2 Ottobre 2013
Cabo rojo, Playa Sucia,
Portorico
«Ciao Eric, ti ho sentito, vieni pure avanti, quale buon vento ti porta qui?»
L'uomo era seduto su una poltrona di vimini con un grande schienale rotondo che nascondeva tutta la persona, tranne i piedi, bianchi immacolati.
«Vento cattivo...» disse una voce amplificata.
Eric si avvicinò e urtò qualcosa a terra: era un anfibio, slacciato, l'altro era caduto di sotto dal patio di legno, nella sabbia.
«Attento a non ammaccarti l'armatura nuova!»
Si appoggiò alla balaustra e osservò il mare azzurro, che diventava trasparente in prossimità della spiaggia, bianca da abbagliare.
Si trovavano in una piccola baia, chiusa da due propaggini di terra ricca di vegetazione, sulla destra un basso promontorio con un faro.
Chiuse gli occhi: i microfoni gli rimandarono la risacca delle onde, placida, rilassante.
«Come ti trovi qui?»
«Non lo senti?»
Eric si voltò, la sua maschera trasparente rifletteva i raggi obliqui del tramonto.
«Ah, sei isolato lì dentro, scusa.»
«Non ti preoccupare, e comunque ho l'aria condizionata.»
Una debole risata dell'altro, che poi aggiunse: «Mi trovo bene dai, lo sai come si chiama la spiaggia?»
L'altro scosse il casco a destra e a sinistra.
«Playa sucia, cioè spiaggia sporca, mi piace razzolarci.»
«Non ne dubito.»
Alcuni gabbiani passarono stridendo a pelo d'acqua, evitando i pochi bagnanti che ancora si attardavano prima dell'aperitivo.
«Non ci siamo più visti... Da Aprile.»
L'uomo posò sul tavolino basso un bicchiere con del liquido rosso sul fondo e una fetta di lime come guarnizione.
«Già, come stai? Ti sei ripreso?» Poi aggiunse, rivolto a un cameriere: «Un altro Planter's Punch, por favor.»
«Io sto bene, ma non mi sembra lo stesso, per te, non hai combinato niente da allora, a parte gli incontri clandestini.»
Una risata cristallina.
«Non è un bel modo di ringraziarmi per averti salvato la vita, quello di venirmi a fare le prediche! E poi ultimamente la boxe serve a sfogarmi.»
«Non sono venuto per ringraziarti, ma per chiederti un favore.»
L'altro finì il suo drink e lo lasciò al cameriere, che gliene diede un altro uguale.
«Sentiamo, Super irriconoscente.» disse, buttando giù un lungo sorso.
«Hai sentito della Grecia?»
«Ah, allora non è un favore, è un'ordine dello START!»
«Abbiamo bisogno anche di te!»
«Senza Matt è dura, eh?»
«Non fare così.»
«Così come? Sto facendo qualche osservazione, dai, continua, prova a convincermi.»
Portorico
«Ciao Eric, ti ho sentito, vieni pure avanti, quale buon vento ti porta qui?»
L'uomo era seduto su una poltrona di vimini con un grande schienale rotondo che nascondeva tutta la persona, tranne i piedi, bianchi immacolati.
«Vento cattivo...» disse una voce amplificata.
Eric si avvicinò e urtò qualcosa a terra: era un anfibio, slacciato, l'altro era caduto di sotto dal patio di legno, nella sabbia.
«Attento a non ammaccarti l'armatura nuova!»
Si appoggiò alla balaustra e osservò il mare azzurro, che diventava trasparente in prossimità della spiaggia, bianca da abbagliare.
Si trovavano in una piccola baia, chiusa da due propaggini di terra ricca di vegetazione, sulla destra un basso promontorio con un faro.
Chiuse gli occhi: i microfoni gli rimandarono la risacca delle onde, placida, rilassante.
«Come ti trovi qui?»
«Non lo senti?»
Eric si voltò, la sua maschera trasparente rifletteva i raggi obliqui del tramonto.
«Ah, sei isolato lì dentro, scusa.»
«Non ti preoccupare, e comunque ho l'aria condizionata.»
Una debole risata dell'altro, che poi aggiunse: «Mi trovo bene dai, lo sai come si chiama la spiaggia?»
L'altro scosse il casco a destra e a sinistra.
«Playa sucia, cioè spiaggia sporca, mi piace razzolarci.»
«Non ne dubito.»
Alcuni gabbiani passarono stridendo a pelo d'acqua, evitando i pochi bagnanti che ancora si attardavano prima dell'aperitivo.
«Non ci siamo più visti... Da Aprile.»
L'uomo posò sul tavolino basso un bicchiere con del liquido rosso sul fondo e una fetta di lime come guarnizione.
«Già, come stai? Ti sei ripreso?» Poi aggiunse, rivolto a un cameriere: «Un altro Planter's Punch, por favor.»
«Io sto bene, ma non mi sembra lo stesso, per te, non hai combinato niente da allora, a parte gli incontri clandestini.»
Una risata cristallina.
«Non è un bel modo di ringraziarmi per averti salvato la vita, quello di venirmi a fare le prediche! E poi ultimamente la boxe serve a sfogarmi.»
«Non sono venuto per ringraziarti, ma per chiederti un favore.»
L'altro finì il suo drink e lo lasciò al cameriere, che gliene diede un altro uguale.
«Sentiamo, Super irriconoscente.» disse, buttando giù un lungo sorso.
«Hai sentito della Grecia?»
«Ah, allora non è un favore, è un'ordine dello START!»
«Abbiamo bisogno anche di te!»
«Senza Matt è dura, eh?»
«Non fare così.»
«Così come? Sto facendo qualche osservazione, dai, continua, prova a convincermi.»
***
Due ore dopo.
L'uomo si fermò davanti al letto sfatto: tra le lenzuola scatole di pizza, tovaglioli e magliette con le gore sotto le ascelle.
Vi lasciò cadere sopra la sacca dell'Adidas e prese a ficcarci dentro indumenti appallottolati e sacchetti chiusi con lo scotch; poi soppesò un fagotto di velluto nero.
Lo aprì, rivelando un tirapugni cromato e una lunga catena che terminava con una stella rossa, premette il suo centro e cinque rasoi affusolati scattarono fuori dalle cinque punte.
Soddisfatto, toccò di nuovo il meccanismo per nascondere le lame e mise il fagotto in una tasca interna della borsa.
Guardò l'orologio da polso.
Aprì la cassettiera: la felpa era piena di strappi, bruciature, macchie scure sulle parti rosse.
Buttò l'indumento sul letto, accanto alla borsa.
Prese un cellulare satellitare e fece una chiamata.
«Gioventù in azione, sezione di Calgary.»
«Devo parlare con lei, sono Alex.»
«Chi desidera, prego?»
«So del progetto, devo parlare con la Dottoressa Angela Solheim.»
Alcuni secondi di esitazione nella voce squillante dall'altra parte.
«Mi spiace ma ha sbagliato numero, qui non lavora nessuna...»
«Va bene, dica alla dottoressa che non lavora da voi che sto andando in Grecia, parto tra un'ora, lei sa come raggiungermi, se vuole.»
«Ma cosa...»
Spense il cellulare e se lo ficcò in tasca.
Andò all'armadio e prese una sacca da vestiti appesa a una gruccia.
L'aprì sul letto, un fazzoletto appallottolato cadde sulla moquette, la punta di un preservativo uscì dalla carta.
Era una tuta di gomma nera, con cappuccio, sul davanti una decorazione in rilievo rossa, lucida, semirigida.
Vi picchiò le nocche, sembrava plastica ma era mille volte più resistente.
Era la parte superiore di uno scheletro.
Guardò la tuta rovinata, sospirò e cercò di piegare quella nuova per metterla nella borsa.
Due ore dopo.
L'uomo si fermò davanti al letto sfatto: tra le lenzuola scatole di pizza, tovaglioli e magliette con le gore sotto le ascelle.
Vi lasciò cadere sopra la sacca dell'Adidas e prese a ficcarci dentro indumenti appallottolati e sacchetti chiusi con lo scotch; poi soppesò un fagotto di velluto nero.
Lo aprì, rivelando un tirapugni cromato e una lunga catena che terminava con una stella rossa, premette il suo centro e cinque rasoi affusolati scattarono fuori dalle cinque punte.
Soddisfatto, toccò di nuovo il meccanismo per nascondere le lame e mise il fagotto in una tasca interna della borsa.
Guardò l'orologio da polso.
Aprì la cassettiera: la felpa era piena di strappi, bruciature, macchie scure sulle parti rosse.
Buttò l'indumento sul letto, accanto alla borsa.
Prese un cellulare satellitare e fece una chiamata.
«Gioventù in azione, sezione di Calgary.»
«Devo parlare con lei, sono Alex.»
«Chi desidera, prego?»
«So del progetto, devo parlare con la Dottoressa Angela Solheim.»
Alcuni secondi di esitazione nella voce squillante dall'altra parte.
«Mi spiace ma ha sbagliato numero, qui non lavora nessuna...»
«Va bene, dica alla dottoressa che non lavora da voi che sto andando in Grecia, parto tra un'ora, lei sa come raggiungermi, se vuole.»
«Ma cosa...»
Spense il cellulare e se lo ficcò in tasca.
Andò all'armadio e prese una sacca da vestiti appesa a una gruccia.
L'aprì sul letto, un fazzoletto appallottolato cadde sulla moquette, la punta di un preservativo uscì dalla carta.
Era una tuta di gomma nera, con cappuccio, sul davanti una decorazione in rilievo rossa, lucida, semirigida.
Vi picchiò le nocche, sembrava plastica ma era mille volte più resistente.
Era la parte superiore di uno scheletro.
Guardò la tuta rovinata, sospirò e cercò di piegare quella nuova per metterla nella borsa.
***
20 Ottobre 2013 - ore 23.30
Centro Ricerche della Hypotetical Inc.
Agia Paraskevi – Atene
Grecia
Stakanov sentì che lei era entrata in azione quando gli giunse il tipico scrocchiare di sedano di un'articolazione slogata, forse quella di un collo.
Poi due colpi rapidi, il clangore di un'arma che cadeva a terra, seguito dal rimbombo di un corpo che colpiva qualcosa, infine il sibilo gorgogliante dell'aria che usciva dai polmoni.
Li fa a pezzi!
Un fruscio prolungato poi ecco il blip della serratura magnetica che si apriva.
Stakanov si alzò dal riparo e corse verso il basso edificio di cemento, cercò di evitare le telecamere, passando vicino ai corpi dei due sorveglianti, probabilmente messi lì proprio per non essere visti.
Sentì i passi rapidi di lei, difficili da percepire singolarmente, che sembravano un unico suono, ritmico.
«Non così in fretta, giovane!»
Era una voce maschile, baritonale.
Quasi contemporaneamente sentì una scarica elettrostatica, poi un crepitio prolungato.
Yobanji, questo è un altro Super!
«Starcrusher?!» disse la ragazza.
Sfiorando il muro percorse un corridoio in ombra e arrivò a delle scale che scendevano giù.
«Miss Liberty, lei è appena entrata in un’area non autorizzata. Devo pregarla di allontanarsi immediatamente.» disse la voce maschile.
Le scariche elettriche erano vicine, ormai.
E infatti ne vide una, che avvolgeva come un serpente viola la balaustra delle scale, accanto a Libby.
La Super indossava una tutina di spandex nera, con inserti grigi e Stakanov non poté fare a meno di osservarla, ammirato.
Poi un improvviso senso di colpa per quello che era stato American Dream, lo fece desistere.
L'altro era un uomo di colore con un completo chiaro, estivo, continui flussi di energia viola partivano e ritornavano crepitando dal suo corpo.
Non è Starcrusher.
«Fossi in te mi leverei dai piedi. Non ti hanno insegnato che giocare con l’elettricità può essere pericoloso, girino?»
Nello stesso momento in cui Libby accennò a muoversi una scarica si staccò dalla ringhiera e la colpì sfrigolando al fianco.
Una propaggine si avvicinò a Stakanov, che si nascose dietro l'angolo della parete.
«Fossi in te non sarei così spavalda, come vedi noi girini ci sappiamo difendere.»
Intervengo?
Fece un passo poi si bloccò, in ascolto.
Percepì lo stridere delle suole di gomma sul pavimento, poi un urto ovattato che fece tremare la ringhiera e sussultare leggermente il pavimento.
Meglio di no.
Il crepitare delle scariche si attutì di colpo e poi diventò quasi impercettibile, prima di scomparire, sovrastato da altri rumori: uno scricchiolio di ossa spezzate e una rapidissima serie, quasi ininterrotta di colpi che sembravano lo scalpiccio di un bambino che giocava nel fango.
Yobanji!
Stakanov si gettò per le scale e sul pianerottolo c'era Libby, inginocchiata sul falso Starcrusher.
Gli mancava parte della testa.
«Mio Dio, cosa mi sta succedendo?» disse, cercando di pulirsi una poltiglia rossiccia dalle mani guantate .
«Già, che macello...»
Lei si voltò e in un attimo quelle mani luride erano attorno alla sua gola.
«S, sono dello...dello Stttart! Fe...ferma!»
Stakanov si divincolò e si liberò, proprio quando pensava di soffocare.
Dette un paio di colpi di tosse, piegato in due.
«Sei Stakanov? Quello di Admiral City?» chiese lei, pulendosi col fazzoletto tolto dal taschino del cadavere.
«Forse ancora per poco.»
«Scusami.» E gli porse il foulard.
«Non ti preoccupare, ultimamente succede anche a me...»
«Sei uno dei rimpiazzi?»
«Una specie di consulente esterno temporaneo»
Estrasse da una tasca della tuta da scheletro una sim e la porse all'altra, che la mise in un lettore inserito negli occhiali.
Dopo alcuni istanti annuì, si mise il visore sui capelli e lo scrutò con un sopracciglio alzato: «Dunque eri tu che mi seguivi, in questi giorni.»
«Sono stato discreto, dai.»
«E questo è il tuo famoso modo di ballare? Ti fai mettere le mani addosso dalla prima Super che passa?»
«Beh, solo se è simpatica come te e poi, mia cara, conosco anche balli più piacevoli di questo.»
Gli occhi verdi di lei scintillarono nella penombra.
«Non so se con me saresti al sicuro, tovarish Stakanov.»
Non se la tira più? La missione si fa interessante, come aveva detto Eric.
Libby controllò le tasche dell'abito di lino del super massacrato.
«Questo lo conoscevi, per caso?»
«No, ma aveva i poteri di Starcrusher.»
«Hanno già iniziato ad impiegarli, maledizione!»
Recuperò un tesserino magnetico, poi si voltò e tornò in ipervelocità, lasciando una scia scura, mentre giungeva in un attimo in fondo alle sei rampe di scale.
«Aspetta!»
Libby sussurrò, mentre passava la scheda nel lettore della porta blindata: «Probabilmente tra meno di dieci secondi suonerà l'allarme, non ho tempo di farti da badante, ci vediamo nel laboratorio!»
«Dobbiamo solo sabotare il progetto di Grant, niente questioni personali.»
«Sei qui per questo, no?»
Poi una interferenza ad alta frequenza sovrastò le ultime parole di Libby, che rientrò in ipervelocità
Forse non sarà così interessante, la missione.
- - -
Capitolo scritto da Massimo Mazzoni (Cose Morte blog)
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Impaginazione a cura di eBookAndBook
Grafica a cura di Giordano Efrodini
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Grafica a cura di Giordano Efrodini
Mi è piaciuta molto sia la parte iniziale che quella mediana, al momento uno dei capitoli che ho apprezzato di più.
RispondiEliminaGrazie Nick :)
EliminaMi aspettavo un grande ritorno! Ma Stakanov in edizione "consulente" porta la cravatta?
RispondiEliminaFra l'altro, un tris di capitoli che si supportano bene a vicenda. Non vedo l'ora di scoprire come va a finire!
EliminaPorta "solo" la cravatta ;)
EliminaGran bel capitolo, mi piacque! :)
RispondiEliminaGrazie Gianluca!
EliminaBello come lo hai inserito nella scena in modo plausibile, e anche il fatto che Libby abbia un alleato per la missione mi pare giusto, insieme poi sono davvero promettenti. :)
RispondiEliminaGrazie Giordano, Incrociamo le dita! ;)
EliminaIn effetti mancava il ritorno di Stakanov, un altro "big" della season one.
RispondiEliminaGestito veramente bene, ben incastrato nelle vicende già in corso, senza stravolgere nulla.
Ottimo. ;)
Ti ringrazio Francis, speriamo di rimanere su questa linea XD
RispondiEliminaOttimo Stakanov è di nuovo in pista :-)
RispondiEliminaOn the road again!
EliminaBuon lavoro, finalmente due capitoli integrati! :-) Stakanov forever.
RispondiElimina'azie dottò!!!
EliminaBella lì Max, te l'avevo detto che si sarebbe incastrato perfettamente nella storia. Il doppio punto di vista sul combattimento di Libby mi piace un sacco e Stakanov è sempre il solito figo. Bravo! ;)
RispondiEliminaGrazie Gian! L'incastro era perfetto e mi è piaciuto come abbiamo collaborato :)
RispondiEliminaMi sono appena rimesso in pari, buoni gli ultimi tre
RispondiElimina