov» disse. «Devi imparare a percepire ciò che non puoi vedere con gli occhi.» 
In quel momento la terra si frantumò sotto i piedi. 
Alexsej fece appena in tempo a rotolarsi di lato, evitando di essere investito da frammenti di asfalto. 
Si rialzò senza esitazioni e si guardò intorno. 
Il golem, rimasto indietro, pareva illeso ma perdeva del liquido nerastro da una gamba. 
Il samurai era di nuovo in piedi e impugnava la katana, il cui filo emetteva una luce violacea, che generava riflessi minacciosi sul piatto della lama. 
L'arma era puntata verso un furgoncino a bordo strada, da cui era emersa una donna minuta. Indossava pantaloncini e una camicia di jeans, annodata sopra l'ombelico. 
«Nome in codice: Psiblade» rivelò Sniper. «Livello Teleforce: 1776. Stato: detenuta in un carcere di massima sicurezza.» 
La donna rise, facendo molleggiare i riccioli castani. 
«Detenuta, davvero!» Esclamò. «Sei proprio tu, Kensei? Sono rimasta giusto il tempo di farti pentire per avermi abbandonata in prigione!» 
Vi fu un sibilo e una forza assalì il samurai, che parò con la sua strana katana. La donna attaccò di nuovo, ma i fendenti si sfaldarono sulla guardia del samurai. 
Musashi mosse alcuni passi verso la donna. 
Alexsej gli avrebbe dato man forte, ma voleva prima accertarsi dello stato del golem. Se si era rotto, poteva dimenticare l'appuntamento con Angela. Inoltre, aveva la sensazione di essersi intromesso in un incontro privato. 
«È tutto qui, Kensei? Forse dovrei prendermela con i tuoi amichetti, ridurli come quel robottino. Comincerò con il teppista...» 
Questa volta, Stakanov se ne accorse in anticipo e riuscì a schivare la sferzata d'aria, rotolando di lato. La sciabolata lacerò l'asfalto. Adesso era chiaro come attaccava: era una dannata telecineta. 
Prima che potesse colpire di nuovo, Sniper puntò il fucile a plasma e fece fuoco. 
Psiblade deviò il proiettile con un cenno del capo, facendo esplodere la portiera di un suv. L'autovettura andò in fiamme, facendola ridere nuovamente. 
Stakanov avrebbe voluto cancellare quel suon fastidiosissimo a suon di pugni. 
Musashi prese l'iniziativa. 
«Adesso basta, Psiblade!» scandì. «Arrenditi e forse riusciamo ancora a salvare te e tuo fratello...» 
«È troppo tardi, Kensei» lo interruppe la donna. «Io non ho bisogno della tua salvezza. E neanche Magmarus! Oggi è la giornata in cui noi massacreremo i cosiddetti buoni, a cominciare da quei buffoni dello START. E adesso muori!» 
Psiblade colpì con forza inaudita, incidendo l'asfalto fino alle tubature. Un fiotto d'acqua in pressione la investì, costringendola ad arretrare. 
Musashi colse l'occasione e schizzò in avanti, dritto verso l'avversaria. Tese la lama e la conficcò a forza nel petto, così rapidamente da non darle il tempo di agire. 
Il sorriso di Psiblade si trasformò in una smorfia. Del sangue gorgogliò fra le labbra tremanti. I suoi occhi si spensero. 
«Addio, Sarah» mormorò Musashi, rinfoderando la spada. Poi alzò le spalle e si rivolse ad Alexsej. «Qualcuno passerà a prenderla. Stakanov, giusto? Se vuoi, posso dare un passaggio a te e al robot.» 
«Chi ti dice che facciamo la stessa strada?» 
«Non essere stupido. Metà dei Super esistenti si sono dati appuntamento alla Salazar Tower.» 
«A me piace correre.» 
«Il tuo robot sembra ferito.» 
«È in perfetto stato!» ribattè Stakanov, dandogli una pacca sul braccio. «Vero, vecchio mio?»
«La mia mobilità è compromessa. Preferirei che non mi toccasse.» 
L'autovettura di Musashi era un van commerciale, abbastanza capiente per imbarcarli tutti. Sul retro recava la scritta "ELECTRIC SERVICE". 
Alexsej si sedette, a disagio. 
«Meno male che non c'è traffico. Ora dritti alla torre, ok?»
«Prima facciamo un salto allo START» replicò il giapponese. «Yell teme che ci sia un traditore. Devo verificare e, eventualmente, rimuoverlo.»
«Cosa? Ma così perderò altro tempo!» 
«È inammissibile! Mi faccia subito scendere!» 
«Non dimenticare, Stakanov, che esiste più di una strada per raggiungere la cima della montagna.»
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martedì 17 luglio 2012

Capitolo 15 (di Gian De Steja)



Laboratorio
Centro START
22 aprile 2013
ore 6:20

Blackjack entrò nella stanza del professore senza bussare, come sua abitudine.
«Professore, cosa diavolo sta succedendo là fuo...»
Rushmore era chinato sul corpo del francese. Gli stava iniettando il siero neuronale con la pistola a veicolazione transdermica di sua invenzione.
«Chiuda la porta Blackjack. Per favore.»
Il nuovo arrivato osservò l'inaspettata scena con malcelato stupore. Il professor Scanner riverso sul lettino in una smorfia inanimata di dolore. La macchina dell'ECG rivelava impietosa lo stato del decesso.
«Ma Scanner è... È morto? E Cheveaux d’Ange...»
«Scanner è morto, ma il francese è ancora vivo. L'ha usato come veicolo per passarci le informazioni, come avevo previsto, ma ha rischiato di fare una brutta fine.» Il professore, con occhi velati di tristezza, guardò per qualche secondo il corpo dello stimato collega e amico. Poi riprese: «Spero di aver limitato i danni, il siero è ancora in via di sperimentazione e le conseguenze di un attacco telepatico di quel genere sono imprevedibili. Senza Cheveaux d’Ange non sapremo mai se Mezzanotte è ancora sotto controllo.»
«E il progetto come prosegue? Ho percepito il contatto.» Blackjack sfilò dal pastrano un grosso sigaro e lo accese con un rapido gesto dello zippo.
«Il contatto con i super è stabilito. Il catalizzatore è stato efficace e a quanto pare, per ora, Salazar ha il controllo della situazione. Intorno alla Torre si stanno concentrando le attenzioni di tutti i super ma non sappiamo ancora se Mezzanotte ha mangiato la foglia. Stakanov è in arrivo con i golem di Angela Solheim.»
«E Rebel Yell?»
«Non pervenuto. Sono stati avvistati nei dintorni della torre alcuni dei suoi uomini più fidati. Li teniamo sott'occhio e prima o poi si farà vivo anche lui.»
«Avete più avuto notizie di Uranium?»
Il professore scostò le tende del grosso finestrone del laboratorio, indicando qualcosa in alto. «Non ancora, ma dal colore del cielo direi che sta combattendo con qualche osso duro. Non credo che uno di quei Triari possa mettere in difficoltà Uranium.»
«Cazzo, questa non ci voleva. Ora cosa facciamo?»
«Aspettiamo che si svegli il francese, senza le informazioni di Scanner siamo fottuti.»

***

Admiral City
San Antonio Canal
22 Aprile 2013
Ore 5.15 AM

«Uranium, mi senti? Sono Angela Solheim, tutto bene lì?» La trasmittente della nuova tuta progettata da Rushmore funzionava a meraviglia.
«Ciao dolcezza. Diciamo che potrebbe andare meglio, questo tizio è davvero una brutta gatta da pelare. I due bambocci li ho disintegrati in un attimo; alcuni di quegli sfigati le stanno prendendo di santa ragione da un bulletto di periferia. Ma lui è diverso: è veloce, è dannatamente veloce. Credo sia un teleporter.»
«Hai bisogno di aiuto?»
«Dolcezza, io sono Uranium, non un super qualunque. Il mio problema è di riuscire a controllarmi, se solo riuscissi a portarlo in qualche posto un po' isolato, lo faccio a pezzi in due secondi.»
L'avversario come punto sul vivo da quest'ultima affermazione sorrise malignamente e d'improvviso sparì, con la sicura intenzione di riappare alle spalle di Uranium. Un trucco utilizzato più volte durante lo scontro e spesso andato a buon fine. Il super decise di agire d'anticipo e sorprendere il teleporter girandosi di spalle, ma questo apparve sopra di lui riuscendo a colpirlo con un pesante cazzotto e facendolo rovinare a terra.
«Uranium, ho mandato Taser in supporto, arriverà al più presto. E' un drone di nuova generazione, un golem per la precisione, ti sarà d'aiuto.»
«Un Drone? Non voglio nessun cazzo di Drone, io lavoro da solo e non ho bisogno di aiut...» Un'altra sberla tremenda, seguita da una stridula risata canzonatoria lo fece interrompere. La trasmissione era persa.
«Ma tu, chi cazzo sei?» Disse Uranium, pulendosi con il dorso della mano il sangue sul labbro superiore. Il teleporter si limitò a riproporre l'odioso ghigno, tirando fuori due pugnali sottili infilati ai lati degli stivaloni neri, ed esibendoli con sprezzo, come per dire: ora facciamo sul serio.
In quel momento comparve Taser che rimase per un po' a fluttuare sopra le loro teste, come studiando il teatro dello scontro: «Nome in codice Uranium, livello Teleforce: 4256. Stato: Vivo. Ordine riassegnato: Eliminare.» Il golem puntò il dito contro di lui e da esso partirono un paio di spari. Uranium sbalordito reagì con incredibile tempestività. Con i suoi poteri riuscì a deviare i proiettili elettrici, conficcandoli nel petto dell'attonito teleporter, che si accasciò a terra in preda alle convulsioni.
«Ora basta con queste stronzate.» Uranium schizzò in volo passando vicino al drone, ma senza toccarlo. Taser prese a seguirlo senza riuscire a tenerne il passo e nel frattempo il teleporter, che si era liberato dalla trappola elettrica, cercava di recuperare terreno su di loro, non volando, bensì teletrasportandosi freneticamente verso l'alto e percorrendo diversi metri alla volta. Uranium, che viaggiava ad una velocità decisamente maggiore degli altri due, attese che il teleporter raggiungesse il drone e poi iniziò a precipitare buttandosi a capofitto verso di loro. Quando ritenne di trovarsi più o meno equidistante dai due giocò la sua mossa preferita. «Bye bye, sfigati!». Un lampo di luce gialla esplose dal corpo di Uranium, e un'onda di energia mortale si diffuse tutto intorno per un centinaio di metri. Il drone rimase incenerito quasi all'istante, mentre l'altro cercò invano di resistere teletrasportandosi di qualche metro in direzione opposta a quella di Uranium, ma il potere delle radiazioni lo avvolse in una morsa fatale, bruciando la sua pelle e penetrando nelle ossa, fino a lasciarne nient'altro che polvere.
«Beh, piacere di averti conosciuto, peccato che ci siamo neanche presentati.» Un sorriso beffardo e compiaciuto si disegnò nel volto provato del supereroe dello START.
«Pronto Angela. Pronto? Porca puttana dolcezza, ma che cosa mi combini? Quel Golem ha cercato di uccidermi!»
«Cosa? Ma che stai dicendo Eric? Smettila di scherzare...»
«Non sto scherzando, mi voleva uccidere. O ha avuto ordini da voi, o qualcosa gli ha fritto quei quattro bulloni che si trovava al posto del cervello.»
«Cazzo, ma abbiamo inviato altri quattro golem in missione alla torre. E uno è con Stakanov. Sarà meglio verificare, io da qui inizio a monitorar...»
«Dolcezza, lo sai che mi piace quando mi chiami Eric?»
«Senti, qua la situazione è seria, non c'è niente da scherzare... Eric!»
«Eh, dillo a me. Va beh, do una ripulita qua intorno e mi precipito alla torre. Baci baci.»
Uranium raccolse le mani una dentro l'altra, in un gesto teatrale e del tutto inutile, riassorbendo gli scarti di radioattività nell'aria, per poi sfrecciare in direzione della Salazar Tower.
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giovedì 12 luglio 2012

Comunicazioni di servizio - Leggere con attenzione!



Inedito post estivo d'inframezzo tra i capitoli 14 e 15.
Vogliate scusare l'intrusione ma devo farvi delle importanti comunicazioni di servizio che vi prego di leggere e, se possibile, condividere sui vostri social network, di modo che arrivino a tutti gli autori e i lettori di 2MM.
Eccole, in perfetto ordine sparso:

PAUSA ESTIVA

La Round Robin si prenderà una pausa estiva. Il capitolo 19, previsto per martedì 14 agosto, verrà sospeso e rinviato alla settimana successiva, ossia martedì 21 agosto. Quindi tutti gli autori ancora in gioco dal capitolo 19 in poi spostino di sette giorni la data del loro turno.
Il capitolo 18, previsto per martedì 7 agosto dovrà essere eccezionalmente consegnato al massimo entro domenica 5 agosto, di modo che possa impaginarlo senza problemi (il 6 sarò impegnato con la valigia e i deliri pre-partenza).

Da martedì 21 agosto le pubblicazioni settimanali riprenderanno con la consueta regolarità, e la scadenza di consegna dei capitoli tornerà a essere quella di sempre (ossia il lunedì precedente la pubblicazione del capitolo, nel pomeriggio).

martedì 10 luglio 2012

Capitolo 14 (di Cervello Bacato)


 

Admiral City
Nelle vicinanze della Salazar Tower
22 aprile 2013
ore 06.17 AM

Vomitò copiosamente sui tre cadaveri che gli giacevano innanzi. Tre sagome nere e senza vita, di cui una del tutto simile ad un sacco nero della spazzatura: accennata forma umanoide, lingua fine e tortuosa che fuoriusciva da una smorfia contratta di dolore.
Ho rischiato grosso col Triario... rimuginò tra sè il superumano, sputando i residui di saliva densa che gli infestavano la bocca di un sapore orrendo. Sapere che di mezzo c'è quello squilibrato di Nightshifter mi inquieta. Chissà che dirà il cervellone...
Un boato improvviso gli fece alzare la testa al cielo.
«E quelli cosa...!?» .

***

Salazar Tower
Quinto piano
22 aprile 2013
ore 06.15

«Rock!... Bzzz... senti?...bzz.. Rockster, mi senti!? ..bz.. Archer. Riesci a sentirmi!?» .
«Ti sento, ora ti sento. Ma che cazzo sta succedendo qui? Sento delle...».
«Ascoltami bene! E' successa un..bzz.. assurd...bzz.»
Sentiva male ma ne era certo: la voce del suo compagno tremava, era sconvolto.
«Ho ricevuto immagini da uno dei droni di Rushmore, in perlustrazione..bzz.. torre. American Dream è bzz traditore! Bzb....bz.ha ucciso Sun e forse anche Stray è... bzz...»
Il pilota s'interruppe e senza alcun contegno lasciò spazio solo ai singhiozzi.
«Ma che cazzo stai dicendo?! Il lurido bastardo cosa?!», urlò quel ''Big Show'' alla sua tuta aderente in cui era incorporata la ricetrasmittente.
«Devi riportarli fuori e bzb... Solo Waver e Versor... aiuto... Non... bzz...cazzate! Hai capito..bzz? La mia Stray... bzbz...»
Rockster troncò la conversazione e sbriciolò senza il minimo sforzo la parete su cui si reggeva. Rabbia. La sua stazza cresceva a vista d'occhio. Guardò il pavimento, i piani inferiori. Da pochi minuti a quella parte riusciva a percepire quelle presenze. Una in particolare lo attraeva. Alzò un piede, pronto a sbatterlo per sfondare i metri che lo separavano da Lui.
American Dream, chi altri se non quel figlio di troia!
Lo stivale in pelle si fermò a pochi centimetri dall'impatto.
Dove te ne voli Riccioli d'oro?... Stavolta ti faccio il culo!
La Rabbia aumentava. La sua massa era più che raddoppiata. Il bestione corse demolendo ogni cosa gli si parasse davanti, fuoriuscendo dalla torre e piombando cinque piani più giù, davanti all'entrata dell'edificio. Lì, decine e decine di membri delle forze dell'ordine. In disparte, un rottame col fucile e un teppista dall'aria sfigata. Non si curò di loro, si piegò su se stesso flettendo le ginocchia nude, ora larghe quanto un'intera persona. La Rabbia esplose. Il rinculo gli formò tutt'attorno una voragine profonda qualche metro e in un area di cento, tutti caddero a terra, incapaci di mantenere l'equilibrio per l'inatteso movimento sussultorio del terreno. Rockster vide la città sotto di lui farsi piccola, l'onda d'urto dissolversi, le luci allontanarsi.
Ti vedo, ti prendo e ti squarto con le mie mani pezzo di merda!
Riflessi fulminei e potenza esplosiva, una manciata di secondi dopo stava stringendo a sè AD, intercettato durante il suo volo. Lo fissò con gli occhi iniettati di sangue.
«La pagherai, cane! Ti squart...»
Non finì la frase. Incredulo, fissò un secondo American Dream, che avanzava fulmineo dalla Salazar Tower.

***

Sommità della Salazar Tower
22 aprile 2013
06.14

Immobile fra le macerie, una figura incappucciata, coperta da capo a piedi da una pesante tunica ebano. Una smorfia indefinita e per un attimo, uno spiraglio di potentissima luce da quel cenno scoperto di viso. Nightshifter gli si materializzò davanti. Il suo ventre di oscurità fumosa espulse American Dream da un gomitolo di fili d'ombra.
Questo si alzò da terra lentamente, confuso. Tastò il pavimento. Impossibile!... Lo picchiettò con le nocche. Lo bucò come fosse neve. Alla personale soddisfazione poi, seguì stupore e ammiraizione. Non appena lo vide, comprese ciò che realmente era diventato Dave. Un Dio... Uno vero!
Uccidi Rockster.
Uccidi Uranium.
Come me.
Come noi.
Sei molto di più.
Gli altri Sei...
quei vecchi
si prostreranno.
Adesso sai.
Amico mio...

Ora Matt capiva ogni cosa, sul suo amico e su sè stesso. Non disse nulla. Nessun risentimento. Matt capiva... Spiccò il volo col cuore in gola, lasciandosi luce e ombra alle spalle. Non sarò un Dio gracile!
Mezzanotte in uno sbuffo d'ombra, svanì nel buio, così com'era comparso. Mezzanotte, sempre immobile, fissò il futuro divenuto presente.
Déjà-vu... Questa volta Yell, perirete!
Il suo sorriso accecante accolse le prime luci dell'alba.

***

Laboratorio
centro START
22 aprile 2013
ore 6:15

«Oh, no! No! Non è affatto come pensavamo!», disse Rushmore accarezzandosi il pizzetto sale e pepe.
«La testa, la testa argh... Mi sta esplodendo cosa cazzo mi ha fatto?!»
Rushmore fissò il biondino con un espressione apparentemente priva d'interesse. Aveva da poco cominciato a contorcersi sulla sedia in preda ai dolori, probabilmente cercando di uscire da quel rompicapo di pensieri che Scanner gli aveva trasmesso. Gli occhi impazziti, i denti digrignati che si consumavano.
Due menti in una. Non reggerà.
Uno dei sensori su uno schermo squillò forte.
La CIA è arrivata. Lui mi sarà d'aiuto.
L'uomo più intelligente del mondo si fece triste. Scrutò il francese, sentendosi ancora una volta un verme. Le sue intenzioni erano al sicuro. Nessun telepate al mondo avrebbe mai potuto scrutargli il cranio. C'era da perdersi in quel cervello fuori dal comune.
Se Scanner ha fatto quel che ha fatto, è per mancanza d'alternative adatte. Un cenno di logica in un infinità di scelte improbabili. Lo ha fatto per me, lui solo ne sapeva l'utilità e in quell'istante ha così ben deciso. Sarà comunque semplice giustificare la cosa. Il mio destino dopotutto, è una condanna nel buio, nella solitudine. Niente dolce musica, per me... E sia. Altri due Super, per il segreto di Mezzanotte. Altri due Super nella mente suprema.
«Cheveaux non temere», riprese poi, sembrando rincuorare il telepate e posandogli delicatamente le mani sul capo. «Non sentirai più dolore, lo giuro!»
Un minuto, soltanto uno.
Cheveaux D'Ange ora giaceva senza vita fra le braccia del professore.
Impulsi, pensieri veloci, ricordi, sangue informazioni dati nervi parole dolore frasi immagini numeri date foto...
Dave!... E' molto di più, da molto più tempo. Evitare la verità d'altronde, non equivale a mentire.
Un sorriso amaro gli accarezzò le labbra. In quel momento Blackjack, il Super della CIA, lo raggiunse.

***
Stanza personale di Karl Rushmore,
Centro START
20 Maggio 1981

«Allora Matt, parlami di quei sogni», disse la new entry dello Start, nonchè l'uomo più intelligente del mondo. Si aggiustò gli spessi occhiali da vista sul naso aquilino, mentre sedeva comodo di fronte al lettino cui giaceva disteso il compagno.
American Dream sembrava a disagio. Il suo viso tradiva un turbamento che Rushmore mai si sarebbe aspettato dal più potente superumano conosciuto.
«Questi incubi... Mi riportano a quel giorno in cui l'Ombra... Ero confuso capisci?! Una parte di me voleva di più, voleva sfogare quell'impotenza, mentre l'altra sapeva quanto fosse sbagliato. Ho ucciso... Cristo se ho ucciso...! Quella Cosa mi ha indicato la via...»
Schizofrenia, disturbi della personalità... le possibilità si susseguirono nella mente di Karl.
AD s'interruppe un momento, percorrendo con lo sguardo la piccola stanza circondata da quegl'insoliti monitor piatti e pieni di grafici pulsanti di luce. Deglutì rumorosamente, incrociando gli occhi curiosi del professore. Poi riprese.
«L'Ombra sapeva del '73, lo sapeva da molto prima...»
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martedì 3 luglio 2012

Capitolo 13 (di Cily)



American Way si sentiva molto bene. Finalmente Mezzanotte era tornato!
Da molto tempo non si sentiva così pieno di energie.
Certo era strano chiamarlo Mezzanotte.
Per lui era sempre Dave.
Forse perchè, nonostante fosse passato tanto tempo, aveva ancora la battuta pungente e quel suo sorrisetto ironico.
Eppoi quegli occhi straordinariamente brillanti.
Erano come quelli di suo padre, anche i suoi occhi avevano brillato fino alla fine.
Suo padre.
Quell'uomo mite che gli aveva insegnato ad andare in bicicletta, che lo portava alle partite di football e che gli aveva spiegato la differenza tra il bene e il male.
Quando Matt gli aveva detto di avere dei poteri speciali e che avrebbe aderito al programma START, lui lo aveva guardato con la stessa fierezza di quando aveva cominciato a lavorare come operaio nella centrale sperimentale della Teleforce.
Per lui Matt era sempre un eroe, qualsiasi cosa facesse, anche prima che avesse i poteri.
«Figliolo sono felice che tu abbia capacità così grandi. Però ricorda, non ci sono talenti più utili di altri.
Qualunque sia la cosa che ti riesce bene, mettila a servizio del mondo e sarai veramente felice.»
Bei principi certamente, ma suo padre era solo un contadino con la testa piena di fantasie e non avrebbe mai capito l'inferno che Matt aveva attraversato per colpa di quei poteri.
Se non avesse avuto Dave sarebbe impazzito.
Ma ciò che era più importante, sarebbe morto se non ci fosse stato Dave il giorno dell'esplosione.
Lavoravano entrambi nella centrale sperimentale e avevano affrontato insieme il periodo di apprendistato.
Quando c'era stata l'esplosione della Teleforce loro due erano vicinissimi al settore da cui si era sprigionata l'energia.
Dave lo aveva preso per un braccio e lo aveva tirato con forza.
«Amico dobbiamo filarcela, qui esplode tutto!»
«Ma le procedure di evacuazione prevedono che attendiamo soccorsi. Ora verranno a prenderci!»
«Tra poco la Teleforce ci cuocerà talmente bene che diventeremo fluorescenti e, credimi, nessuno ci vorrà nemmeno sfiorare.»
Avevano infranto le raccomandazioni di sicurezza e si erano messi in salvo.
Molti dei loro colleghi, rispettosi delle procedure avevano atteso i soccorsi e erano morti ustionati, altri avevano sviluppato dei tumori fulminanti per essere rimasti troppo tempo esposti alle radiazioni.
Inizialmente le istituzioni avevano offerto ai sopravvissuti cure mediche e controlli approfonditi e Matt ne era stato felice.
Aveva cominciato a soffrire di emicranie frequenti durante le quali non riusciva più a parlare. Quando l'emicrania passava, si addormentava e si risvegliava due o tre giorni dopo.
Anche Dave stava male. Soffriva di una febbre che non passava mai e che ogni due o tre giorni saliva a 40.
Inoltre aveva avuto episodi di amnesia in cui si era trovato in luoghi sconosciuti senza sapere come ci fosse arrivato.
Poi un giorno Matt aveva sentito i pensieri nella mente del giovane dottorino che lo stava visitando e lo aveva raccontato all'amico.
«Anche io riesco a fare delle cose strane con la mente,» gli aveva risposto Dave «Riesco a scaldare gli oggetti. Non tutti però. Quelli arrotondati non riesco a raggiungerli, ma quelli con angoli e punte posso farli diventare molto molto caldi.»
I medici avevano detto che la Teleforce aveva causato mutazioni importanti del sistema nervoso in tutti i sopravvissuti, ma solo Dave e Matt avevano sviluppato certe capacità.
La comunità scientifica li aveva convinti ad aderire ad un programma di test per conoscere e sviluppare i poteri.
Matt si era messo nelle loro mani con fiducia cieca non immaginando quel che sarebbe successo.
Loro lo avevano spremuto come un limone.
Volevano vedere fino a che punto arrivavano i suoi poteri, volevano che imparasse a utilizzarli correttamente e efficacemente ma non avevano pazienza, perciò lo sottoponevano a sedute frequenti ed estenuanti. Non erano mai contenti e ne volevano sempre di più.
A loro non importava che il giorno dopo Matt avrebbe avuto delle fitte così forti alle tempie da desiderare di aprirsi la testa in due con un martello e che i dolori alle ossa sarebbero stati così intensi che gli sarebbe stato impossibile alzarsi dal letto.
Per fortuna c'era Dave.
Anche quando era sfinito, Dave passava per fare quattro chiacchiere e bere una birra.
Una volta Dave lo aveva trovato solo in casa, steso a terra nel disperato tentativo di trascinarsi fino al bagno.
«Non preoccuparti Matt,», gli aveva detto. «Domani andrò io al tuo posto.»
«Ma domani è la tua giornata di riposo.»
«Ci sono un paio di cosette che sono rimaste in sospeso e che voglio riuscire a fare. Sai come si dice, batti il ferro finchè è caldo.»
Nonostante il tono spavaldo, Dave era pallidissimo e gli tremavano le mani.
Però Dave non si lamentava mai, anzi si spingeva sempre fino al limite ed era riuscito a fare facilmente cose che a Matt avevano richiesto molto esercizio.
Una volta Dave aveva liberato così tanto il suo potere che il cilindro di metallo si era liquefatto e l'aria della stanza era diventata così rovente che i due osservatori che prendevano appunti si erano ustionati.
«Se la sono voluta», aveva commentato Dave allegramente. «Glielo ho letto in faccia che pensavano che non ce l'avrei fatta.»
Dave aveva sempre voglia di scherzare ma l'ultima volta che si erano visti era teso e cupo.
E non scherzava affatto.
«Questa non è vita. Tutti i giorni eseguiamo ordini, andiamo di qua e di là per risolvere i loro casini internazionali e i loro disastri ambientali. Il fatto che possiamo salvare il mondo non vuol dire che dobbiamo farlo in continuazione. Andiamocene!»
«Non posso venire con te, Dave,» aveva risposto Matt abbassando gli occhi.
«Dimmi che non hai mai pensato di ucciderti pur di liberarti di questa vita assurda.»
Per la verità Matt ci aveva pensato tante volte.
«Anche a me non piace farmi sparare addosso ma non posso lasciare mio padre. Ha solo me.»
Nonostante fosse certo della sua scelta quando Dave era partito Matt si era sentito terribilmente stupido e la squadra dei Super non aveva guarito la sua solitudine.
Ora Dave era tornato.
I pensieri di American Way furono interrotti dalle vibrazioni della mente di Mezzanotte.
«Matt ricordati che stiamo solo facendo ciò che va fatto. Quello che abbiamo scoperto è gravissimo. Gli altri Super sono troppo sciocchi per capire, ma tu e io sappiamo come andrà a finire se non facciamo qualcosa. Dobbiamo fermarli!»
Matt pensò a quanti Super avrebbe dovuto ancora uccidere e gli tornò alla mente Libby.
Lei non avrebbe capito e non si sarebbe piegata, ma lui non l'avrebbe uccisa.
Non avrebbe mai potuto farle del male.
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